Un fenomeno crescente sta vedendo molti italiani recarsi in Thailandia, ormai soprannominata la “nuova Casablanca”, per sottoporsi a interventi di cambio di sesso, quali vaginoplastiche e falloplastiche. La capitale Bangkok, in particolare, si è affermata come un hub globale per questi interventi, attirando pazienti da tutto il mondo grazie alla competenza dei suoi chirurghi e ai tempi di attesa ridotti.
La situazione in Italia, invece, presenta diverse sfide per coloro che desiderano sottoporsi a tali operazioni. Non solo manca un registro dedicato a questo settore, spesso considerato “futile” da molti, ma anche le unità ospedaliere specializzate stanno chiudendo. Questa carenza di supporto interno spinge gli italiani a cercare soluzioni all’estero, dove i percorsi sono meno gravosi e più accessibili.
Stefania de Fazio, presidente della SICPRE (Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva-Rigenerativa ed Estetica) e il professor Emanuele Cigna dell’Università di Pisa, entrambi riconosciuti esperti nel campo, sottolineano che la chirurgia plastica italiana non è inferiore a quella di altri paesi. Tuttavia, la scarsità di centri specializzati e le lunghe liste d’attesa rendono difficile per i pazienti ricevere le cure necessarie in tempi ragionevoli.
Inoltre, il professor Cigna descrive la vaginoplastica come un intervento che trasforma i genitali esterni maschili in femminili, coinvolgendo l’asportazione dei testicoli e l’utilizzo dei tessuti del pene e dello scroto per creare le grandi labbra e la vagina. Sebbene le complicanze possano essere significative, come sanguinamenti o necrosi dei tessuti, la procedura offre ai pazienti la possibilità di allineare il loro aspetto fisico con la loro identità di genere.
Questo trend di “turismo chirurgico” evidenzia non solo le sfide che i pazienti transgender devono affrontare in Italia ma anche la crescente necessità di migliorare e ampliare i servizi di chirurgia plastica e di supporto psicologico per garantire un percorso di transizione sicuro e supportato.
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