Il 20 giugno di 25 anni fa Giovanni Paolo II tornava sul Gran Sasso d’Italia, la montagna che più amava, forse perché gli ricordava i Monti Tatra, in Polonia, e gli anni della sua giovinezza. Sulle balze delle cime più alte dell’Appennino Papa Wojtyla era stato, più o meno in segreto, oltre un centinaio di volte, a camminare in solitudine o a sciare, guardato discretamente a distanza da qualche collaboratore vaticano, da due o tre dirigenti del Centro Turistico Gran Sasso d’Italia, da alcuni funzionari della Polizia di Stato. Tutti rigorosi osservanti della consegna del silenzio sulle fugaci visite del Santo Padre al Gran Sasso d’Italia. Ma quella domenica del 20 giugno 1993, diversamente, fu per una visita ufficiale e “pastorale”, alla quale fece da sfondo il coro delle vette della catena del Gran Sasso: al centro il Corno Grande (2.912 metri), a sinistra i Pizzi Cefalone, Malecoste, Intermesoli e il Monte Corvo, a destra il Brancastello, il Prena e il Monte Camicia. Il Papa, erto sul palco allestito a Campo Imperatore tra la stazione d’arrivo della funivia e l’albergo, dopo aver benedetto la chiesetta della Madonna della Neve, riaperta dopo i lavori di restauro realizzati dagli Alpini della Sezione Abruzzi dell’ANA, recitò le preghiere dell’Angelus e rivolse parole che sono rimaste scolpite nel cuore degli aquilani e degli appassionati della montagna. Che evento stupefacente! Un inno allo spirito e alla natura le parole del Papa, nell’austera bellezza e maestosità delle montagne alle sue spalle e, di fronte a Lui, la meraviglia delle digradanti discese verso la verdeggiante conca aquilana, racchiusa tra i contrafforti della catena montuosa del Velino Sirente e, in fondo sulla sinistra, la vista imponente della Maiella.
“Carissimi Fratelli e Sorelle! E’ un incontro particolare questo di oggi, nel quale ci è data l’opportunità di recitare l’Angelus nella suggestiva cornice del Gran Sasso, accanto a questa Cappella che ho appena benedetta, semplice e graziosa, incastonata com’è nel maestoso paesaggio a me ben noto e caro. Qui il silenzio della montagna e il candore delle nevi ci parlano di Dio, e ci additano la via della contemplazione, non solo come strada maestra per fare esperienza del Mistero, ma anche quale condizione per umanizzare la nostra vita e i reciproci rapporti. Si sente oggi un gran bisogno di allentare i ritmi talvolta ossessivi delle nostre giornate. Il contatto con la natura, con la sua bellezza e la sua pace, ci ritempra e ci ristora. Ma mentre l’occhio spazia sulle meraviglie del cosmo, è necessario rientrare in noi stessi, nella profondità del cuore, in quel centro della nostra persona, in cui siamo a tu per tu con la nostra coscienza. Lì Dio ci parla, e il dialogo con Lui restituisce senso alla nostra vita.
Per questo, carissimi Alpini, che vedo numerosi a quest’appuntamento, ho molto apprezzato la vostra iniziativa di ristrutturare questa Cappella, la quale vuole essere, per quanti qui giungono o sostano mentre salgono la montagna, richiamo al soprannaturale, segno della presenza di Dio, invito alla preghiera. Così è per voi, cari amici, che vi siete qui radunati, preoccupandovi di assicurare al vostro incontro festoso il respiro ossigenante della preghiera. Esso, del resto, si amalgama bene con la vostra storia e la vostra cultura, oserei dire con la vostra “spiritualità”. Voi siete infatti, come “plasmati” dalla montagna, dalle sue bellezze e dalle sue asprezze, dai suoi misteri e dal suo fascino. La montagna apre i suoi segreti solo a chi ha il coraggio di sfidarla. Chiede sacrificio e allenamento. Obbliga a lasciare la sicurezza delle valli, ma offre a chi ha il coraggio dell’ascesa gli spettacoli stupendi delle cime. Essa è pertanto una realtà fortemente evocativa del cammino dello spirito, chiamato ad elevarsi dalla terra al cielo, fino all’incontro con Dio. Voi, cari Alpini, siete esperti di questo suo misterioso linguaggio. Ascoltandolo, il vostro stesso servizio alla Patria si fa, con tutta naturalezza, servizio alla solidarietà e alla pace. Lasciate dunque che, alla ben nota simpatia che il Corpo suscita nell’opinione pubblica, io aggiunga oggi anche l’espressione del mio apprezzamento e della mia amicizia.
Da queste montagne il mio pensiero va a tutta la terra di Abruzzo, e in particolare alla diocesi dell’Aquila, che ebbi modo di visitare nel 1980. Rivolgo il mio saluto affettuoso al Vescovo, il caro Monsignor Peressin, che ha celebrato per voi l’Eucaristia. Saluto anche gli altri Vescovi di questa provincia ecclesiastica, vicini a L’Aquila, poi saluto di cuore i Presbiteri, i Religiosi e le Religiose e tutta la Comunità aquilana. So dell’impegno che state ponendo, con esemplare entusiasmo, soprattutto nella pastorale familiare. È una scelta che merita un vivo incoraggiamento, in questo tempo difficile in cui sulla famiglia si accaniscono forze corrosive che ne minacciano l’unità e la serenità. È necessario dunque che, nella società civile come nella Chiesa, per il sostegno a questa fondamentale istituzione siano investite le migliori energie. Le famiglie cristiane siano davvero lievito nella società, vivendo la loro vocazione di “chiese domestiche”, ispirate profondamente dal Vangelo, ricche di preghiera, di tenerezza, di testimonianza. Carissimi Fratelli e Sorelle! Affidiamoci a Maria, che in questa Cappella è onorata col titolo suggestivo di “Madonna della Neve”, non solo appropriato per la stupenda cornice della natura circostante, ma anche fortemente evocativo del suo mistero di donna del candore: la “tota pulchra”, l’Immacolata. Ella ci insegni la via della fedeltà a Cristo. Ci ottenga coraggio e fiducia. Benedica questa terra, e in modo speciale le sue famiglie e i suoi giovani”.
Quell’anno, come ben racconta e documenta il giornalista e scrittore Giustino Parisse nel suo libro “Giovanni Paolo II e l’Abruzzo” (Graphitype Edizioni, 2005), ben tre volte Papa Wojtyla venne sul Gran Sasso. La prima era stata in un martedì di febbraio 1993 (il 16 o il 23) quando, reduce da una settimana di visite pastorali in alcuni Paesi africani – Benin, Uganda e Sudan –, si concesse alcune ore di libertà per una sciata a Campo Imperatore, sulla pista che poi verrà chiamata “pista del Papa”. Lo accompagnavano il suo segretario don Stanislao Dziwisz – che poi diventerà Cardinale e arcivescovo di Cracovia –, il medico Renato Buzzonetti e gli uomini della scorta. Del Centro Turistico erano presenti il presidente, Alfonso Scimia, il direttore Berardino Scimia, il direttore degli impianti Dino Pignatelli, il maestro di sci Bruno Faccia ed Enzo Volpe alla guida del gatto delle nevi.
Racconta Giustino Parisse: “[…] Il Santo Padre scia per ore, si ferma solo per consumare un pasto frugale. Bruno Faccia ha portato da Assergi dove abita, salame, prosciutto e formaggio di produzione locale e anche un po’ di vino. Il Papa apprezza pur senza esagerare e poi riprende a sciare. […]”. La seconda volta, quell’anno, era stata il 13 aprile 1993. Sempre una visita privata e discreta per concedersi qualche ora di serenità e di sci, in una mattinata tormentata dal nevischio e dal vento, sulla pista della Scindarella. A metà giornata, in una pausa per una colazione accanto alla casetta dei pastori, con gli addetti del Centro Turistico in rispettoso silenzio, “[…] il presidente del Centro Turistico, Alfonso Scimia, – scrive ancora Parisse – quello che appariva il meno “bloccato” dalla presenza del Santo Padre prese il coraggio a quattro mani e si rivolse a Karol Wojtyla dicendo: «Santità, i nostri alpini hanno quasi terminato di restaurare la Chiesetta della Madonna della Neve, vorremmo che fosse Lei a inaugurarla». Il Pontefice guardò Alfonso Scimia e dopo un attimo di pausa disse: “Vedremo”. Una risposta che al presidente del Centro Turistico sembrò un sì senza tentennamenti.”
Prende così avvio il 16 aprile la procedura d’invito ufficiale in Vaticano, con una lettera riservata del presidente Scimia, nella quale si chiede al Papa di benedire e inaugurare, il 20 giugno 1993, la restaurata chiesetta Madonna della Neve e l’autorizzazione a denominare la pista dove il Pontefice ha sciato “Pista Giovanni Paolo II”. Alla richiesta dà riscontro il 10 maggio l’arcivescovo dell’Aquila Mario Peressin con una lettera nella quale viene data per certa la visita del Pontefice domenica 20 giugno. L’ufficializzazione della visita pastorale del Papa giunge dalla Santa Sede con una lettera della Segretaria di Stato vaticana, datata 1 giugno 1993, diretta al presidente del Centro Turistico, Alfonso Scimia. Il sogno si avvera e il 20 giugno 1993 diventerà un’altra giornata memorabile nel cuore degli aquilani! Saranno così tre le visite ufficiali di papa Wojtyla a L’Aquila e dintorni: il 30 agosto 1980 nella città capoluogo, in occasione del sesto Centenario della nascita di San Bernardino da Siena, il 9 Agosto 1986 a Rocca di Mezzo e ai Piani di Pezza, dove erano in raduno 13 mila scout dell’Agesci, infine la visita del 20 giugno 1993 per inaugurare la restaurata chiesetta della Madonna della Neve a Campo Imperatore, ma in Abruzzo Giovanni Paolo II, in visita ufficiale era stato altre tre volte: nel 1993 a San Salvo, nel 1985 ad Avezzano e altri luoghi della Marsica, il 24 marzo, e il 30 giugno ad Atri, Teramo e al Santuario di San Gabriele.
Tuttavia sono oltre un centinaio le visite private e riservatissime di Giovanni Paolo II sul Gran Sasso, dal 16 ottobre 1978, data della sua elezione al Soglio di Pietro in poi. Perfino prima ne è riscontrata una, nel 1962, come documenta una foto che ritrae Karol Wojtyla a Fonte Cerreto, base della funivia del Gran Sasso. Foto rinvenuta dall’appassionata ricerca di Pasquale Corriere, presidente dell’Associazione culturale “San Pietro della Jenca” cui si deve la valorizzazione della chiesetta alle falde del Gran Sasso dove papa Wojtyla si recava in raccoglimento, diventata nel 2011 il primo Santuario dedicato a San Giovanni Paolo II. Il grazioso borgo di San Pietro della Jenca, che nel 1254 fu uno dei Castelli fondatori dell’Aquila, divenne nei secoli successivi villaggio rurale per la residenza estiva di contadini e pastori di Camarda impegnati nel lavoro dei campi d’altura o sui pascoli circostanti. Fin quando il 29 dicembre 1995 a San Pietro della Jenca, in una delle sue numerosissime e segrete escursioni sul Gran Sasso, Giovanni Paolo II non vi sostò, raccolto in preghiera nella bella chiesetta medioevale. Poi ancora altre volte. Da quel momento quel luogo sacro è diventato molto caro agli aquilani, man mano caro a tanti appassionati della montagna e ai visitatori che lo raggiungono da ogni angolo d’Italia e talvolta dall’estero. Quasi in pellegrinaggio, già da quando papa Wojtyla era ancora in vita. Ma sopra tutto è diventato un luogo dell’affetto e della devozione verso il papa sentito dai fedeli “Santo subito” dal 2 aprile 2005, giorno in cui il più carismatico dei pontefici trapassò in Cielo. Il primo maggio 2011, infatti, con Roma piena di pellegrini da tutto il mondo, in una commovente cerimonia Benedetto XVI dichiarò “beato” Giovanni Paolo II, primo passo verso la sua santificazione. Appena 17 giorni dopo, data non casuale perché giorno della nascita di Karol Jozef Wojtyla (Wadowice, 18 Maggio 1920), la chiesetta di San Pietro della Jenca divenne il primo Santuario dedicato al Beato Giovanni Paolo II, come decretato dall’allora arcivescovo dell’Aquila, Mons. Giuseppe Molinari.
In una lettera del 18 maggio 2011, per l’inaugurazione del Santuario, il Cardinale Stanislao Dziwisz, Arcivescovo metropolita di Cracovia, che di papa Wojtyla fu segretario, tra l’altro scrisse: “[…] vorrei salutare cordialmente le Autorità ecclesiastiche e civili dell’Aquila e tutti i presenti, radunati nella chiesa di San Pietro della Jenca, nel giorno della solenne dedicazione del Santuario al Beato Giovanni Paolo II. Insieme con voi ringrazio Dio onnipotente per il giorno della nascita di Karol Giuseppe Wojtyla, il secondo figlio di Karol ed Emilia Wojtyla. Ringrazio il Signore della vita per il giorno 18 Maggio 1920, il quale negli impenetrabili disegni di Dio fu il giorno della sua nascita per Dio, per la Chiesa e per tutta l’umanità. Desidero pure esprimere la mia personale gratitudine al signor Pasquale Corriere, presidente dell’Associazione Culturale San Pietro della Jenca, per la cura incessante di questa piccola chiesetta, nella quale Giovanni Paolo II pregò il 29 Dicembre 1995. Lo ringrazio cordialmente, e voi tutti, per i commoventi segni di grande amore al Santo Padre Giovanni Paolo II. Auguro che questo giorno della solenne dedicazione della chiesa di San Pietro della Jenca come Santuario di Beato Giovanni Paolo II sia per voi il momento della gioia che viene dal fatto di aver conosciuto il Santo dei nostri tempi, il quale c’insegnava come amare Dio ed il prossimo”. Il porporato era tornato ancora una volta nel borgo di San Pietro della Jenca insieme al Cardinale Kazimierz Nycz, Arcivescovo di Varsavia, qualche giorno prima dell’erezione della chiesetta a Santuario, avvenuta con una solenne celebrazione dell’Arcivescovo dell’Aquila. E quello stesso anno, il 7 agosto, il Cardinale Dziwisz donò la Reliquia del Beato Giovanni Paolo II custodita nel Santuario.
Ormai da anni, e particolarmente dopo la canonizzazione di San Giovanni Paolo II, il 27 aprile 2014 da Papa Francesco, singoli pellegrini e gruppi organizzati fanno sempre più di San Pietro della Jenca una delle tappe “wojtyliane”. La testimonianza di questo flusso crescente di devozione è testimoniata nei voluminosi registri che raccolgono i nomi dei visitatori, le richieste di grazie e le emozioni provate il quel luogo suggestivo, nel quale si avverte la presenza spirituale d’un Papa santo particolarmente amato dai fedeli. E in effetti in questo luogo ormai tutto parla di Karol Wojtyla. Lungo il percorso che conduce a San Pietro della Jenca si susseguono indicazioni stradali “Santuario S. Giovanni Paolo II”, fino a quel piccolo sentiero che conduce alla Chiesetta, suggestiva nella singolarità del luogo, suggestivo ed invitante al raccoglimento. Il 18 maggio 2005, peraltro, una delle cime della catena del Gran Sasso che si erge proprio di fronte al borgo di San Pietro della Jenca, detta del Gendarme sulle Malecoste, venne intitolata al papa polacco. Sulla Cima Giovanni Paolo II è ora issata una grande croce che guarda il borgo e la valle. E’ lì a testimoniare l’attaccamento del grande Papa Santo verso il Gran Sasso, dove con assoluta discrezione innumerevoli volte Egli venne a camminare o a sciare, e il suo amore per le montagne d’Abruzzo.
Goffredo Palmerini
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