“Nonostante sia chiaro che l’Egitto stia lentamente scivolando in una deriva dittatoriale, l’Italia continua a espellere cittadini egiziani verso quel Paese: 294 solo nel 2018. Si tratta di un fatto gravissimo, anche perche’ una volta rientrati in Egitto, si perde ogni traccia di queste persone e di cio’ che potrebbe accadergli”. A denunciare questa situazione alla ‘Dire’ e’ Sara Prestianni, curatrice per Arci del rapporto ‘Sicurezza e immigrazione. Tra interessi economici e violazioni dei diritti fondamentali. I casi di Libia, Niger ed Egitto’. Occasione dell’intervista la presentazione del documento al ‘Sabir, Festival diffuso delle culture mediterranee’, che si e’ tenuto nei giorni scorsi a Lecce, in Puglia, e organizzato da Arci, Caritas italiana, Anci e Cgil. Allarmanti i numeri riferiti dal report, ottenuti attraverso diverse organizzazioni per i diritti umani egiziane: 1.520 i casi di sparizioni forzate tra luglio 2013 e agosto 2018, 60mila i cittadini attualmente detenuti per motivi di coscienza, 129 quelli morti in carcere e oltre 15mila giudicati dai tribunali militari dal 2014, con 112 condanne a morte. Tali “procedimenti illegittimi”, secondo gli osservatori, non risparmiano i minori. Nell’analisi, l’esperta Arci ricorda che anche Mauro Palma, Garante italiano per i diritti dei detenuti, ha allertato in una nota del 2018, in merito al picco di rimpatri forzati verso l’Egitto, esprimendo anche “forti perplessita’ sull’opportunita’ di organizzare voli di rimpatrio verso Paesi, come l’Egitto o la Nigeria, che non hanno istituito un meccanismo nazionale di prevenzione della tortura”.
Sara Prestianni, esperta in politiche internazionali d’immigrazione, ricorda che l’Italia “ha ratificato una Convenzione delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate, secondo cui non si devono espellere persone verso Paesi dove ci sono rischi di questo tipo”. In questo momento pero’, prosegue, “e’ evidente che l’Italia stia violando la Convenzione Onu, pur sapendo bene che in Egitto le sparizioni forzate sono un rischio molto elevato, e non solo per i cittadini egiziani”. Il pensiero va al caso di Giulio Regeni, il giovane ricercatore ucciso nel 2016, un caso rispetto al quale ricostruzioni recenti confermerebbero la responsabilita’ dei servizi di sicurezza egiziani. In un contesto del genere, anche di tensioni bilaterali, l’Italia prosegue la sua collaborazione anche su altri fronti. “C’e’ il finanziamento, con fondi della sicurezza interna, di una scuola di polizia al Cairo per la formazione di poliziotti di frontiera di ben 22 Paesi africani” riferisce Prestianni. Si tratta dell’International Training at Egyptian Police Academy (Itepa) presentato nel luglio 2018. “L’Italia non solo rimanda egiziani nel loro Paese, considerandoli migranti economici, ma sostiene al Cairo l’Accademia di polizia per blindare le frontiere africane, in nome di una logica perversa di esternalizzazione delle frontiere” conclude l’autrice del rapporto. Muhammad Al-Kashef, ricercatore e avvocato dell’organizzazione WatchTheMed – AlarmPhone, spiega alla ‘Dire’ cosa avviene invece ai migranti residenti in Egitto. “Sappiamo bene quello che accade ai cittadini egiziani, e per i migranti la situazione e’ persino piu’ dura” dice Al-Kashef. In particolare, prosegue l’attivista, “gli viene negato il diritto ai servizi pubblici quali la sanita’ o la scuola, mentre hanno molte difficolta’ ad accedere al mercato del lavoro perche’ comporta numerose procedure burocratiche. Legalmente, infatti, sono considerati come stranieri, e non rifugiati”.
Lascia un commento