“Il 25 febbraio partira’ un corridoio umanitario per l’Italia, in collaborazione con la Caritas, con a bordo 66 rifugiati. Sono tutte persone con vulnerabilita’ – minori, ammalati, donne sole o membri della comunita’ Lgbt – che quindi hanno bisogno di protezione. Sono sudanesi, tranne una famiglia di cinque persone, tra cui una ragazza malata che ha bisogno di cure urgenti”. Cosi’ all’agenzia Dire Alessandra Morelli, responsabile dell’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) in Niger. Il gruppo di cittadini sudanesi che volera’ nel nostro Paese e’ solo una parte dei tanti che l’agenzia Onu sta ricollocando verso Paesi terzi rispetto al Niger, Paese di transito ma anche d’accoglienza, in particolare dei migranti portati via dai centri di detenzione in Libia. Lo sforzo che l’Unhcr porta avanti vede i suoi limiti nel numero di posti messi a disposizione dai singoli Stati per i ricollocamenti ma anche nella lentezza della burocrazia. Per questo a gennaio, stanchi di aspettare il trasferimento, un gruppo di profughi ha protestato per giorni nella regione di Agadez. Sgomberati dalla polizia, i manifestanti hanno poi appiccato le fiamme al campo in cui risiedevano, a 15 chilometri da Agadez, e che accoglieva 1.500 persone. Nel rogo e’ andato distrutto l’80 per cento dei prefabbricati. Da allora l’Unhcr continua a fornire aiuti alle famiglie: “Abbiamo ricostruito gia’ 30 casette, nessuno ha dovuto lasciare il campo ne’ dormire all’aperto” ha assicurato Morelli, smentendo cosi’ ricostruzioni apparse sulla stampa internazionale secondo le quali migranti sono stati costretti ad andar via attraverso il deserto. “Da quell’incidente – prosegue Morelli – abbiamo intavolato nuovi colloqui con le autorita’ per convincerle a velocizzare l’approvazione della richiesta di asilo. I dossier in tutto sono circa 800″.
Dopo la distruzione del campo, pero’,”abbiamo deciso di cambiare strategia” dice Morelli, chiarendo che la gestione del campo, come eventuali future decisioni, “sono di competenza del governo”. Intanto l’agenzia Onu continua il lavoro per trovare sistemazioni migliori e definitive a queste persone, la maggior parte delle quali e’ fuggita dalle violenze tornate ad acuirsi in Darfur. Il lavoro ha riguardato anche i minori. “Degli 89 residenti nel campo prima dell’incendio ora ne sono rimasti solo 16” dice Morelli. “Gli altri sono stati trasferiti in strutture adeguate in citta’”. Dopo il volo del 25 febbraio, continua la responsabile, “ne stiamo organizzando un altro per un gruppo di 170 persone”. La destinazione? “L’Europa, ma forse anche Stati Uniti o Canada”. E della protesta, cosa ne e’ rimasto? “La situazione e’ tornata tranquilla, c’e’ chi si e’ pentito di aver dato tutto alle fiamme. Sono gesti da condannare. Noi abbiamo mantenuto il dialogo aperto sia coi rappresentanti del campo sia con le istituzioni. Il mio staff fornisce assistenza anche a chi e’ stato arrestato”. Delle 335 persone arrestate subito dopo gli incidenti, 80 sono ancora in carcere. “Spetta alla magistratura ora – conclude Morelli – fare il suo lavoro”.
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