Piu’ della meta’ della popolazione mondiale e’ stata costretta dalle autorita’ a rimanere confinata in casa per un lungo periodo a cause dell’emergenza Covid. Se quindi la casa e’ diventata per alcuni una ‘prigione’ imposta, e’ stata anche il luogo sicuro in cui ripararsi dalla pandemia che si diffondeva all’esterno.
Ma come hanno potuto vivere il confinamento domestico quelle persone per cui la casa, in un recente passato, ha improvvisamente smesso di essere il riparo sicuro per eccellenza? Gli abitanti delle zone terremotate, per i quali la casa e’ diventata di colpo una minaccia, lasciando una ferita difficile da rimarginare, come sottolinea Alessandra Lucia Meda, psicologa dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) che da anni lavora con le scuole de L’Aquila. “La casa rappresenta per ognuno di noi un luogo sicuro- spiega- dove poter ritrovare noi stessi, caratterizzata non solo da oggetti personali, ma soprattutto ricca di abitudini, memorie, colori ed odori. Certamente l’evento del terremoto ha fatto si’ che tutta questa familiarita’ venisse a mancare; la casa che prima conteneva le nostre abitudini e confortava anche le nostre angosce, come luogo sicuro entro cui tornare, e’ divenuta successivamente un ambiente temuto”.
Il focolare domestico ha cosi’ iniziato a suscitare un’emozione ambivalente: un luogo pericolante da cui scappare, ma anche la volonta’ di riappropriarsi di uno spazio sicuro. Facendo un paragone fra i due eventi traumatici collettivi del terremoto e della pandemia, notiamo analogie e differenze. “Durante l’emergenza per il terremoto si chiedeva ai cittadini di non restare in casa, luogo fisico per eccellenza simbolo della sicurezza, per andare in luoghi aperti, dove le persone si trovavano insieme, e dove abbiamo percio’ assistito a una maggiore condivisione delle emozioni di paura e shock iniziale- continua Alessandra Meda- Oggi, al contrario, ci viene chiesto di restare al sicuro in casa; assistiamo pero’ ad una forte condizione di isolamento: isolamento relazionale con il mondo esterno, ma anche la tendenza all’isolamento nello stesso nucleo familiare, una mancanza di comunicazione, diremo una incomunicabilita’ dei propri vissuti emotivi interni”. Una sensazione di isolamento accentuata, nei piu’ giovani, dall’inevitabile chiusura delle scuole. Ma se i cancelli degli istituti sono rimasti chiusi, le scuole non si sono mai fermate. Consapevoli del loro ruolo sociale indispensabile, le comunita’ scolastiche hanno lottato per mantenere viva la comunicazione con studenti e famiglie, come sottolineano i docenti dell’IC ‘Don Lorenzo Milani’ di Pizzoli: “Lo spirito di solidarieta’ si mantiene vivo eccome, specie in una realta’ gia’ provata da un evento traumatico come il terremoto che ci ha colpito. Allora se nell’immediato il panico lascia storditi e disorientati dopo ci si rimbocca le maniche e si pensa agli altri, a chi ha meno, a chi puo’ essere in difficolta’ maggiori. La scuola si e’ affidata alla tecnologia per aiutare, condividere e comunicare. Insieme ai colleghi abbiamo attivato diverse risorse, anche attraverso gruppi dei genitori con Whatsapp per mandare non solo contenuti didattici ma anche videocomunicazioni ai nostri alunni per far si’ che ci potessimo sentire piu’ vicini anche se lontani”.
I docenti, pero’, ne sono certi: la didattica a distanza non potra’ mai sostituire la relazione in presenza, perche’ la scuola non e’ solo il luogo della trasmissione di saperi, ma anche lo spazio delle prime socializzazioni e dell’incontro con gli altri: “L’uso dei telefonini e dei dispositivi tecnologici aveva gia’ un ruolo importante nella vita degli studenti- commentano i docenti- Ora sicuramente hanno solo questa possibilita’ di comunicare. Il contatto fisico tra le persone pero’ non si puo’ sostituire in nessun modo, loro stessi continuamente ripetono che gli manca la scuola, l’aula, i compagni, i momenti di vissuto vero tra di loro e con i docenti”. Le scuole in questo periodo hanno comunque acquisito un bagaglio di competenze che potrebbe rivelarsi estremamente utile in futuro, in particolare nelle zone a rischio, dove sara’ piu’ facile attivare una risposta efficace in caso di emergenza: “La fase attuale ci ha senza dubbio mostrato le potenzialita’ di questo tipo di didattica- riflettono i docenti- le sue possibilita’ di applicazione in situazioni di emergenza, per continuare a lavorare quando non si ha la possibilita’ di stare nello stesso luogo per vari motivi. Questo tipo di didattica puo’ rappresentare una soluzione da tenere presente per il futuro”.
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