Si sta chiudendo il sipario sul 19° G20, e viene spontaneo chiedersi: tutto questo clamore è davvero servito a qualcosa? Prendendo in prestito il titolo della celebre commedia di Shakespeare, viene da riflettere se l’imponente macchina organizzativa – con una città come Rio de Janeiro praticamente paralizzata per giorni, 56 ospiti (di cui 23 capi di Stato) accolti nel Museo di Arte Moderna, e le spese esorbitanti sostenute dal Brasile e dai partecipanti – valga davvero il gioco. Insomma, è il classico caso in cui viene spontaneo tirare fuori l’analisi costo-beneficio (ACB).
E qui si apre il vero dilemma: dal punto di vista pubblico e privato, i conti tornano? Per i privati, sembra di sì: c’è chi ha guadagnato visibilità a livello internazionale, con belle foto e discorsi a effetto. Ma per il pubblico, il beneficio si riduce a bei propositi e grandi promesse. Secondo alcune fonti, il comunicato finale si concentrerà sui soliti temi: lotta alla fame, pace, tassazione più gravosa per i ricchi. Tuttavia, sugli impegni concreti, soprattutto per il clima, siamo ancora al palo. Anzi, si registra persino un passo indietro: niente accenni a un’effettiva transizione dai combustibili fossili o a un reale impegno finanziario sul tema. Il solito muro contro muro: da una parte i Brics, dall’altra USA ed Europa.
E per l’Italia? La premier Giorgia Meloni si è concentrata su agricoltura, energia, cibo e acqua, con una tabella di marcia fitta di incontri e interventi. Ma anche qui, al netto dei buoni propositi, resta da capire quanto di tutto questo si tradurrà in fatti concreti.
Risultato finale? Per dirla con Lina Wertmüller: “Tutto a posto e niente in ordine”. Se non altro, però, il lato turistico ha funzionato alla grande: i leader hanno trovato il tempo di visitare alcune delle meraviglie di Rio, facendo sicuramente felice l’Ente del Turismo brasiliano. Chissà se altrettanto felici possono dirsi gli affamati e i dimenticati di cui tanto si è parlato.
Giuseppe Arnò
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