“Chi accusa Futuro e Liberta’ di aver operato un voltafaccia sul Lodo Alfano costituzionale, non conosce i termini della questione e gli impegni che con coerenza abbiamo sempre rispettato. Fli ha sempre detto con chiarezza di essere d’accordo sullo scudo per le alte cariche dello Stato e di esser pronto a votare la costituzionalizzazione della legge ordinaria che la Consulta bocciò”. Lo ha detto il capogruppo alla Camera di Futuro e Liberta’ per l’Italia, Italo Bocchino, che ha aggiungo: “In quel testo, che ci vede impegnati, non si parlava di reiterazione della richiesta di sospensione”. “Il voltafaccia – ha sottolineato – e’ di chi ha aggiunto un elemento di non poco conto, visto che trasformerebbe una giusta sospensione dei processi per garantire la serenita’ di chi riveste un’alta carica in una sospensione teoricamente senza limiti che si trasformerebbe in immunita’ se non in impunita’”. Se il leader di Fli e Presidente della Camera, Gianfranco Fini, si era detto inizialmente disponibile e d’accordo con il “lodo Alfano”, è pur vero che ultimamente sono molte le perplessità espresse dallo stesso, che ha anche sottolineato che, in caso di crisi, un nuovo governo guidato da una personalità diversa da Berlusconi non costruirebbe, contrariamente a quando sostenuto da Pdl e Lega, “un golpe“. Ma i due quotidiani più vicini al Cavaliere, Il Giornale e Libero, già ieri parlavano di “tradimento” spiegando che il Presidente della Camera “critica il premier, invita il Colle a cercare un nuovo governo e rompe il patto sulla giustizia”. E, sempre ieri, Bossi ha ribadito la sua lealtà a Berlusconi ed affermato che ho va avanti questo di governo o si torna a votare. Sul “lodo” si assiste ad una vera e propria situazione di stallo, che vede come aghi della bilancia i senatori di Fli, Maurizio Saia e dell’Mpa, Franco Pistorio e con una situazione di totale empasse sugli emendamenti relativi alla reiterabilità soprattutto dopo il fermo no di Fini. Carmelo Briguglio, in un comunicato di oggi, dichiara: “Nel referendum previsto dalla Costituzione perche’ il Lodo Alfano diventi legge, la stragrande maggioranza degli elettori finiani voterebbe contro il Lodo” ed aggiunge che questa è una condizione con cui “sul piano politico, e’ bene che la classe dirigente di Futuro e Liberta’ cominci a fare i conti fin da adesso, al di la’ dei contenuti della legge e delle sue motivazioni”. Sempre ieri, Da Asolo, nel trevigiano, Fini e D’Alema hanno partecipato ad un dibattito concluso con una stretta di mano sulle note dell’Inno di Mameli, nel corso del quale il Presidente della Camera ha lasciato intendere che la tenuta della maggioranza è vincolata alle scelte nel merito, spiegando che in caso di crisi occorrerà verificare i numeri per un governo che abbia tra i suoi obiettivi la modifica della legge elettorale. D’altra parte, liquidando il tema delle “primarie per scegliere il candidato premier”, D’Alema, due giorni fa al Sole 24 Ore, ha lasciato intendere che “su Palazzo Chigi la priorità è il programma, non l’inquilino”, mentre le candidature per Camera e Senato vanno collegate al territorio. “Le primarie sono un fattore positivo di rinnovamento della politica e se dovesse restare l’attuale legge elettorale credo che sarebbe giusto farle anche per selezionare i candidati al Parlamento»” ha affondato il colpo. In un Pd dove in queste ore i bersaniani hanno incassato l’adesione in maggioranza degli Ad di Franceschini (ormai orfani di Veltroni, Fioroni e Gentiloni), l’indicazione sembra spiazzare chi punta a candidarsi “per investitura” di questo o quel leader, riaprendo i giochi locali e il peso delle regioni. E molti sono coloro fra i giornalisti più informati che parlano di un dialogo stretto fra Pd e Fli e di vere e proprie “prove di governo tecnico” per mandare a casa Berlusconi e far approvare la riforma elettorale. All’orizzonte del premier, poi, si delinea il problema di alcuni ministri fortemente insoddisfatti. Ieri a Mestre primo esperimento pubblico di avvicinamento, al cinema Excelsior , tra Massimo Cacciari, i 12 firmatari del manifesto di “Verso Nord” e il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, con quest’ultimo che commenta: “Proviamo ad annusarci” ed aggiunge che “è ora di ragionare con logiche nuove” Fianco a fianco, gli avversari di ieri, con idee molto diverse sulle questioni programmatiche fondamentali, fanno balenare in molti l’idea di grosse alternative di alleanze trasversali rispetto ai partiti dominanti. La politica è davvero in gran movimento, anche se un movimento chiuso in se stesso e non porta a risolvere nessun vero problema). Il 23 scorso, a Mogliano, Pierferdinando Casini, segretario nazionale Udc, con Antonio De Poli, deputato dell’Unione di centro, rilanciano le ambizioni del gruppo: un laboratorio, per prendere atto che “ il bipolarisimo è fallito e che occorre lavorare per il terzo polo. Un’area progressista ma anche moderata che può arrivare al 13 per cento e oltre se metteremo insieme il Fli di Fini e Alleanza per l’Italia di Rutelli”. In una intervista al Frankfurter Allgemeine, Berlusconi, oltre a ripetere al solito che ha risolto come mai nessuno il problema del terremoto e, quanto ai rifuiti, la colpa non è sua ma delle amministrazioni locali (come se Provincia e Regione, in quei luoghi, non fossero di centro-destra), oltre alle solite accuse ai “giudici di sinistra che abusano del loro potere per fini politici”; ci ha tenuto a dichiarare che, in caso di nuove elezioni, lui certamente si ricandiderebbe come leader. Come scrive Apcom, l’affermazione di Berlusconi è diretta sia all’esterno, cioè a chi ‘manovra’ al centro, sia all’interno, ossia a quelle aree del Pdl che hanno cominciato a ragionare sul ‘post’. Inoltre, per ora, Berlusconi continua a spargere ottimismo sulla fedeltà dei finiani. E questo, sia nell’intervista al quotidiano tedesco che nelle conversazioni private. “Abbiamo il dovere di andare avanti, non possiamo essere noi a staccare la spina perché la gente non capirebbe” avrebbe detto il Cavaliere ai suoi interlocutori, salvo aggiungere: “Ma dobbiamo comunque tenere la guardia alta”. Anche perché sa bene che c’è un gran fermento di parlamentari che ha come obiettivo principale quello di non interrompere anzitempo la legislatura. E con tutti i politici impegnati in manovre, distingue, schermaglie verbali e nuove e vecchie alleanze, restano senza soluzioni problemi gravi, come quelli inerenti il lavoro e liberi di imperversare manager rampanti come Marchionne, che torna a fare la voce grossa ed intimidatoria, dichiarando, domenica a “Che tempo che fa”, che dei due miliardi di utili della Fiat, neanche un euro viene dall’Italia, dimenticando di dire, naturalmente, che se la Fiat è un grande colosso lo deve anche al fatto che è stato per grandissimo tempo il contribuente italiano, lo Stato, a impedirgli di affondare. “Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia”, ha detto l’ad nella trasmissione di Fazio, elencando poi tutti i problemi del sistema – Italia: “Siamo al 118esimo posto su 139 per efficienza del lavoro e al 48esimo posto per la competitività del sistema industriale. Siamo fuori dall’Europa e dai Paesi a noi vicini, il sistema italiano ha perso competitività anno per anno da parecchi anni e negli ultimi 10 anni l’Italia non ha saputo reggere il passo con gli altri Paesi”. Ed anche se ha aggiunto che tutto questo “non è colpa dei lavoratori”, ha fatto chiaramente intendere che orma si potrà lavoratore solo con le sue regole e rinunciando a molti diritti. Le dichiarazioni di Marchionne sono state subito commentate da vari esponenti politici e sindacali. “A Marchionne ricordiamo che l’Italia è il Paese di storico insediamento del gruppo automobilistico ove ha depositato impianti e soprattutto un grande patrimonio di esperienze e professionalità”, ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. “Le parole di Marchionne sono ingenerose nei confronti dell’Italia e dei lavoratori che hanno contribuito a fare grande la Fiat”, HA replicato Cesare Damiano, capogruppo in commissione Lavoro del Pd. invece il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, ha detto che invece, si può rispondere a Marchionne che “gli italiani, e in particolare la Padania, senza la Fiat in questi anni sarebbero stati meglio” e, inoltre, in questi ultimi anni, “gli italiani la Fiat se la sono comprata già due volte”. Secondo Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom, “già dodici anni fa i predecessori di Marchionne dicevano che, grazie alla globalizzazione, gli stabilimenti italiani erano pagati dai profitti brasiliani” we Marchionne ripete il motivetto per “umiliare il lavoro del sindacato”. Ma, commentiamo noi, il motivetto può ripeterlo, a causa di un vuoto politico autentico che lo rende una sorta di zar in una terra di nessuno. Altro che imprenditori illuminati e vessati, bloccati ed impediti dalla politica. Marchionne e Marcegaglia sono le espressioni di un turbo-liberiasmo che non tiene affatto conto dei diritti dei lavoratori e guarda solo agli utili e agli incassi. Come discesa il sindacalista Giorgio Cremaschi ad agosto, subito dopo la manovra da 24 miliardi, fatta di tagli alla spesa sociale, alla scuola, ai diritti e concordata pezzo per pezzo con la presidenza della Confindustria oltreché con Cisl e Uil, quando ai manager tipo Marcegaglia o Marchionne è sembrato che nelle maglie dei provvedimenti di Tremonti ci fosse qualche piccolo intervento sulle imprese, gli stessi hanno rapidamente contattato il governo e quei provvedimenti sono stati cancellati. E’ bene chiarire una volta per tutte che le riforme di cui si parla in Italia e in Europa sono delle vere e proprie controriforme sociali. Non hanno nulla a che vedere con quelle che nel nostro continente si svilupparono fino alla fine degli anni Settanta, ma semmai ne sono l’esatto svolgimento al contrario. Le (contro)riforme che si chiedono sono le privatizzazioni e i tagli alla sanità, alle pensioni, alla scuola pubblica, ulteriore flessibilità e precarietà del mercato del lavoro, ulteriori riduzioni dei diritti sociali. Nella sostanza la Confindustria, con i suoi diversi rappresentanti, chiede più soldi per le imprese togliendoli dallo stato sociale e dai salari. Di tasse che colpiscano davvero la ricchezza, i patrimoni, l’evasione fiscale guai a parlarne. Quanto poi al perché delle dichiarazioni di Marchionne, esso è sceso in campo non nell’arena politica diretta, come invece ha fatto Berlusconi, ma in quella, per i padroni ben più proficua, del conflitto sociale. Con il suo attacco al contratto, alle leggi, alla stessa Costituzione che ha sviluppato a partire da Pomigliano, Marchionne ha mostrato (e continua a mostrare) al sistema delle imprese, che si può fare ben di più di Berlusconi e senza gli inutili confronti e le defaticanti mediazioni politiche. E la politica distratta fra scudi ed aggregazioni, meline e rappresaglie, gli da davvero, una grossa mano.
Carlo Di Stanislao
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