Domenica attesa martedi’

“Finalmente domenica” (in originale Vivement Dimanche!) è il 21° ed ultimo film di Francois Truffaut, morto nel 1983, pochi mesi dopo la sua uscita, un noir in bianco e nero sulla memoria del grande cinema di Hitchcock ed insieme uno studio sull’amore, sulla donna, sulla meccanica che presiede alla nascita dei sentimenti. Per la prima […]

“Finalmente domenica” (in originale Vivement Dimanche!) è il 21° ed ultimo film di Francois Truffaut, morto nel 1983, pochi mesi dopo la sua uscita, un noir in bianco e nero sulla memoria del grande cinema di Hitchcock ed insieme uno studio sull’amore, sulla donna, sulla meccanica che presiede alla nascita dei sentimenti. Per la prima volta nel suo cinema il regista vi esemplifica un’opposizione di matrice sostanzialmente cattolica (una matrice, non dimentichiamolo, che è a fondamento del pensiero e della sensibilità di Truffaut): la donna tentatrice, sensuale, sfrontata (bionda) e quella devota, fedele, sensibile, seria ed onesta (bruna). Marie Christine, accusata da Julien di infedeltà, risponde con l’unico argomento che conosce, la sensualità del suo corpo, mettendo in provocatoria mostra le gambe. Si noti qui la splendida, acuta, finissima allusione al feticismo corporale (tema carissimo a Truffaut): la donna si copre il volto con un giornale; non solo, ella dice al marito che parla di divorzio “Non ti sento, Julien”: vale a dire, ogni via di comunicazione diversa da quella del corpo e della sensualità è del tutto preclusa. Ma le allusioni a questa “categoria” femminile sono molte di più: la prostituta deve essere bionda (lo dicono i magnaccia dell’”Ange Rouge”), la aspirante segretaria è troppo sicura di sé e naturalmente provocante. È un’opposizione che risale per lo meno alle Justine e Juliette di De Sade, ma Truffaut la concretizza ancor più quando attribuisce a Barbara la parte della figlia nel Roi s’amuse di Victor Hugo, quando fa rispondere alla ragazza, apostrofata da un tizio che per la strada l’ha presa per una prostituta e le ha chiesto “Quant’è?”, la memorabile battuta: “Le 7,35”, quando, con tocco pudico, aumentato, oggettivato dalla macchina da presa che procede oltre l’immagine della coppia ormai pronta all’amore e con l’aggiunta di una tenue dissolvenza in chiusura, fa spegnere alla ragazza la luce prima dell’amplesso. Barbara, insomma, è la vergine. E ad incrementare paradossalmente questa sua attribuzione ella viene presentata come divorziata, cioè come già sposata: la verginità, dunque, è una qualificazione dello spirito, non un fatto del corpo. Certo, il corpo assolve alle sue funzioni: l’inattesa visione della donna vestita in bianco e da tempo incinta al momento della cerimonia matrimoniale sottolinea la vera perdita della sua verginità, che soltanto l’amore può provocare. Altro che allusione alle vicende personali dei regista e dell’attrice, come vorrebbero invece i gazzettieri! Qui Truffaut si fa erede di una tradizione cattolica squisitamente francese che risale almeno ad Alain-Fournier (non solo quello di Le grand Meaulnes, ma anche quello di Le corps de la femme). Oltre a questo, si tratta di una ennessima (dopo il meta-film “Effetto Notte”), riflessione sul cinema e lo spettatore, con in Julien che osserva la lunetta con lo stesso atteggiamento di uno spettatore appena entrato nella sala cinematografica (si mette anche a sedere senza staccare gli occhi dallo “schermo”), o nella scena in cui l’avvocato si uccide chiuso nella cabina telefonica e circondato da un nugolo di poliziotti immobili “Costruito attraverso alcuni lunghi piani-sequenza (il ritorno della moglie a casa e il litigio visto dall’esterno; il primo interrogatorio al commissariato; la dichiarazione di Barbara a Julien e i prodromi dell’amplesso; la rimozione del cadavere di Marie Christine dalla casa secondo un percorso esattamente identico a quello che l’aveva vista entrarvi poco prima), Finalmente domenica! con le luci quasi caravaggesche del suo bianco e nero riporta solo in parte alla luministica del “giallo” classico americano. In realtà anche questi elementi concorrono a suggerire una forte componente onirica del film, un’altra indiretta riflessione sul fenomeno cinema, su ciò che in esso ci attrae, ci affascina, ci coinvolge. E i calci che i bambini del coro nella sequenza finale sferrano al copri-obiettivo del fotografo concorrono a rendere ambiguo, incerto, interrogativo il senso ultimo di questa pellicola, come il volto sorridente della protagonista, che guarda in macchina, verso il regista e gli spettatori. Il film sarà proiettato al Moviplex alle 18 del 9 novembre, nono episodio di quella serie di incorri denominati “Cinema D’Essai”, curati dalla stessa multisala e dalla’Istituto Cinematografico Lanterna Magica, con pellicole della nostra Cineteca cittadina.

Carlo Di Stanislao

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