Elezioni amministrative in Grecia ed inizio conteggio per le elezioni (già dichiarate da molti, fra cui Obama, una truffa) in Myamar. Su queste ultime, avvenute nel’ex Birmania dopo 20 anni di dittatura militare, per cercare di dare una facciata di democrazia a una delle nazioni più oppresse dell’Asia e sulla quale gravano sanzioni occidentali, le trasmissioni di Stato non stanno fornendo alcun dato elettorale relativo alla bassa affluenza ufficiale ai seggi, sui quali ha vigilato la polizia anti-sommossa armata, mentre camion militari hanno pattugliato le strade e neppure sul rilascio dei risultati ufficiali attesi dalla capitale Naypyidaw (ex-Yangon e, in precedenza Rangoon) entro un paio di giorni ma che, in realtà, richiederanno più tempo ad essere raccolti in questo Paese asiatico molto esteso con seggi in aree remote. Il voto è stato boicottato dalla Lega Nazionale per la Democrazia, principale partito di opposizione vincitore delle ultime elezioni nel 1990, ma al quale non fu mai permesso dalla giunta di prendere il potere; guidato dal premio Nobel Aung San Suu Kyi, alla quale è stato vietato dallo status quo autoritario di partecipare alla tornata elettorale del 2010, è stato costretto a sciogliersi. Sabato 13 novembre scadranno gli arresti domiciliari della sessantacinquenne Suu Kyi – la politica attivista in difesa dei diritti umani che è stata detenuta per 15 degli ultimi 21 anni – la cui liberazione è stata a lungo sollecitata dagli appelli internazionali e rinnovati anche in data odierna. Ma, nonostante tutto, alcuni analisti sono ancora ottimisti e sperano che queste elezioni inaugurino la fase di lenta transizione di un processo di democratizzazione in Myanmar, che potrebbe produrre cambiamenti negli anni a venire evolvendosi in un governo civile, in uno sfruttamento economico congruo della ricchezza di risorse naturali e della posizione strategica nell’Asia sudorientale tra Cina ed India. Sempre oggi, in Grecia, primo test per il governo di Papandreou, con le elezioni amministrative, vero proprio referendum sul piano di austerity varato dal governo per scongiurare la bancarotta. Il premier socialista, che gode in una consistente maggioranza in Parlamento, non ha escluso la possibilità di elezioni anticipate nel caso di una forte sconfitta del suo partito oggi in quello che è il primo turno delle elezioni regionali e municipali con i ballottaggi fissati per il 14 novembre. Le elezioni si sono svolte in un clima teso anche dal punto di vista della sicurezza, dopo la vicenda delle decine di pacchi bomba rinvenuti nel paese nei giorni scorsi, e che la polizia ritiene stati spediti da un gruppo anarchico. Sono stati così rafforzati i controlli e le misure di sicurezza in tutto il paese, e in particolare nei seggi elettorali. Ancora stamane, il presidente Barack Obama e’ giunto a New Delhi, proveniente da Mumbai, accompagnato dalla moglie Michelle e ricevuto, eccezionalmente, dal premier indiano Manmohan Singh, che ha trascurato il protocollo che non prevedeva la sua presenza sulla pista dell’aeroporto. Ma un strappo al rigido protocollo lo aveva già fatto anche il presidente USA, che prima di recarsi all’università di St Xavier a Mumbai, ha ballato con degli studenti di un liceo del sud della città che celebravano la festa indù delle luci, il Diwali. Parlando poi con gli studenti universitari. Obama ha avvertito che l’America ”non puo’ imporre” la partnership tra i India e Pakistani, sottolineando pero’ l’urgenza di un riavvicinamento tra le due nazioni. ”Sono assolutamente convinto che il paese che ha le piu’ grandi partecipazioni in Pakistan e’ l’India e se il Pakistan e’ stabile e prosperoso e’ il meglio anche per l’India. La mia speranza – ha detto il presidente Usa – e’ che si sviluppi la fiducia tra i due Paesi e che il dialogo parta magari da questioni meno controverse e arrivi fino a questioni piu’ serie”. Infine, per quanto riguarda la lotta al terrorismo, il presidente Usa ha riconosciuto i passi avanti fatti da Islamabad, affermando pero’ che non sono sufficienti. ”Penso che il governo pakistano abbia capito la minaccia che esiste ai suoi confini”. Ma ”i progressi” fatti nella lotta al terrorismo ”non sono stati cosi’ veloce come avremmo voluto”. Dopo quello complesso con la Cina, Obama cerca un dialogo con l’India. Fin dall’invasione dell’Afghanistan, l’India ha giocato un ruolo di primo piano nelle vicende di questo paese, fornendo innanzitutto un supporto decisivo agli americani in termini d’intelligence e favorendo i contatti con l’Alleanza del Nord anti-talebana. Scorgendo nell’occupazione afgana un’occasione unica per minare l’influenza del Pakistan in Afghanistan e promuovere i propri interessi geopolitici in un’area strategica del continente, l’India ha così progressivamente accresciuto la propria presenza. A tutt’oggi, Nuova Delhi ha investito 1,2 miliardi di dollari nella costruzione d’infrastrutture in Afghanistan, mentre oltre 4 mila cittadini indiani vi lavorano regolarmente nell’ambito delle costruzioni e della sicurezza. Ulteriori progetti per la realizzazione di arterie stradali che collegano Iran, Afghanistan e India, tagliando fuori il Pakistan, minacciano di gettare ulteriore benzina sul fuoco nelle relazioni tra i vari paesi dell’area. Islamabad teme precisamente un accerchiamento e di veder ridotto il proprio ruolo di primo partner commerciale con l’Afghanistan, la cui quota di commercio estero è scambiato per oltre un terzo proprio con Islamabad. A ciò si aggiunga poi il dispiegamento di quasi 500 uomini delle forze di polizia indiane in territorio afgano, una presenza scaturita dal rapimento e l’uccisione di un ingegnere indiano da parte dei Talebani nel 2006. L’intraprendenza indiana pone però un dilemma strategico agli Stati Uniti. Se Washington da un lato ha da tempo intrapreso un percorso di avvicinamento all’India in funzione di contenimento della Cina e, anche per questo, vede teoricamente di buon occhio un relativo coinvolgimento della più grande democrazia del pianeta in Afghanistan, dall’altro si trova costretta a muoversi con i piedi di piombo per non suscitare la reazione del Pakistan. Da questo paese dipendono infatti in buona parte le sorti della guerra al terrorismo che si consuma senza prospettive da otto anni a questa parte. Una nuova escalation del conflitto tra India e Pakistan è quindi quanto di peggio l’amministrazione Obama si possa augurare in questo momento. Mentre George W. Bush aveva promosso senza riserve l’ascensione dell’India a potenza planetaria – senza precedenti è stato, ad esempio, l’accordo sul nucleare nonostante Nuova Delhi non abbia mai firmato il Trattato di Non-Proliferazione – tra i due paesi si sono registrati alcuni attriti a partire da quest’anno. Già durante la sua campagna elettorale del 2008 d’altra parte, Obama aveva irritato il governo indiano quando aveva assicurato il contributo americano alla risoluzione del conflitto in Kashmir nell’eventualità di una collaborazione del Pakistan nella lotta contro Talebani e Al-Qaeda al confine con l’Afghanistan. Ora, con questa visita, deve ricucire un rapporto fiduciario indispensabile per lui e la sua Nazione.
Carlo Di Stanislao
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