E’ allarme negli Usa in queste ore per ciò che sarebbe accaduto a sud di Los Angeles, di fronte all’oceano Pacifico. Un video, trasmesso dalla CBS, dimostrerebbe un lancio missilistico avvenuto inaspettatamente ieri, con una scia di condensazione piuttosto evidente, come quella tipica di un vettore. Fonti della base dell’aeronautica di Vanderberg hanno precisato che il loro ultimo lancio risale a venerdi’ sera quando un razzo Delta III ha portato in orbita il satellite italiano Cosmo-SkyMed. L’altra ipotesi indica il lancio di un missile Slbm da un sottomarino nucleare per esercitazione. Ma “non v’e’ nulla che ci faccia pensare a un lancio del genere”, ha spiegato oggi il colonnello David Lapan, portavoce del Pentagono. Lapan ha aggiunto che nessuno lancio era stato programmato ufficialmente ne’ risultano errori. Il portavoce ha dovuto ammettere, però, che il fatto “non ha ancora una spiegazione” e che il Pentagono si e’ messo in contatto con alti dipartimenti del governo americano per “cercare di capire cosa sia accaduto”. Alcuni formulano l’ipotesi di un lancio di una società privata o, anche, di una larvata minaccia del governo USA nei confronti della irriducibile Corea. E a chi si meraviglia di ciò, ricordiamo, con Giuliano Ferrara, che se è vero che la frontiera individualista non è morta e per questo Obama deve oggi soffrire, è anche vero che un americano può scatenarsi in sogni pacifisti e politicamente corretti come il rifiuto della guerra del Vietnam e le proteste contro George Bush, ma questo non lo trascinerà su una linea utopica irrealistica, pericolosa per la sicurezza della sua Nazione. Mostrare, quindi, alla Corea il potenziale militare USA, può essere un mezzo di dissuasione. Barack Obama ha detto oggi che c’è molto più da fare per riparare i rapporti degli Usa col mondo islamico, un riconoscimento delle difficoltà di sradicare “anni di diffidenza”. In un discorso che ha dato risalto a una visita nostalgica in Indonesia, dove passò quattro anni da ragazzino, Obama ha parlato affettuosamente dei suoi anni di formazione nel più popoloso Paese musulmano del mondo. “L’Indonesia è una parte di me”, ha detto Obama, partito alle 4.45 ora italiana alla volta del summit del G20 in Sud Corea, prossima tappa di un viaggio in Asia di dieci giorni. Il suo discorso è stato un aggiornamento di un messaggio che aveva lanciato 17 mesi fa al Cairo dove aveva proclamato un “nuovo inizio” nei rapporti tra Usa e musulmani dopo le tensioni provocate dagli attentati dell’11 Settembre 2001 e la reazione del governo Bush. La Corea del Nord, intanto, ha definito una ”farsa infantile” la decisione di Seul di portare l’allerta terrorismo al livello più alto: si ”utilizza malignamente ogni occasione in cui si trova accanto a ospiti stranieri per sollevare animosità contro la Corea del Nord”, si riporta sul sito ‘Uriminzokkiri’, lo spazio web ufficiale di Pyongyang. Quinedi, in politica estera, tutti i problemi per Obama restano aperti ed in cerca di soluzioni. E c’è sempre, incombente, lo spettro della guerra valutaria fra Cina e USA da mettere in equilibrio. Al G20, oltre che di sicurezza, si parlerà certamente della crisi economica che ancora attanaglia molti paesi occidentali. Secondo l’OCSE i dati di settembre non mostrano nessun miglioramento per la media dell’area. Tra i Grandi paesi solo la Germania (che è al 6,7%) progredisce, mentre Corea, Olanda e Austria sono sorprendentemente attorno al 4 e il record negativo è della Spagna con il 20,8. L’Italia ferma all’8,3%. E male anche per gli Stati Uniti, bloccati al 9,6%, con un piccolo progresso rispetto al picco del 10% dell’ultimo trimestre 2009, ma peggio di giugno e luglio quando il tasso era stato 9,5. Al G20 la più agguerrita sarà la Germania, con il governo federale che ha difeso già ieri il proprio surplus delle partite correnti, messo in guardia contro il protezionismo commerciale e contro una guerra valutaria che sarebbe deleteria, proprio mentre molti osservatori già prevedono un rallentamento dell’economia nel 2011. Una politica che punta a tenere la propria valuta a livelli artificialmente bassi in modo da migliorare le opportunità commerciali di un paese è miope e alla fin fine fa del male a tutti», ha affermato il cancelliere Angela Merkel in un’intervista al quotidiano Die Welt. “Non è giusto che a subire un tale sviluppo sia una moneta stabile come l’euro, chiamata a sopportare da sola l’aggiustamento”. “Il pericolo più grave che dobbiamo affrontare è il protezionismo – ha poi precisato il cancelliere, questa volta in un’intervista al Financial Times pubblicata ieri -. Non stiamo facendo abbastanza per assicurare il libero commercio”. La Germania guarda con enorme preoccupazione alla decisione della Federal Reserve di iniettare altri 600 miliardi di dollari nell’economia americana (si veda Il Sole 24 Ore di sabato scorso). Dall’altro, l’establishment tedesco ha paura che la manovra possa indebolire il dollaro e spingere altri paesi a svalutare a loro volta, provocando un nuovo rialzo dell’euro. In questo frangente, i tedeschi possono contare sull’appoggio della Francia. Una agenzia di ieri, firmata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti, ha precisato che Berlusconi, che in un primo tempo si era detto bloccato dal problema alluvioni in Veneto, è invece già in volo verso Seul. In queste ore gli sherpa sono già a lavoro per redigere la bozza di dichiarazione finale, che, pare, affronti il tema degli squilibri commerciali e delle valute, nella consapevolezza che si tratta di questioni che mettono a rischio la ripresa dell’economia globale. Non crediamo che né la sua credibilità personale, a dir poco sbiadita in questi giorni, né la situazione italiana, con industria al palo e mancanza di veri piani di sviluppo ed in più tasse e corruzione galoppanti, secondo quanto dichiarato lo scorso mese dal nuovo presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino nel suo discorso inaugurale, farrano del Nostro Paese un protagonista del vertice. Il 5 novembre scorso, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha scelto il’occasione della sua Lectio magistralis in ricordo dell’economista Giorgio Fuà all’università di Ancona, per lanciare, ancora una volta, un forte richiamo sulla necessità di riportare al centro del dibattito di politica economica il grave problema di crescita dell’economia italiana. Si trattava, in una certa misura, di un tema obbligato, perché Fuà, l’economista fondatore dell’Istat scomparso nel settembre del 2000, è stato un grande studioso delle questioni dello sviluppo nei paesi industrializzati. E Draghi non si è tirato indietro. In un mondo nel quale sta cambiando rapidamente il peso specifico delle diverse aree economiche, ha affermato, la nostra economia risente più di altre di queste trasformazioni. Questo gap crescente, dice Draghi, rispecchia essenzialmente un divario di produttività del lavoro: nei 10 anni è aumentata del 22% in Germania, del 18 per cento in Francia e solo del 3 in Italia. Non basta: tra il 1998 e il 2008, cioè nei primi dieci anni di vita dell’Unione monetaria, il costo del lavoro per unità di prodotto nel settore privato è cresciuto del 24% in Italia e del 15% in Francia mentre in Germania è addirittura diminuito. E cìè anche, per Draghi, un grave rovescio della medaglia. “Senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari – ha affermato Draghi – si indebolisce l’accumulazione di capitale umano specifico, con effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità”. Come si vede ci presentiamo al G20 laceri e piuttosto impastoiati e, soprattutto, senza nessuna idea di come uscirne. Di recente l’economista Pietro Ichino ha ipotizzato una grande intesa tra lavoratori e imprenditori, nella quale questi ultimi rinunciano al lavoro precario in cambio di un contratto a tempo indeterminato reso più flessibile da una protezione attenuata per i licenziamenti. Magari non una soluzione definitiva, ma certo meglio di nessuna soluzione
Carlo Di Stanislao
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