In due secoli e mezzo di gestione del sito, cose così gravi non se ne erano viste. Siamo a sette crolli in un anno, di cui cinque solo nell’ultimo mese. Ciononostante le parole d’ordine dettate dal ministro sembrano essere ancora una volta minimizzare, dire che si tratta di strutture in gran parte ricostruite, dare la colpa alla pioggia, millantare l’inevitabilità, invocare la privatizzazione come ricetta per risolvere ogni male. Funzionale al governo ed ai suoi orientamenti, in ogni caso: terremoti, inondazioni, immondizia. Il crollo più grave quella della “casa dei gladiatori”, meno di un mese fa, l’ultimo dei giorni scorsi: la caduta di parte degli affreschi della facciata dell’officina infectoria, la cosiddetta “tintoria con fornace”, sempre su Via dell’Abbondanza, a pochi passi dalla casa dei gladiatori. Dopo il crollo del 6 novembre, che ha colpito in modo grave l ’unico edificio del genere rimastoci del mondo romano, il ministro, che dice in televisione che non esistono responsabilità ma che è tutto conseguenza del “sistema fragile” che compone il sito, ha anche nominato una supercommissione di esperti, tutti in realtà già con un ruolo di primissima responsabilità all’interno del ministero. La realtà è ben diversa da quella che ci racconta il ministro e ce la illustra su Terra il Presidente della’Associazione Archeologi, uno che ne capisce e che dichiara: “la colpa di questi crolli e dell’escalation del degrado di Pompei è solo la mancanza di manutenzione ordinaria, effetto dei tagli in bilancio operati da Tremonti e della dissennata scelta di spendere a Pompei 79 milioni di euro in apparenza ed effetti speciali, invece di pensare innanzitutto alla salvaguardia del sito: soldi finiti nella realizzazione del cantiere-evento della Casa dei Casti Amanti, negli spettacoli estivi al Teatro Grande e nell’installazione di ologrammi nella domus di Giulio Polibio”. Il patrimonio archeologico ha bisogno di attenzioni continue. Nel caso di Pompei si tratta di un’intera città che necessita di restauri e manutenzione costante e la Soprintendenza ha in organico solo tre restauratori e meno di dieci archeologi, a fronte di oltre 500 custodi. Molti edifici hanno strutture a più piani; sono case complete di dipinti e mosaici che hanno 2000 anni e vanno curate, altrimenti crollano, vuoi perché il terreno di aree limitrofe è ancora da scavare e grava contro le murature perimetrali (un terzo dell’antica città di Pompei è ancora da mettere in luce), vuoi perché i solai in cemento armato, realizzati nel secolo scorso, sovraccaricano le murature antiche. Certo, la perdita “Schola Armaturarum Juventus Pompeiani”, che era la palestra degli atleti dell’antica città romana dove furono rinvenute durante gli scavi molte armature adagiate su scaffali ed ora è ridotta ad un cumulo di macerie è un fatto grave; ma soprattutto bisognerebbe riflettere sul fatto che la perdita ancora più grande e silenziosa ed è costituita dai chilometri di mosaici, dipinti, intonaci e stucchi decorati che, lasciati all’incuria e all’acqua piovana, si sbriciolano, sbiadiscono al sole, svaniscono, finché i nostri siti archeologici si trasformano in campi di gramigna. E’ una perdita muta e incessante, che si può riscontrare percorrendo un qualunque sito archeologico e confrontando lo stato attuale con le foto di scavo e che generano vergogna dentro e fiori dai confini nazionali. In molti, tra cui Fulvio Bufi del Corriere della Sera, ritengono che il crollo della Domus dei Gladiatori (e gli altri) è un disastro contuiativo che ha un colpevole: la Protezione civile ed il Commissariamento, una gestione miope in cui l’archeologia e la tutela del patrimonio sono state accantonate in nome del marketing. La causa sarebbe quindi una gestione che sottrae risorse al restauro e alla manutenzione. Buona parte del patrimonio archeologico nazionale necessiterebbe solo di una maggior cura, di prevenzione, manutenzione e interventi di restauro da effettuare prima di arrivare alle situazioni di emergenza ed ai crolli. Il marketing intorno ai beni culturali, dovrebbe essere il modo per recuperare maggiori risorse da investire nella manutenzione e nei restauri. Il problema è che la manutenzione non fa notizia, non porta un ritorno d’immagine immediato, è un’azione silenziosa con frutti che si vedono nel tempo. Per questo interessa ben poco alla nostra classe politica, che preferisce dirottare i fondi su grandi mostre, su restauri di edifici simbolo, come il Colosseo, e su tutto ciò che porta subito lustro e consenso, rinunciando così, irreparabilmente, alla manutenzione ordinaria del patrimonio diffuso sul territorio. Come dicono in molti (e noi dovremmo tendere le orecchie attendendo l’avvio della ricostruzione vera), il problema vero è ribadire la centralità della conservazione, della prevenzione e della manutenzione. Vanno valorizzate le professionalità: archeologi, restauratori, architetti e storici, operai di scavo e disegnatori. Servono appalti trasparenti in un reale regime di libera concorrenza tra professionisti e tra imprese qualificate che garantiscano un livello di qualità alto degli interventi, attraverso leggi volte agli interessi della tutela e non a quelli del mondo imprenditoriale, senza soggiacere a logiche sindacali compiacenti ed ai dettami del mondo della politica, poiché questi sono i veri mali che portano all’incuria ed ai crolli, non la pioggia o il cemento. Ma non mi pare che il “governo del fare” si sia mai orientato in tal senso. Secondo la Soprintendente Jeannette Papadopoulos i crolli sono “possibili” e non devono destare allarmismi: “Si tratta di episodi possibili nel corso della vita di un vasto sito archeologico di duemila anni, soprattutto in condizioni climatiche come quelle di questi giorni e che non devono generare alcun allarmismo o generare casi sensazionalistici”. Solo ieri c’era stato il crollo di un muretto grezzo di sei-sette metri nel giardino della Casa del Moralista. Riferendosi a questo cedimento il ministro Bondi ha precisato: “Non c’è stato un crollo”, ma soltanto il “cedimento di un tratto di muro rifatto nel dopoguerra”.Il fatto è che non si fa nulla per impedire i crolli e le sparizioni nel silenzio di gioielli di storia che documentano la capacità umana e si continua a dire che, poiché va tuto bene, le cose debbono continuare così. Una metafora sgangherata ed amara della maniera che il governo ha di procedere, negando tutto, soprattutto ciò che è vero. Infine, poiché crediamo che il futuro di una Nazione dipenda soprattutto da quanto un Paese vuole e riesce a investire su cultura e sui giovani, non vediamo futuro per l’Italia, finchè sarà in sella un tal tipo di governo. Questa maggioranza che guarda con disgusto alla cultura, che continua, per dirla con Piercamillo Falasca, vicepresidente di Libertiamo, l’associazione di cultura politica vicina a Benedetto Della Vedova e a Futuro e Libertà, ad essere garantista con i potenti e giustizialista con i pezzenti, questa maggioranza che promette davanti alle telecamere e non mantiene nei fatti reali, va rispedita a casa e al più presto.
Carlo Di Stanislao
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