L’allarme immondizia non riguarda solo Napoli. A rischio (da anni) anche Palermo, mentre problemi prossimi venturi sono preannunciati dalle commissioni tecniche nel teramano ed in provincia di Campobasso. Inoltre degrado igienico e ambientale è denunciato a Catanzaro, mentre Federlazio- Ambiente, ha messo sul tavolo delle istituzioni, già il 30 novembre, una serie di richieste, per un totale di 600 milioni di euro, per evitare che l’intero sistema dei rifiuti di Roma e delle regione implodaEd ha fatto scalpore, in tutto questo, la dichiarazione di Vendola che ha detto sì ai rifiuti campani e no a quelli veneti, perché: “se muore Napoli crepa il Mezzogiorno”, mentre per l’immondizia veneta essa arriva solo “per moneta e commercio”. Vendola sa bene che i rifiuti speciali (così come sono codificati quelli che da oggi arrivano in Puglia dagli stabilimenti campani) sono regolati dal libero mercato. E che le tre discariche tarantine, dove saranno smaltite 500 tonnellate al giorno, per tre mesi, appartengono ad aziende private. Tuttavia, il governatore non rinuncia ad affondare il colpo polemico. I tecnici della Regione Puglia si mostrano prudenti. Sindacare sulla provenienza dei rifiuti non è facile. La legge pugliese che obbligava al principio “di prossimità” (lo smaltimento dei rifiuti nell’impianto più vicino al luogo di produzione) è stata giudicata illegittima dalla Corte costituzionale. Più che una prescrizione cogente, ai gestori privati delle discariche si potrà rivolgere delle richieste. “Il mandato ci è stato appena assegnato – dice il dirigente Antonello Antonicelli a La Voce – e dobbiamo ancora studiare la questione”. Intanto, ieri, si è registrata ancora una giornata nera per i rifiuti di Napoli, con lo stop dell’impianto di Tufino a bloccare il sistema, in lenta ripresa e a Terzigno, , da giorni allo stremo, con i manifestanti che hanno danneggiato due autocompattatori che tentavano di raggiungere la discarica da una via laterale. Ieri sono arrivati in treno da Torino 4 nuovi compattatori ed altri giungeranno da Firenze e sono stati individuati anche due nuovi siti dove sversare l’immondizia: le discariche a Nola e Afragol, ma Palmiro Cornetta, sindaco di Serre, ha detto “no” alla riapertura di Macchia Soprana. Ma la questione rifiuti, come detto e non da ora, riguarda la nostra intera Nazione. Il V Programma di Azione Ambientale indicava l’obiettivo di minimizzare i rifiuti sia in termini di volume che di pericolosità/danno ambientale, entro il 2000. Si proponeva, infatti, di ridurre la produzione di rifiuti urbani ai livelli del 1980, ovvero ad una produzione procapite di 300 Kg l’anno per due principali ragioni: primo perchè i rifiuti rappresentano una potenziale fonte di inquinamento; in secondo luogo perché i rifiuti contengono alti livelli di materiali riciclabili e riutilizzabili. Di nuovo, il VI programma d’azione ambientale dell’unione europea conferma che la prevenzione e la riduzione dei rifiuti siano da considerarsi fra gli aspetti prioritari per tutela dell’ambiente. In Italia, invece, la produzione dei rifiuti urbani continua ancora ad essere in aumento. Secondo dati ufficiali (Rapporto Rifiuti 2004, APAT-ONR), la produzione di rifiuti urbani nel 2003 si attesta a circa 30 milioni di tonnellate, equivalenti ad un valore pro capite di circa 524 kg/abitante per anno. Si registra, quindi, un incremento intorno allo 0,6% rispetto all’anno precedente, anche se certamente il tasso di crescita più elevato è stato registrato nel periodo dal 1995 al 2000, in cui la quantità di rifiuti urbani prodotti è aumentata del 12,2%, con un tasso medio annuo pari al 2,4%. Non bisogna, però, dimenticare come lo stravolgimento della normativa di settore possa, in qualche modo, aver contribuito ad apportare una variazione dei dati. Nell’agosto 2002, infatti, è stato emanato una Legge (n. 178), in cui all’art.14 si introduce una “interpretazione autentica della definizione di rifiuto”, in aperto contrasto con quella stabilita dalla legislazione europea. In base a questa disposizione di legge vengono sottratti gran parte dei rifiuti recuperabili dalla normativa di settore, pregiudicando fra l’altro la trasposizione delle direttive europee in Italia e quindi l’efficacia della normativa quadro sui rifiuti (il decreto legislativo 22/97, conosciuto come decreto Ronchi). milioni di tonnellate pari al 21,5% della produzione totale di rifiuti urbani in Italia, con una crescita della quota percentuale del 3% rispetto al 2002. La differenza fra le tre macroaree geografiche è ancora molto evidente: la percentuale di raccolta differenziata si colloca al Nord al 33,5%, vicino quindi all’obiettivo minimo indicato dal decreto Ronchi per il 2003, al Centro si attesta al 17,1% che così raggiunge con quattro anni di ritardo il target del 15% individuato dalla normativa per il 1999 ed, infine, al sud Italia si colloca ancora a livelli molto bassi e pari circa al 7,7%. Per quanto riguarda la gestione rifiuti urbani nel complesso, nell’arco del quinquennio 1999-2003 si osserva una riduzione dello smaltimento in discarica, che passa così dal 74,4% al 53,5%. Allo stesso tempo, però, si osserva parallelamente un aumento dell’incenerimento dei rifiuti. Il problema quindi è complesso ed annoso e non coinvolge solo questo governo. Ma ciò che va rimproverato ad esso ed averlo definito risolvibile in breve e senza alcun reale correttivo strutturale. Ad esempio, come nota Greenpeace, non facendo nulla per incentivare i programmi di riciclaggio seguiti dal trattamento meccanico biologico del rifiuto residuale, che in città del Canada e dell’Australia hanno portato a ridurre fino al 70% i rifiuti urbani da conferire in discarica ed incrementando l’incenerimento, che non rappresenta davvero ed in alcun modo, la soluzione del problema, il quale si risolve di là dalle dichiarazioni ad effetto, non sollevando i tappeti, ma creando percorsi virtuosi in cui i rifiuti non siano nascosti, ma riutilizzati, compostati e riciclati in condizioni di sicurezza garantendo, in tal modo, una soluzione sostenibile ad un problema globale. Ciò che più colpisce di tutto questo è la strana anomalia italiana in ambito europeo circa le modalità di gestione dei rifiuti stessi. Fa specie in particolare il ricorso esagerato alla discarica, quasi a voler sottolineare la generale scarsa efficacia della raccolta differenziata del nostro Paese rispetto agli altri Stati europei. Solitamente infatti vengono inviati alla discarica i cosiddetti rifiuti indifferenziati, verso i quali il nostro Paese nutre tutt’ora una spiccata propensione alla produzione (75% circa dei rifiuti totali). Mandare tutto alla discarica è il modo più semplice, comodo, economico ma ambientalmente sbagliato, e – purtroppo – in alcuni casi facilmente controllabile dalla malavita. Secondo la Corte dei Conti vengono inviati alla discarica circa 300 kg per abitante all’anno, o meglio oltre il 50% dei rifiuti prodotti, contro medie molto più basse di altri paesi europei, quali la Germania, la quale godendo a monte di una politica decisamente più efficace nella raccolta differenziata può “permettersi” una gestione dei rifiuti più all’avanguardia e rispettosa dell’ambiente, grazie soprattutto ad operazioni di riciclaggio. Riciclo che viene considerato dagli esperti come il metodo più efficacemente sostenibile, anche se complesso. Lo sviluppo di questa metodologia di smaltimento potrebbe inoltre favorire l’apertura di nuovi segmenti di mercato (e quindi nuova occupazione!) in cui nuove piccole e medie imprese si insinuano, recuperando materiali riciclabili per rivenderli come materia prima o semilavorati alle imprese produttrici di beni. Quanto, infine, ai termovalorizzatori (cari a questo governo), a loro volta basano il loro funzionamento sull’incenerimento dei rifiuti. Sfruttando la combustione così ottenuta producono energia elettrica e calore con rendimento energetico variabile. Pur trattandosi di un’altra strada da perseguire, va sviluppata attentamente e soprattutto entro certi limiti (come ha fatto per esempio la Germania), poiché a detta di molti esperti può provocare emissioni tossico-nocive (in particolare di polveri sottili e di diossine) e inoltre nel medio periodo potrebbe contrastare, per ragioni tecnico economiche, l’efficacia delle politiche di raccolta differenziata, in quanto se un inceneritore viene dimensionato per bruciare un certo quantitativo di rifiuti, dovrà essere alimentato per forza con quel quantitativo, impedendo di fatto la riduzione dei rifiuti e l’aumento ulteriore della raccolta differenziata, ossia l’anello della catena su cui invece si deve più puntare. Al contrario, persistere nella politica dell’uso delle discariche, invece, oltre a continuare a produrre tensioni sociali (come si stanno sperimentando oggi) per l’ormai arcinoto principio del “Nimby” (“Non nel mio cortile”), comporta uno spreco di materiale che sarebbe almeno in parte riciclabile, nonché crea grandi concentrazioni di rifiuti con inevitabili conseguenze sull’ambiente. Per cui non è certamente la soluzione ottimale per il futuro.
Carlo Di Stanislao
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