In un appartamento di una vecchia casa signorile, nel centro di Roma, viene perpetrato un furto. Il commissario Ingravallo della squadra mobile, ha appena iniziato le indagini per scoprirne l’autore, quando nello stesso edificio, nell’appartamento contiguo, viene commesso un assassinio. L’uccisa è Liliana Banducci, una donna ancora giovane e piacente, timida e riservata. Il nuovo delitto costringe il commissario ad estendere le indagini, che da principio procedono a stento, poiché gli indizi sono slegati e frammentari. Ingravallo si interessa soprattutto alle persone più vicine alla vittima: un cugino, sedicente medico, che l’uccisa riforniva periodicamente di denaro; il marito, uomo taciturno e schivo; una servetta imbarazzata e sconcertante. I sospetti del commissario si accentrano sui due primi personaggi e le sue indagini lo portano a scoprire che entrambi mantengono dei rapporti con Virginia, una ragazza che, a suo tempo, prestò servizio in casa di Liliana. Attraverso pazienti indagini, alternate con astuti tranelli, il commissario s’avvicina a poco a poco alla verità, che appare in piena luce quando il ritrovamento di alcuni gioielli rubati permette di collegare il furto e l’assassinio. Il ladro e l’assassino sono la stessa persona. Questa la trama, tratta dal capolavoro “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, di “Un maledetto imbroglio”, diretto ed interpretato da Pietro Germi, sceneggiato dallo stesso Germi con Alfredo Giannetti ed Ennio De Concini ed interpretato da Claudia Cardinale, Franco Fabrizi, Cristina Gajoni, Claudio Gora, Eleonora Rossi Drago e Nino Castelnuovo. Secondo il critico Ignazio Licata sarebbe stato molto difficile per il regista riprodurre il nuovo linguaggio di Gadda nel film: egli infatti sostenne di essersi limitato a confezionare un buon racconto giallo proprio quello che nel romanzo, che vuol essere piuttosto il manifesto di un nuovo stile letterario, un po’ si perdeva tra le considerazioni intellettuali dell’autore, che certo Germi non aveva molto apprezzato. Ma in effetti Germi ha assorbito gli elementi essenziali dell’opera di Gadda e, quasi inconsapevolmente li ripropone. La dove, ad esempio, Gadda mostra tutto il suo disprezzo per il fascismo, Germi, che ambienta il film in un’epoca successiva, lo ripropone quando fa scoprire in un armadio una grande foto di Banducci, un personaggio estremamente negativo, in divisa fascista. Nastro d’Agento nel ’60 per la sceneggiatura, è a tutt’oggi il miglio giallo italiano, un film che preannuncia sia l’imminente commedia all’italiana degli anni ’60, sia le lenti deformanti e impietose con cui Germi racconta la borghesia italiana in Sedotta e abbandonata (1964) e Signori e signore (1965). Il film è il penultimo appuntamento, che si concluderà con “Gang di Altman” il prossimo 14 dicembre, curata da Piercesare Stagni e realizata dall’Istituto Cinematografico la Lanterna Magica, con pellicole della Cineteca de L’Aquila, la terza per importanza in Italia. Il film è del ’59, lo stesso anno in cui Eleonora Rossi Drago e Jean – Louis Trintignant quasi coetanei, ballando in penombra sulle note di Temptation, iniziarono la loro storia d’amore proibita (Estate violenta, di Valerio Zurlini). In realtà lui aveva quasi trent’anni e lei trentaquattro, ma fu ugualmente convincente, (tanto da aggiudicarsi un Nastro d’argento) nella parte di Roberta, una donna matura che si innamora di un ragazzo molto più giovane. Un ruolo per cui Zurlini aveva pensato dapprima ad Anouk Aimée, ma che fu ben felice di affidare ad un’attrice italiana già popolare ed affermata che per la sua aria da signora elegante, della buona borghesia, aveva faticato non poco a trovare ruoli giusti per lei. Dopo aver accompagnato Nino Manfredi nel sua prima parte da protagonista (L’impiegato, 1959, di Gianni Puccini), negli anni ’60 partecipò a film di modesto rilievo, che offuscarono il suo grande stile (Se permettete parliamo di donne, 1964, di Ettore Scola; Il disco volante, 1964, di Tinto Brass; La Bibbia, 1966, John Huston). Intanto si affermò sul piccolo schermo ribadendo la sua innata eleganza e la sua grande intensità recitativa. La sua popolarità televisiva è legata soprattutto al ruolo di protagonista nello sceneggiato tratto da Turgenev Padri e figli (1958) e all’interpretazione di Frances Lawrence ne La cittadella (1964). L’ultimo film che girò fu Il dio chiamato Dorian (1970) di Massimo Dallamano, con Helmut Berger sulle orme del mitico ritratto di Oscar Wilde. Nel suo secondo film, dopo “I soliti ignoti” dell’anno precedente, l’italo-tunisina Claudia Cardinale, che, proprio in quegli anni, vive un avvenimento destinato ad avere molto peso nella vita e nella carriera: la nascita di un figlio illegittimo, più tardi affiliato da Cristaldi quando il produttore divenne suo marito (1967). Grazie al film di Germi e a quello di Monicelli, con la sua bellezza mediterranea, in cui spiccano soprattutto gli occhi (di volta in volta umili, maliziosi, corrucciati,…), la sua recitazione popolaresca e tuttavia sottilmente interiore, quasi disarmata perché priva di artifici, la Cardinale venne apprezzata da Luchino Visconti che in Rocco e i suoi fratelli (1960) le aprì le porte a maggiori traguardi, anche internazionali.
Carlo Di Stanislao
Lascia un commento