Bruno Barba, antropologo ed appassionato di calcio, in un libricino uscito pochi giorni fa (La 33esima squadra – Il sogno del mondiale con 23 giocatori da sogno”), ha descritto la sua squadra dei sogni, con i più grandi campioni di tutti i tempi ed ha immaginato, come allenatori, o Arrigo Sacchi o Enzo Bearzot, personalità e culture diverse, ma rappresentanti di un mondo sportivo di cui si è quasi completamente persa ogni traccia. Oggi nel calcio c’è molta organizzazione, ma poca democrazia e, soprattutto, pochissimo cuore. Calciopoli ha prodotti danni profondi, non si crede più al verdetto del campo e raramente si riesce ad indignarsi. Per i suoi 80 anni, nel 2007, furono organizzate delle celebrazioni a cui lui, ostinatamente, cercò di sottrarsi. Non amava infatti questo genere di cose e l’aveva già detto a caldo, a Madrid, quella sera di luglio di 25 anni prima: “La melassa soffoca”. Ma alla fine parlò ai microfoni di Radio 24, col suo vecchio amico e agiografo Gigi Garanzini che lo chiamava veicio già nell’82. “Il calcio italiano piange un maestro, che non dimenticherà mai: Enzo Bearzot si è spento, oggi a Milano, all’età di 83 anni”. Con queste parole inizia il ricordo dell’ex CT azzurro da parte dell’Inter, squadra in cui giocò dal 1948 al 1951, con 19 presenze in gare ufficiali. Poi Catania, Torino e ancora Inter, per la stagione (’56-’57) col maggior numero di parite: 27. Infine, da calciatore, ancora tanto Torino e, subito dopo, una carriera da allenatore che lo porterà dove tutti gli italiani lo ricorderanno sempre: sul tetto del Mondo, nel 1982, con l’Italia che vince in Spagna contro tutto e contro tutti. “L’Italia di Bearzot, appunto, che di quella squadra non è solo un grande CT (con 104 presenze ha il record azzurro fra i tecnici), ma il papà, la luce, l’uomo con la pipa che regala tranquillità, saggezza, semplicità e che, alzata la coppa, gioca a carte con il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, con Dino Zoff e Franco Causio. Ancora CT sino a Messico 1986, sarà coordinatore delle squadre nazionali sino al 1990. Aveva scelto Milano come la sua città, vivendola con discrezione e attenzione, ricordando volentieri l’Inter – il primo amore che non si scorda mai – lontano dai fasci di luce del calcio moderno e, al tempo stesso, sempre pronto a regalare preziosi consigli a tutti gli appassionati sinceri, come lui, del pallone. Lo chiamavano il ‘Vecio’, perché era saggio e perché, sin da ragazzo, parlava poco, senza essere introverso, ma misurando le parole ed il loro senso. Nella memoria di ciascuno l’esplosione di gioia di quella piccola grande Italia del 1982, che si affiancò a quella alzata verso il cielo di Pertini, dopo il gol di Tardelli che ci consacrava campioni. Bearzot è stato un personaggio unico, un punto di riferimento per tutti, per gli italiani in senso generale, anche per quelli che non amano il calcio. Qualcuno ha detto della pipa che “chiude la bocca allo stolto e aiuta a pensare il saggio”: Bearzot e Pertini, accomunati dalla stessa passione fumatoria erano, in modi diversi, due saggi che ci restituirono l’orgoglio di essere italiani. Orgoglio di altri tempi e di altre persone. Nato ad Aiello, in Friuli, nel 1927, Bearzot ha giocato per club come Inter e Torino ed è poi diventato allentatore del Prato, ma la sua carriera sulla panchina dei club si è interrotta quando è entrato nel mondo della Federcalcio, diventando allenatore della nazionale under 23, per passare poi alla squadra principale. Ha guidato gli Azzurri dalla Coppa del mondo in Argentina nel 1978 (quarta l’Italia) fino alla deludente performance di Messico 1986, dopo la quale ha lasciato la panchina azzurra. ”Di Enzo Bearzot – ha dichiarato il presidente della FIGC Giancarlo Abete – vogliamo sottolineare e ricordare innanzitutto le qualità umane e morali, il rigore della sua professionalità, uno stile di vita che resta un esempio per il calcio di tutto il mondo. Comportamenti lineari e sempre coerenti, una dimensione umana vera, non condizionata dalla realtà, spesso complessa, del calcio, sono stati i tratti principali della sua personalità. In questo momento di grande dolore e commozione – ha detto ancora Abete – il ricordo di Enzo Bearzot non può essere collegato soltanto alla grande gioia collettiva che ci ha regalato nel 1982 guidando la Nazionale Italiana al terzo titolo Mondiale in Spagna; la sua testimonianza di grande tecnico rimane un insegnamento per tutti quelli che amano lo sport e il calcio: Bearzot ha saputo rappresentare e trasmettere i grandi valori dell’uomo e dello sport”. ”La Federazione Italiana Giuoco Calcio – ha concluso Abete – ha avuto il privilegio di poterlo annoverare tra i suoi personaggi più illustri: anche in anni recenti, come presidente del Settore Tecnico di Coverciano, Bearzot non ha mai fatto mancare il contributo prezioso e intelligente della sua esperienza, delle sue idee, del suo esempio di vita, dentro e fuori i campi di calcio”. Come scriveva nell’82 su La Repubblica Gianni Brera, era un uomo pratico e professionale Bearzot, meticoloso e duro con tutti, a partire da se stesso ed era un maestro di vita, oltre che di calcio, uno che sapeva che un calciatore è prima di tutto un uomo. E’ morto ieri a Milano, città in cui viveva da molti anni, città che l’amava e che già medita di intitolargli una delle tribune del “Meazza”. Bearzot era il simbolo i una Italia di cui fidarsi, un Paese concreto e per bene, che di li a poco sarebbe stato inghiottito da ogni sorta di male. Il suo naso torto e camuso ricordava quello di Bartali e con quello condivideva onestà e coraggio. Scrive Marcello Nicchi, presidente dell’Aia: “E’ stato un uomo mai fuori dalle righe, sempre misurato, sempre rispettoso e disposto ad ascoltare, ma allo stesso modo sempre deciso, che si faceva rispettare perche’ sapeva quello che faceva”. Uomini così non possono che mancare, soprattutto oggi.
Carlo Di Stanislao
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