È un 2011 critico quello di molti paesi dell’area mediterranea che, anche grazie ai social network, ha portato migliaia di persone in piazza a manifestare contro disoccupazione, rincari alimentari, corruzione e cattive condizioni di vita. Ha cominciato la Tunisia questa “cyber-rivolta” il 17 dicembre quando Mohamed Bouaziz, un giovane diplomato di 26 anni si è dato fuoco avviando gli scontri che hanno costretto il 14 gennaio il presidente Zine El Abidine Ben Ali ad abbandonare il Paese. Hanno continuato l’Algeria il 7, l’Albania il 22, l’Egitto il 24, il Libano il 26 gennaio e anche Yemen, Marocco e Libia sembrano non essere immuni alle continue richieste di “pane e dignità”. Ovunque le stesse ragioni, la stessa voglia di cambiamento e la stessa violenta reazione del potere che ha portato morti, feriti e centinaia di arresti. E l’Europa?
L’Europa guarda e mentre i blogger diventano la prima linea dell’organizzazione e dell’informazione, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) si è appellata ai governi europei affinché si impegnino maggiormente e da subito per il rispetto dei diritti umani, in primis nei paesi nordafricani. Secondo l’APM, l’Europa “che finora non ha fatto molto per sostenere la democrazia in questa regione”, deve finalmente “esercitare pressione sui governi nordafricani affinché possa migliorare la situazione dei diritti umani”.
“La visita in Germania del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika avvenuta nel dicembre 2010 è un chiaro esempio dell’immobilismo europeo – ha spiegato APM – infatti, nonostante il partito al governo, il Front de Libération Nationale (FLN) di Bouteflika, sia considerato corresponsabile della morte violenta di oltre 120.000 persone durante la guerra civile che ha sconvolto il paese tra il 1991 e il 2001, nonché della scomparsa di oltre 20.000 algerini, […] Angela Merkel non ha nemmeno menzionato le parole diritti umani” o le persecuzioni del popolo Cabili.
Così, sottolinea APM, “Invece di parlare di diritti umani, la Merkel si è preoccupata dell’incremento delle relazioni economiche, della cooperazione energetica […] e dell’immigrazione clandestina, nonostante si sappia che il FLN e ambiti importanti delle forze di sicurezza algerini siano implicati nella tratta di persone” anche grazie al bavaglio sull’informazione denunciato da Human Rights Watch.
Non differente il trattamento in guanti bianchi dell’Europa nei confronti del Marocco. I colloqui del 15 novembre 2010 tra il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle e il suo collega marocchino Taib Fassi Fihri rispecchiano perlopiù lo stesso schema: “si è parlato di cooperazione energetica e avvicinamento del Marocco all’UE, mentre si è taciuto sui diritti violati dei Berberi, dei politici dell’opposizione e della limitata libertà di stampa dei giornalisti”.
“Perlomeno Westerwelle – ha concluso APM – ha accennato all’irrisolto conflitto del Sahara occidentale, ma l’impegno di Berlino riguarda unicamente il fatto che l’occupazione illegale del Sahara occidentale da parte del Marocco impedisce la firma di un accordo di pesca tra l’UE e il Marocco” e non del diritto all’autodeterminazione delpopolo Saharawi.
Sull’urgenza di una presa di coscienza dell’Europa e dei paesi coinvolti nei disordini è anche Amnesty International che ha chiesto pochi giorni fa, questa volta alle autorità tunisine, di “revisionare a fondo il sistema giudiziario e l’apparato repressivo di sicurezza del paese”. L’organizzazione intende sottoporre al nuovo governo di Tunisi una “Agenda per il cambiamento in tema di diritti umani”, che possa introdurre riforme profonde e stabili, in grado di rompere definitivamente con un passato fatto di decenni di violazioni dei diritti umani”.
“È un momento decisivo per la Tunisia – ha dichiarato Claudio Cordone, direttore della ricerche e dei programmi regionali di Amnesty International – e occorrono cambiamenti reali e non di facciata. Come primo passo, il governo deve immediatamente riprendere il controllo delle forze di sicurezza e fare in modo che siano chiamate a rispondere del loro operato. I diritti umani devono essere il nucleo centrale, e non un’opzione del programma del nuovo governo”. ”È semplicemente irresponsabile garantire il potere di sparare a vista” – ha dichiarato Hassiba Hadj Saharaoui, vicedirettrice del Programma per il Medio oriente e l’Africa del Nord di Amnesty. “Non è continuando a sparare ai dimostranti che sarà ristabilito l’ordine pubblico”.
Qualcosa di analogo si può dire dello Yemen? “Lo Yemen non è la Tunisia”, ha fatto notare il ministro dell’Interno Motahar Rashad al-Masri, affermando di non essere affatto preoccupato per le manifestazioni poiché “il nostro è un Paese democratico”. Una democrazia che vede da 32 anni lo stesso presidente, dove circa meta’ dei 23 milioni di yemeniti vive con due dollari al giorno, un terzo della popolazione soffre la fame e come ricorda Human Rights Watch “le violazioni dei diritti umani sono evidenti e verificabili su larga parte della società civile yemenita”. Non lo scopriamo oggi.
Appare quindi chiaro, come sottolinea lo scrittore Tahar Ben Jalloun, che “se gli algerini e i tunisini [e non solo] continuano ad essere stretti nella morsa di regimi totalitari, se in questi giorni la rabbia dei giovani senza speranze nel futuro sta esplodendo nelle strade da una parte all’altra dei due paesi maghrebini, lasciando sul terreno morti e feriti, è colpa anche dell’Italia e della Francia, che da anni continuano ad ignorare le violazioni delle libertà più elementari e l’indigenza delle popolazioni, pur di fare affari con Tunisi e Algeri, dove la democrazia non è certo di casa”. Occorre l’appoggio dell’UE per ripartire dai diritti del nord Africa, e occorre farlo in fretta, senza dimenticare il Marocco di Jalloun e la Libia di Gheddafi.
[A.G.] – Unimondo
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