Uno dopo l’altro, sono passati in sei davanti agli occhi del telescopio Kepler, e degli esterrefatti tecnici della NASA. Una sfilata a cui non capita di assistere tutti i giorni. Sei pianeti in orbita intorno a una stella simile al Sole, a circa 2.000 anni luce dalla Terra. Non a caso la scoperta si è guadagnata la copertina di Nature, con tanto di annuncio speciale in conferenza stampa presso il quartier generale dell’Agenzia spaziale statunitense.
“È raro scoprire un sistema planetario di questo genere, singolare e per certi versi sorprendente. Occorrono strumentazioni di grande precisione, oltre che un pizzico di fortuna”, commenta Raffaele Gratton, astronomo dell’INAF-OA di Padova. Questo sistema è una rarità per diversi motivi. In primo luogo, sono poche le stelle con più di un pianeta in orbita, e già questo basterebbe a rendere insolita la stella Kepler-11, “mamma” del sestetto (anche se il record spetta a un sistema da sette). Ma veniamo alle loro caratteristiche.
I cinque pianeti interni hanno dimensioni confrontabili a quelle della Terra e masse tra le 2,3 e le 13,5 volte il nostro pianeta. “Sono tra i più piccoli pianeti di cui siano state determinati contemporaneamente massa e raggio, il che permette di dedurre che sono gassosi, con una spessa atmosfera di gas”, scrivono gli autori della ricerca, 39 scienziati di 16 istituzioni differenti. Fatto curioso, i primi cinque sono vicinissimi tra loro, su orbite quasi complanari, praticamente a ridosso della loro stella. Impiegano meno di 50 giorni per compiere un giro, meno di Mercurio, con il più rapido dei cinque che completa l’orbita in appena 10 giorni. Il sesto pianeta, invece, si distingue. È più grande e distante, e ha un’orbita di 118 giorni.
“È quasi inspiegabile come sia formato un sistema di pianeti così impacchettato, eppure apparentemente stabile”, dice Gratton. “Corpi su orbite ravvicinate generano forti perturbazioni gravitazionali”. Forse i pianeti non si sono formati in questa disposizione, e si sono raggruppati solo successivamente. “Di certo è un sistema da studiare, potrebbe riservarci altre sorprese. Non è escluso infatti – prosegue l’astronomo – che vi siano altri pianeti, oltre a questi sei, a distanze superiori”. È solo questione di tempo perché passino a tiro perché Kepler possa vederli. Specializzato nella caccia ai ”sosia” della Terra, questo telescopio al lavoro dal 2009 “capta” il transito dei pianeti extrasolari dalle minime, eppur misurabili, variazioni nella luminosità delle stelle.
In un anno di osservazione, intorno alla stella Kepler-11 ne sono passati sei. Con un tempo più lungo, forse saremo abbastanza fortunati da vederne uno nella fascia di abitabilità, ossia alla distanza giusta perché ci sia acqua allo stato liquido. “Nessuno di questo sestetto può ospitare la vita”, chiarisce Gratton. “Sono troppi vicini alla stella. Mondi infuocati con temperature fra 400 e 500 gradi”.
La caccia a un pianeta gemello della Terra è ancora aperta: nel novero delle centinaia di pianeti extrasolari finora osservati non ce n’è uno con caratteristiche compatibili con forme di vita. A giudicare dai rapidi progressi in questo campo, quel giorno potrebbe non essere lontano. “Quel giorno segnerà una svolta epocale nella nostra visione del mondo e dell’Universo”, conclude Gratton.
Daniela Cipolloni
INAF
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