Esiste luoghi in cui i sognatori si riconoscono: sono il cinema ed il teatro, luoghi in cui gli esploratori, gli inventori, i visionari, uomini totalmente privi di buon senso, a cui spesso si devono le più belle scoperte, gli utopisti, uomini come i Leonardo, i Magellano, i Fourier, i Campanella, i Fitzcarraldo, possono trovare eco e manifestazione. Prototipo del sognatore irriducibile, da quattro secoli a questa parte, è Don Chisciotte, ideato da Miguel De Cervantes nel 1606 e che da tempo intrica tutti coloro che al sogno dedicano interesse, soprattutto in luoghi onirici come, appunto, il teatro ed il cinema. E un nuovo Don Chisciotte va in scena in prima nazionale, venerdì 4 febbraio, alle 21, al Teatro degli Illuminati di Città di Castello, con due protagonisti d’eccezione: Roberto Herlitzka e Lello Arena, diretti da Nadia Baldi, nella versione scenica di Ruggero Cappuccio, in cui l’allampanato cavaliere è Michele Cervante, un uomo dei nostri giorni, appassionato di letteratura epica, che vive in una profonda solitudine ed un totale isolamento. Emarginato da una società che lo respinge quotidianamente, perde contatto con il mondo reale, attivando una crescente energia visionaria che lo porterà a dialogare con i fantasmi della classicità. L’apparizione di un singolare personaggio che Don Chisciotte trasforma nel suo Sancio Panza, innesca il tentativo di riportare il protagonista entro i confini di una ritualità sociale cosiddetta normale. Ma egli, posseduto dall’anima immortale di Don Chisciotte, continua, ad alterare la relazione tra passato e presente, inseguendo una visione disperata e poetica dell’esistenza. La ricerca di un’ipotetica Dulcinea, che nella sua aspirazione si configura come il possibile e definitivo incontro di salvezza e di pace. Cappuccio si concentra sul conflitto tra modernità efferata e umanità poetica. Nella storia del protagonista deflagra il dramma del materialismo edonistico globalizzato che mortifica e aliena le risorse creative dell’individuo che, oltre alla storia del protagonista, si rende comprensibile la moderna tragedia delle minoranze del mondo, soffocate dal sistema massmediatico globale che scardina la coscienza critica e la rende permeabile ai ricercatori del consenso acritico. Il testo di Ruggero Cappuccio si concentra sul conflitto tra modernità efferata e umanità poetica, sulla solitudine, l’illusione, l’alienazione nel lirismo di una realtà che non è più o che non è mai stata, ma vive fresca nella memoria come ricordo presente. La regia di Nadia Baldi si attesta su confini immutabili, ma non per questo facilmente rintracciabili, quelli che da millenni vivono invariati nel cuore degli uomini. La messinscena, nell’interpretazione di Roberto Herlitzka e Lello Arena, utilizza una delicata indagine interiore a specchio per svelare il rapporto tra dolore e bellezza. Le musiche sono di Paolo Vivaldi, i costumi di Salvatore Salzano, il progetto scenico di Nicola Rubertelli, le luci di Franco Polichetti, mentre assistente alla regia è Iolanda Salvato. In questa messa in scena, curata da uno dei più interessanti autori teatrali dell’Italia di oggi, si coglie l’essenza del capolavoro di Cervantes, ovvero il tema dell’ impossibilità di realizzare l’assoluto in mezzo alla mediocrità del mondo e il conflitto tra ideale e reale, con momenti anche molto comici ed amaramente ironici, quanto non addirittura grotteschi. I due protagonisti, Don Chisciotte e Sancio Panza, solo le figure contrapposte rappresentano che incarnano la molteplice complessità dell’essere umano, dei suoi sogni, dei suoi desideri, di volta in volta spirituali e materiali. Letteratura e vita, teatro e vita nel Don Chisciotte si mischiano e ogni cosa è soggetta a diversi punti di vista. La riscrittura di Ruggero Cappuccio e la regia di Nadia Baldi, non compongono un vuoto approfondimento erudito, ma piuttosto una riflessione, quanto mai d’attualità, sull’eterno conflitto tra idealismo e realismo, sull’impossibilità, ma al tempo stesso la necessità, degli ideali per la sopravvivenza dell’umano. Qualche psichiatra s’è preso la briga di diagnosticare, a poco meno di quattrocento anni dalla sua sfolgorante apparizione nelle terre di Spagna, la patologia dell’hidalgo Quesada: secondo l’attuale nosografia, il cavaliere mancego fu affetto da parafrenia fantastica, una delle molte declinazioni della schizofrenia. Ma, la sua, fu certamente una salvifica follia, da imitare, forse, in un mondo incolto e privo di ideali, in un’Italia postribolare e volgarissima, in cui l’unico obbiettivo, da raggiungere con ogni mezzo, è quello dell’apparire. Questa piéce, ha trionfato a giugno al festival Asti Teatro 32, grazie ai due straordinari interpreti, alla riscrittura dirottata ai giorni nostri, con stile ricercato, netto, senza tempo e alla regia che colloca i protagonisti in uno spazio indefinito, muovendoli su un piano metafisico e ostinatamente rituale nei gesti e nei modi, che esalta la meccanicità ossessiva dei personaggi e li sospinge nella leggerezza della fantasia. Numerosi gli adattamenti teatrali del testo di Cevantes, considerato l’antesignano, con il Robinson Crosue di Defoe, del romanzo moderno. Fra i più celebri, quello di Alfonso Sastre, Il viaggio infinito di Sancio Panza, del 1987 e di Paolo Mingone Don Chisciotte, senza esagerare…, con lo stesso Mingone e Marco Marzoccco, con la partecipazione di Francesca Censi e la regia di Laura Cantarelli, negli anni ’90. Più di venti invece i film dedicati all’eroe della Mancia, a partire da quello muto di Lucien Nonquet, “Don Quixote”, del 1903. Terry Gilliam, che oggi vive proprio in un ex convento nei dintorni di Città di Castello, provo senza successo a curarne una versione funestata da ogni imprevisto. Il visionario regista, dopo il fallimento del 2000, ha annunciato, nell’estate scorsa, che ci riproverà, con protagonista Robert Duvall affiancato da Ewan McGregor. “The Man Who Killed Don Quixote”, aveva un budget di 32 milioni di dollari, ma calamità naturali che sconvolsero il set, situato in una zona deserta a nord di Madrid, vicino ad una base militare; i jet F16 che volavano in continuazione sopra, rendendo le registrazioni degli attori incomprensibili e, soprattutto l’infezione alla prostata del protagonista, Jean Rochefort, costretto al forfait, a riprese iniziate, dopo aver impiegato 7 mesi per imparare l’inglese, costrinsero Gilliam ad abbandonare il progetto, che poi arrivò (due anni dopo, nel 2002) comunque in sala con lo splendido documentario “Lost in La Mancha”, di Keith Fulton,con Louis Pepe, Terry Gilliam, Johnny Depp e Jean Rochefort. In una intervista a MTV, rilasciata ad agosto 2010, Gilliam, parlando del “Don Chisciotte” ha espresso le sue perplessità sui finanziamenti e detto, che “due terzi del film sono rimasti esattamente identici, ma è diventato qualcosa di completamente diverso”. Un ottimo modo per commentare il chiusura l’opera teatrale in prima a Città di Castello, qualcosa che conserva Cervantes ma ne fa un adattamento moderno del tutto convincente. Nato a Torre del Greco nel 1964, laureato in lettere e con tesi su Edmund Kean, oggi Ruggero Cappuccio è il direttore artistico di “Teatro Segreto”, di cui è presidente l’attrice e regista Nadia Baldi. Di solito gli adattamenti sia teatrali e cinematografici tradiscono lo spirito dell’autore, banalizzando i capolavori della letteratura mondiale. Cappuccio, drammaturgo e poeta, non è nuovo a questi generi di “adattamenti”. Ricordiamo il celeberrimo pluripremiato testo “Shakespea…re a Napoli”. Il suo merito è di cogliere i paralleli tra lo spirito dei classici e quello dei nostri tempi, tanto da conferire originalità alla sua scrittura, alla sua originale poetica. Roberto Herlitzka, vero “mostro” del teatro italiano, collabora con Cappucio e Nadia Baldi da oltre dieci anni, a partire dagli adattamenti di Tommasi di Lampedusa e de L’Orlando Fuorioso. Nato a Torino nel ’37, di origine ceca, allievo di Da Costa e D’Amico, nel 2004 si è aggiudicato un Nastro d’Argento e un David di Donatello come miglior attore per la sua interpretazione di Aldo Moro nel film di Marco Bellocchio Buongiorno, notte (che gli è valso anche il Premio Horcynus Orca quattro anni dopo) e ha ricevuto un Premio Gassman come miglior attore per gli spettacoli teatrali Lasciami andare madre e Lighea. In teatro ha lavorato con Luca Ronconi, Antonio Calenda, Luigi Squarzina, Mario Missiroli e Gabriele Lavia e, nel 2001, ha firmato la regia di ExAmleto di cui è anche unico interprete sul palcoscenico. Lo scorso anno lo ricordiamo nel fil televisivo “Mannaggia alla miseria” di Lina Wertmuller, da Ida Di Benedetto per Titania Produzioni, da Rai Cinema e Rai Fiction, con il contributo dell’Apulia Film Commission ed ispirato al fondatore della banca dei poveri, l’economista premio nobel Muhammad Yunus. Nel 2008 ha interpretato, sempre con riscrittura di Cappuccio, “Edipo a Colono”, dolorosa riflessione sulla morte e sulla vita umana, che è vista come un mistero, pieno di sofferenze ed apparentemente insensato, su cui infine si distende la morte come una forma di liberazione. Raffaello (Lello) Arena, napoletano di 58 anni, dopo gli esordi ne “La Smorfia” e, al cinema, affianco a Massimo Troisi, si cimenta nella regia e nella sceneggiatura con Chiari di luna (1988) e pubblica, nel 1993, ” I segreti del sacro papiro del sommo urz” , misto di riflessioni sulla vita camuffate nelle vicende di se stesso. Nel 2003 torna al teatro, recitando in Georges Dandin di Molière, con ottima riuscita critica e di pubblico. Lo ricordiamo ne “Il principe azzurro” (1989) accanto a Raffaella Carrà durante l’esperienza in Fininvest della soubrette e simpatico ed assiduo frequentatore del salotto di Costanzo. Assieme al comico Enzo Iacchetti ha condotto per due anni (1995-1996) la trasmissione satirica “Striscia la notizia”, oltre ad essere protagonista della sit-com Quei due sopra il varano.
Carlo Di Stanislao
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