“Expert opinion is based on existing knowledge. Discovery breaks down existing knowledge. Unless you do the experiments, you don’t know who is right”(Samuel Ting, Premio Nobel per la Fisica 1976). Immagino siate interessati a quanto successo in questi giorni in Nuova Zelanda, precisamente nella città di Christchurch (Regione Canterbury) che fino al 22 febbraio 2011 contava più di 390mila abitanti (www.ccc.govt.nz/). Il terremoto di magnitudo (Mw) 6.3 ha provocato numerosi morti (il bilancio, compresi i dispersi, è finora di 240 vittime) e notevoli danni nella seconda città più grande della Nuova Zelanda. Lo scorso 4 settembre 2010 un terremoto di magnitudo 7.1, a circa 10 Km di profondità, relativamente vicino alla città (40 Km), alle ore 4:35 locali non aveva creato danni sostanziali ed era stato visto e considerato come un successo della prevenzione: un alto numero di vittime sarebbe stato evitato “perché gran parte degli edifici erano in cemento armato e perché a quell’ora ben pochi erano in giro per le strade”, scrissero i giornali di mezzo mondo. Ma la scossa del 22 febbraio, stavolta epicentrale, a pochissimi chilometri di profondità, ossia dentro la città, ha colpito alle ore 12:51 locali (www.geonet.org.nz/). A 24 mesi dal disastroso terremoto di L’Aquila (Mw=6.3; 309 morti in una città di 72.609 abitanti) è lecito porsi una serie di domande, perché siamo innanzitutto vicini alle famiglie delle vittime di tutti i disastri naturali sulla Terra, amiamo la verità della scienza e siamo costruttivi. Insieme al dr. Warner Marzocchi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, co-chairman della “World Organization of Volcano Observatories”, che ringraziamo dell’intervista esclusiva gentilmente concessa, cerchiamo di capire l’essenziale e di trasmettere un messaggio chiaro e positivo. Cos’è successo a Christchurch? E cosa abbiamo imparato da questo evento? “Christchurch è localizzata in un’area di media pericolosità per la Nuova Zelanda; l’evento del 4 settembre 2010 (Mw 7.1) – fa notare Warner Marzocchi – è avvenuto vicino alla città, senza causare danni significativi. Ciò è un chiaro sintomo di una buona prevenzione e regolamentazione edilizia antisismica. Basti pensare a cosa potrebbe succedere in Italia se un terremoto di magnitudo 7.1 avvenisse a poche decine di chilometri da una qualunque nostra città non costruita secondo adeguati criteri antisismici. L’unica vera differenza fra noi e la Nuova Zelanda è la presenza sul nostro territorio di molti edifici storici e vulnerabili sismicamente. Le norme antisismiche valgono solo per i nuovi edifici per cui è fisiologico che ci siano dei danni anche ingenti fino a quando non si rinforzeranno tutti gli edifici vulnerabili costruiti nel passato. Ma questa non è una giustificazione per non iniziare mai questo processo. Rimane il fatto che un terremoto di grande magnitudo (7.1) avvenuto vicino ad una città in Nuova Zelanda non ha creato danni rilevanti”. Ma allora scientificamente perché il terremoto del 22 febbraio 2011 ha creato danni così ingenti a Christchurch? “Una risposta completa non è ancora possibile darla, perché occorrerà un’analisi completa dei danni, ma dai primi dati a disposizione emergono fenomeni aspettati e altri sorprendenti. Innanzitutto, l’accadimento di questo terremoto è una chiara evidenza di quello che noi chiamiamo cluster sismico, cioè del fatto che dopo un terremoto di magnitudo elevata, aumenti la probabilità che se ne verifichino altri nelle vicinanze. Sorprendente invece è stato lo scuotimento del terreno. È noto che anche terremoti di media magnitudo come il 6.3 di Christchurch, possono creare danni importanti. Quello che genera i danni è lo scuotimento del terreno. Solitamente, più è alta la magnitudo maggiore è lo scuotimento, ma non sempre è così. Altri fattori importanti, a parità di magnitudo, sono la profondità, la distanza dalle abitazioni, la tipologia del suolo, la direzione della frattura, ecc. Il caso del terremoto di febbraio a Christchurch è eloquente. Dai primi dati disponibili sulle accelerazioni del suolo registrate durante il terremoto, emergono valori molto più alti, fino al doppio e a volte al triplo, di quelli registrati a L’Aquila, e questi alti valori sono registrati in un’area più estesa di quanto visto a L’Aquila. Questi valori di accelerazione – fa notare Marzocchi – sono molto maggiori anche dei movimenti del terreno causati, sempre a Christchurch, dal terremoto di settembre di magnitudo 7.1. E questa, se i dati verranno confermati, è una sorpresa. Non è invece una sorpresa come questi scuotimenti violenti del terreno possano avere creato danni. Molti edifici di Christchurch erano già compromessi perché danneggiati dal terremoto di settembre e non c’era stato il tempo per sistemarli adeguatamente”. Insomma, una costruzione antisismica è paragonabile a un casco da motociclista: dipende dal primo impatto, ma la sua resistenza può essere seriamente compromessa e non reggere a un secondo urto. “Le dirò di più: questo tipo di scuotimenti può avere creato danni anche a edifici antisismici non danneggiati in precedenza. In ultimo è importante considerare che questo terremoto neozelandese è avvenuto di giorno e ciò aumenta sempre il numero di decessi: basti pensare ai morti di un autobus colpito da macerie”. I sismologi stimano l’attività futura dei terremoti tramite le probabilità: per quale motivo? “Ciò perché sono ben consci che la Natura mantiene sempre una sorta di imprevedibilità. Nel caso di Christchurch, mentre un terremoto di questa magnitudo in quella zona non è stata una sorpresa, lo è di certo la violenza del movimento del terreno generato da questo terremoto”. Cosa possiamo dire di questo terremoto rispetto al sisma del 6 aprile 2009 che ha distrutto la Città di L’Aquila? “La magnitudo è simile. Entrambi i terremoti sono avvenuti vicino alla città, ma quello di Christchurch era dentro la città e molto più superficiale. Questo in parte potrebbe spiegare le accelerazioni violente osservate, molto superiori a quelle del terremoto di L’Aquila, ma penso che occorrano più studi per capire a fondo il perché di tali scuotimenti. Inoltre, l’accadimento di terremoti ravvicinati nel tempo in aree limitrofe, ci ricorda che il centro Italia è ancora una delle aree a maggior probabilità di terremoto. Nonostante le incertezze intrinseche, ritengo che l’unica difesa seria dai terremoti resti, allo stato attuale delle conoscenze, la Prevenzione. Probabilmente non potremo mai azzerare i danni provocati dai terremoti per via di una certa imprevedibilità che sempre rimarrà, ma di certo si possono ridurre drasticamente con buone norme costruttive e una cultura del terremoto. Ognuno di noi deve sapere se il proprio Comune è in zona sismica o no, ed eventualmente in che categoria; deve sapere se la propria abitazione è vulnerabile o no agli eventi sismici; e lo devono sapere, e devono agire di conseguenza, anche i Sindaci e i responsabili per la verifica degli edifici pubblici”. In Italia i boati di Vittorio Veneto potrebbero annunciare una catastrofe epocale? “I boati sono un fenomeno ancora poco conosciuto, ma di sicuro non sono precursori di una catastrofe. Nel senso che non è mai stata trovata una correlazione significativa tra boati e grandi terremoti. Ciò non vuol dire che un terremoto non può venire, ma non si può dire che i boati aumentino la probabilità di tali eventi”.
Le iniziative per una corretta divulgazione scientifica non mancano. Nell’Anno Internazionale della Chimica, nel 150mo anniversario dell’Unità d’Italia, quando ormai è al via il programma scientifico dell’VIII Forum Italiano di Scienze della Terra (Torino, 19-23 settembre 2011), in occasione del suo 130° anniversario, la Società Geologica Italiana presenta il volume “The Geology of Italy: tectonics and life along plate margins”. La terra continua a tremare in Italia e nel mondo (www.emsc-csem.org) e l’occhio è sconcertato alla vista di una città come L’Aquila diventata un cumulo di macerie, parafrasando Robert Mallet (1862). Il dramma oggi è il tempo a disposizione dei singoli operatori per la prevenzione del rischio sismico. Non si leggono i report e le relazioni scientifiche, neppure quando vengono pubblicati a chiare lettere negli atti di convegni e congressi nazionali ed esteri. Per esempio, la magnitudo momento del terremoto della Piana del Fucino (ore 11:58 del 9 gennaio 2011 a 8,1 km di profondità) era molto simile alla magnitudo locale (ML=3.9). Le stazioni della rete sismica nazionale hanno funzionato e registrato tutto. È sconcertante il fatto che vi siano ancora oggi politici ed amministratori all’oscuro di tali studi e tecniche di rilevamento. E, come se ciò non bastasse, incapaci di valutare attentamente lo stato della situazione e di creare sul territorio, sotto la propria diretta e totale responsabilità, una rigorosa sinergia con ricercatori e scienziati qualificati. A tutto vantaggio di consulenze molto discutibili che esulano da qualsiasi validità e rigore scientifici. Questo è nulla in confronto a ciò che ci aspetta nel disgraziato ma, prima o poi inevitabile, caso di disastro sismico di livello cileno, asiatico e neozelandese. Allora in Abruzzo, in Italia e nel mondo, qualcuno (tra i sopravvissuti) scriverà la Verità. Gli scienziati hanno dimostrato, studi scientifici alla mano, che solo nella nostra regione Abruzzo (la vetta degli Appennini d’Italia ospita la civiltà umana da poche migliaia di anni, forse una dozzina, un brevissimo istante nella vita del Gran Sasso d’Italia dove il tempo geologico, dal nostro punto di vista, scorre più lentamente da decine di milioni di anni) esistono diverse sorgenti sismogenetiche attive e faglie latenti da migliaia di anni, potenzialmente capaci di fratturare e saldare rocce vecchie e nuove in grado di liberare per decine di chilometri energie di magnitudo molto più elevata dell’evento aquilano del 6 aprile 2009, pari a diverse Tsar bomb. Che fine farebbero le nostre città e la nostra civiltà? Senza creare inutili allarmismi, queste notizie sono facilmente accessibili nelle principali pubblicazioni scientifiche mondiali. Tuttavia, in Italia gli scienziati, pubblici e privati, corrono il rischio di finire perseguitati come ai tempi di Galileo Galilei. Paradossalmente si rimescolano e si rimestano responsabilità che dovrebbero essere imputate esclusivamente e totalmente su quanti censurano studi scientifici rigorosi, senza aver valutato con attenzione il rischio che andava profilandosi, per aver trasmesso messaggi rassicuranti alla popolazione e finanche per aver con somma presunzione dato l’impressione sui media, in uno straziante giuoco delle parti sicuramente autoreferenziale, di poter “prevedere” le mosse della Natura. Tutto il mondo ride dell’Italia per questi e non per altri motivi: la comunità scientifica internazionale ci osserva e non se lo spiega, mentre il “Golgota” mediatico si riempie di nuove croci alzate all’uopo sulle quali appendere innocenti e difendere altri Barabba. Conoscere dell’esistenza di una rete sismica nazionale non significa che bisogna abbassare la guardia della prevenzione per illudere la popolazione e per lasciare fare solo agli scienziati. Magari, in caso di tragedia, per imputare loro tutte le responsabilità. Soprattutto dopo l’evento aquilano del 6 aprile che ha distrutto la capitale d’Abruzzo, i politici veri e indipendenti dovrebbero fare “maxima culpa” e comprendere l’importanza del lavoro dei ricercatori e dei tecnici. La differenza tra la vita e la morte di decine (in futuro, forse, centinaia) di migliaia di persone, a volte, è questione di attimi. Non solo di progetti di legge divinamente ispirati da buone intenzioni. Delle quali sappiamo quali vie sono lastricate. Nelle decisioni per la pianificazione strategica del territorio, occorre assumersi le proprie responsabilità senza farle ricadere su chi non è stato investito sulla base del democratico mandato elettorale. Atti e fatti apparentemente impopolari ma preziosi sul piano strettamente politico-programmatico, potrebbero aiutare a far invertire la rotta, prima che sia troppo tardi. La Natura (sfido chiunque a 24 mesi di distanza dall’ecatombe aquilana, a negare l’evidenza) ci ha impartito una lezione che non può essere dimenticata tanto facilmente. Perché potrebbe sorprenderci di nuovo (è capace di tutto!) e come mai finora registrato nella storia della civiltà umana negli ultimi 10mila anni. La Natura non ama ripetersi (vale la regola degli artiglieri), aborre il vuoto e improvvisa sempre nuovi scenari, a volte sorprendentemente violenti, sconvolgenti e distruttivi. Il repertorio non manca in Abruzzo. Basta sfogliare la pagina geologica dei nostri monti per “leggerne” le rocce. La Natura può manifestare energie talmente epocali e comunque diverse dal 6 aprile 2009, dal 13 gennaio 1915 e dalle altre sequenze sismiche storiche note, da far impallidire gli autori del film “2012”. Kolossal saturo di spettacolari errori scientifici madornali. Occorre un sano realismo, avulso da tentazioni apocalittiche, timori ancestrali e illegittime aspirazioni divinatorie, per capire come stanno effettivamente le cose e per cominciare a mettere in totale sicurezza anti-sismica le nostre case. “La faglia è tipica di quelle zone – spiega il dr. Warner Marzocchi dell’Ingv commentando l’evento del 9 gennaio – ossia una faglia normale con immersione verso il Tirreno come quella del terremoto di L’Aquila. Per quanto riguarda l’Agu Fall Meeting 2010 le ricerche vanno avanti e non mi sembra di avere visto negli Usa alcun risultato eclatante, se non che le previsioni con il radon non sono considerate: infatti rispetto allo scorso anno l’interesse non è aumentato”. L’attività parossistica dall’Oregon al Messico lungo la faglia di Sant’Andrea, significa forse che siamo vicini al Big One californiano? “No – assicura Marzocchi – è successo altre volte in passato e non è mai accaduto nulla: in linea generale più è alta la sismicità più è probabile che avvengano altri terremoti, ma i miei colleghi americani non sono particolarmente preoccupati per il Big One ovvero lo sono come lo erano prima, non di più”. A quanto pare la collaborazione con gli scienziati americani produce buoni frutti. Sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature Geoscience” è in via di pubblicazione lo studio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sullo scaricamento parziale dell’energia nella faglia che ha generato il terremoto cileno di un anno fa. Secondo i geoscienziati le probabilità che il Cile sia colpito da un nuovo terremoto distruttivo dopo quello di magnitudo 8,8 del febbraio 2010 verificatosi a largo della costa di Maule, invece di diminuire, sarebbero cresciute. È quanto rivela uno studio dal titolo:“Limited overlap between the seismic gap and coseismic slip of the great 2010 Chile earthquake” di un gruppo di ricercatori dell’Ingv, dell’Università della California (San Diego) e dell’Università dell’Ulster (Irlanda del Nord). L’opinione comune suggerisce che dopo un forte terremoto la faglia che lo ha generato si sia scaricata e di conseguenza la regione interessata possa godere di una certa tregua prima del ripetersi di un altro evento. Sembra che la ricerca (valida per il Cile) mostri che lo stato di sforzo sia aumentato in modo significativo in una porzione della faglia “spezzatasi” l’ultima volta nel 1835. Gli scienziati hanno utilizzato dati di tsunami (la prima drammatica sequenza cinematografica del disastroso tsunami asiatico del terzo millennio, è contenuta nel film Hereafter di Clint Eastwood che rievoca i tragici fatti del dicembre 2004) Gps, radar e di sollevamento costiero, per valutare l’entità dei movimenti avvenuti durante il terremoto del febbraio 2010. Grazie a un loro modello matematico gli scienziati sono riusciti a stimare l’entità dello scorrimento sulla superficie di faglia, la variazione e l’accumulo di sforzo sulla faglia stessa. Hanno scoperto che i massimi movimenti della faglia (fino a 19 metri) sono avvenuti in un segmento a Nord dell’epicentro, a largo della città di Constituciòn. Molto più a sud gli studiosi hanno individuato una concentrazione secondaria dello scorrimento (fino a 10 mt) in prossimità dell’epicentro del grande terremoto di magnitudo 9.5 che colpì il Cile nel 1960. Così non è per il segmento centrale della faglia, nelle vicinanze della città di Concepciòn, soprannominato “Darwin gap” (dove Darwin osservò e descrisse un terremoto di magnitudo 8.5 nel 1835) che mostra uno scorrimento molto basso (meno di 5 mt) se confrontato con il resto della faglia. Per il geofisico Stefano Lorito dell’Ingv, primo firmatario dell’articolo, le conseguenze per il rischio sismico in questa regione, sarebbero evidenti. “Il modello indica che uno sforzo notevole si è accumulato in questa regione, aumentando la probabilità di accadimento di un altro forte terremoto di magnitudo tra 7.5 e 8”. Gli chiediamo se è possibile applicare tali modelli matematici allo studio del rischio sismico sul Gran Sasso e sui Monti della Laga. “Non credo, si tratta di scale spaziali, temporali e di magnitudo estremamente diverse (più piccole). Credo che questo introduca una complessità (anche strutturale, mentre la zona di subduzione del Cile ha una geometria che a confronto è estremamente semplice) tale da rendere queste tecniche inapplicabili. Nel caso del Cile abbiamo osservato che la rottura non si è propagata in tutta la zona in cui era attesa, aumentando (in senso relativo) la probabilità che si rompa una zona adiacente a quella del terremoto del febbraio 2010”. Dal terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009, vari articoli scientifici hanno evidenziato in forma esplicita l’impossibilità di previsioni deterministiche a breve termine dei terremoti. Panacea di tutti i mali per le evacuazioni di massa è naturalmente la previsione dei terremoti! Problema certo affascinante, stimolante e interessante ma che tutta la comunità scientifica internazionale ritiene ancora lungi da una soluzione positiva anche parziale. L’affermazione “i terremoti non si possono prevedere!”, è la Verità della Scienza cristallizzata in un documento inequivocabile firmato da migliaia di ricercatori e scienziati (www.mi.ingv.it/open_letter/) scesi in campo da 100 Paesi di cinque continenti (www.mi.ingv.it/open_letter/archive.php) per far capire alla gente come stanno davvero le cose. La Natura consiglia di non prendere lucciole per lanterne sismiche o vulcaniche (per la cronaca, le polveri del Sahara sono altrettanto nefaste per i turboreattori degli aerei!). Queste 5.165 firme dimostrano come la comunità scientifica internazionale, da sempre impegnata al servizio della società per l’identificazione e la riduzione dei rischi naturali, sia unita nell’affermare l’impossibilità di prevedere un terremoto nel breve termine in Italia come in ogni altra parte del mondo. L’appello è stato già appoggiato dalla Società Sismologica Americana, da quella Canadese e dal Centro Sismologico Euro-Mediterraneo. Attenzione: discorso a parte meritano gli tsunami e le eruzioni vulcaniche, fenomeni assai diversi anche se a volte concatenati! Per il professor G. Panza “le predizioni a breve termine possono apparire, a prima vista, le più utili, tuttavia per potere essere utilizzate nell’attuazione delle azioni di prevenzione, le previsioni devono essere fornite con una precisione tanto alta da potersi considerare probabilmente non raggiungibile. Attualmente la previsione dei terremoti è possibile con incertezze di varie centinaia di chilometri nello spazio e di alcuni anni nel tempo, previsioni evidentemente non sufficienti per un allarme rosso, ma sufficienti per predisporre azioni che possono ridurre i rischi”. A questo punto tre sono le nuove raccomandazioni desumibili da tutti gli articoli finora pubblicati dai ricercatori: in Abruzzo e nel mondo le faglie non vanno confuse con le sorgenti sismogenetiche; L’Aquila va ricostruita affinché non crolli di nuovo, cominciando ad affrontare il problema dallo stato della situazione; la Politica si svegli, ascolti le popolazioni e lasci fare ai tecnici, senza più alcuna censura sui lavori scientifici. I maggiori danni causati dal sisma aquilano sono imputabili alla bassa qualità costruttiva degli immobili, complicati da una geologia di superficie che in certe aree ha prodotto un’amplificazione delle onde sismiche e dei loro effetti superficiali. Il terremoto del 6 aprile non poteva essere previsto. Sulla base delle attuali conoscenze, la zona di L’Aquila era da tempo indicata come tra quelle a maggiore rischio sismico. Le argomentazioni esposte nella lettera aperta sottoscritta da oltre 5mila ricercatori di tutto il mondo sul fatto che, dopo anni di ricerca su scala planetaria, al momento non esiste alcuna metodologia scientifica per effettuare affidabili predizioni di terremoti a breve termine per le esigenze di protezione civile al fine di intraprendere rapidamente misure di emergenza, sono lapalissiane eppure ancora non comprese né dall’opinione pubblica né dai media. La comunità sismologica internazionale ha riconosciuto da molto tempo che il miglior approccio per proteggere la popolazione da terremoti catastrofici non è tramite la predizione (possibile per gli tsunami e le eruzioni vulcaniche) ma lavorando sulla mitigazione del rischio e sull’applicazione di misure appropriate di sicurezza affinché gli edifici non crollino come castelli di sabbia magari a causa di fattori di amplificazione locale questi sì prevedibili. La predisposizione di mappe della pericolosità sismica, cioè le stime sulla probabilità di eccedenza di valori predefiniti del moto del terreno per un certo periodo temporale in una determinata zona, forniscono le specifiche da adottare nelle norme di costruzione per evitare crolli di edifici, tetti, coppi e cornicioni sulle vie pubbliche con tutto il corollario di conseguenze. Immaginate soltanto cosa sarebbe potuto succedere a L’Aquila con un terremoto in pieno giorno, nell’ora di punta! Ovunque, ogni coppo una vittima. Così non è stato, grazie a Dio. L’Italia è un paese altamente sismico: corriamo più rischi della California, del Giappone e della Nuova Zelanda, a causa dell’alta antropizzazione dei nostri territori e dell’edilizia “libertaria”. La mappa della pericolosità sismica del territorio nazionale, che riassume decenni di ricerche sui terremoti e sui loro effetti e che è stata completata nel 2004, è il risultato del lavoro di molti scienziati. Oltre ad essere considerata una delle migliori in Europa, è stata adottata come base per la redazione delle Norme Tecniche per le Costruzioni (GU n.29 del 04/02/2008). La mappa di pericolosità dovrebbe essere vista come il contributo fondamentale fornito al loro Paese dagli scienziati italiani che si occupano di terremoti. Eppure la politica glissa, censura e tace colpevolmente. Le mappe di pericolosità sismica devono essere usate anche per trasferire alla popolazione i concetti di base di pericolosità, consapevolezza e preparazione al fenomeno sismico e vulcanico. Una coscienza sempre maggiore della pericolosità e del rischio dovrebbe incoraggiare le azioni di prevenzione da parte delle autorità territoriali senza attendere disposizioni dall’alto! Istruzione, consapevolezza, preparazione e interventi di rinforzo preventivo di tutti gli edifici sono al momento gli unici strumenti per mitigare l’impatto dei futuri terremoti catastrofici che ineluttabilmente si verificheranno. I mass-media invece di perdersi in chiacchiere, “tronismi” e gossip di bassa lega, dovrebbero sollecitare i poteri territoriali, il Governo italiano, le autorità e tutti coloro che hanno la responsabilità di decidere, a promuovere ed attuare programmi a carattere regionale e nazionale a supporto della valutazione e mitigazione del rischio sismico. La senescenza della classificazione sismica italiana va sicuramente combattuta e vinta alla luce delle nuove scoperte scientifiche che imprimono un necessario e urgente aggiornamento della selva di leggi e regolamenti che costituiscono in definitiva il grosso del potere effettivo dei sindaci prima e dopo le catastrofi. Il fallimento d’ora in poi non è contemplato, altrimenti piangeremo molte più vittime! Gli scienziati fanno già il loro dovere. In occasione del suo 130° anniversario che cade nel 2011, la Società Geologica Italiana presenta il volume dinamico:“The Geology of Italy”. Una volta completato, il volume fornirà un’importante base per la comprensione della geodinamica dell’Italia e per l’influenza che la stessa ha esercitato sull’evoluzione delle aree urbane. L’obiettivo dei curatori è quello di creare una sorta di libro di testo utilizzabile da studenti di livello avanzato e dottorandi che contenga anche del materiale utilizzabile per le lezioni. Eccone un assaggio in lingua inglese. Svilupperemo i temi di ricerca in contributi successivi. “Italy is home to a great variety of geological environments as a result of its long-standing position along plate margins. In this 130th Anniversary Volume of the Italian Geological Society we celebrate this diversity with a multi-faceted volume consisting of two parts, aimed at outlining the tectonic evolution of Italy and its influence on the development of urban areas, respectively. In the first part of this volume an up-to-date account of the geological evolution of Italy through time, from Palaeozoic to present, is provided. Twenty-four review papers from the fields of tectonics, petrology, geochemistry, volcanology, structural geology and geomorphology describe selected areas of the country that bear the signs of the widely different geological processes that shaped Italy. The final outcome is an easy-to-read account of the evolution of a geodynamically complex area, which, we hope, will be of use for students and lecturers alike. The extensive reference lists that accompany each paper are designed to provide a valuable starting point for further reading. Furthermore, in line with the tradition of the Journal of the Virtual Explorer, some contributions (Carminati et al., D’Ambrogi et al.) are accompanied by videos, offering a powerful teaching tool. The volume begins by providing the general framework to the rest of the volume, with the description of the lithospheric architecture of the Italian area (Brandmayr et al.), followed by an account of the present-day kinematics of Italy (Devoti et al.). Afterwards, the reader is taken through the sequence of tectonic events that shaped Italy from the Carboniferous, arranged in chronological order. The Variscan orogeny, whose traces are preserved in several parts of the country, is here discussed using the Argentera Massif in the Western Alps as case study (Compagnoni et al.). Spectacular evidence of Variscan subduction leading to mantle wedge metasomatism is found in garnet peridotites of the Ulten Zone (Scambelluri et al.). Post-Variscan collapse of the previously overthickened lithosphere was accompanied by multi-stage magmatism, which is especially well preserved in the Ivrea-Verbano Zone (Sinigoi et al.), for which a field guide is also presented. Orogenic collapse was followed by a complex sequence of tectonic events, including opening of the Palaeo-Tethys in the Permian-Lower Triassic and progressive crustal thinning from Late Triassic to Aalenian, eventually leading to opening of the Neo-Tethys (Gaetani). Multi-stage thinning of the lithosphere, as recorded in several ultramafic bodies preserved in the Western Alps and in the Apennines, culminated in the opening of the Western Tethys Ocean in the Middle Jurassic (Piccardo). Extensional tectonics ceased as the Adriatic plate started drifting northwards as a result of the opening of the Southern Atlantic ocean (Gaetani). The products of the tectonic activity along the newly formed active margin, starting from the Cretaceous, are now preserved in the Alps (Dal Piaz) and in the younger Apennines (Carminati et al.). The temporal and geometric relationship between the two mountain belts is described in the contribution by Molli et al. Formation of the Apennines as a result of the counterclockwise rotation of the Sardinian block, which was driven by rollback of the north-west dipping African slab, is extensively described in Carminati et al. and modeled in Funiciello & Faccenna. The evolution of the Apennines is dealt with in a number of papers that focus on specific aspects of the regional geology of the northern (Barchi et al.; Corrado et al.), central (Chiarabba et al.; Corrado et al.; Cosentino et al.) and southern (Scrocca et al.; Chiarabba et al.; Corrado et al.) sections of the chain. Smaller scale effects of the Apenninic orogenesis included the formation of the Northern Apennines and Calabrian arcs, which are described in Cifelli and Mattei. The complex tectonic evolution associated with the Alpine-Himalayan orogeny was accompanied by extensive magmatism, which is described by Alagna et al., Conticelli et al. and Bianchini & Beccaluva. Ongoing magmatic activity is responsible for a considerable amount of CO2 emissions in the atmosphere (Frezzotti et al.). The morphology of the Italian landscape as a result of its multi-stage geological evolution is discussed in the paper by Bartolini. Ferranti et al. present a synthesis of the recent vertical tectonic motion in Italy. This first part of the volume ends with a contribution illustrating 3D images and animations of selected surface and sub-surface geological features of the Italian area (D’Ambrogi et al.). As expected, the complex geological evolution of Italy and its extensive recent magmatic activity exerted a major control on the development of urban areas. This aspect is the subject of the concluding papers in the volume, where the examples of Mount Etna (Castagnino, Berlinghieri and Monaco; Cioni et al.), Mount Vesuvius (Morra et al.; Cioni et al.) and Stromboli (Cioni et al.) are described in detail. The urban development of Rome is discussed in Giordano and Mazza”. L’Antenna sismica sotterranea nel Laboratorio Nazionale Gran Sasso, UnderSeis (UNDERground SEISmic array) e l’interferometro laser Gigs, in grado di monitorare la radiazione sismica con elevata sensibilità, possono contribuire a queste ricerche: i dati prodotti da questi strumenti sono importanti e devono essere ulteriormente studiati. Decisamente ricco è il programma scientifico dell’VIII Forum Italiano di Scienze della Terra (Torino, 19-23 settembre 2011) dedicato ai giovani. “L’ottava edizione del Forum Italiano di Scienze della Terra – rivela Silvio Seno, Presidente di Geoitalia Fist Onlus per il biennio 2011-2012 – individua nella sostenibilità il suo motivo conduttore, sottolineando così il ruolo chiave delle geoscienze rispetto ad alcuni temi di importanza vitale per il presente e, soprattutto, per il futuro della nostra società. Energia e risorse, clima, acqua, infrastrutture, mobilità, difesa dai pericoli naturali, materiali innovativi, salvaguardia dei beni culturali sono tutti aspetti sui quali si svolge ricerca, sia di base sia finalizzata, in discipline che spaziano dallo studio dell’interno della Terra fino a spingersi ai limiti della nostra atmosfera ed oltre. L’opinione pubblica acquisisce una consapevolezza sempre crescente riguardo alle criticità che la società dovrà affrontare in campo ambientale: purtroppo non viaggiano di pari passo né la percezione di quali siano i comportamenti virtuosi né, tantomeno, la loro adozione. Questo deficit, che traspare inevitabilmente a vari livelli, dal politico fino al singolo cittadino, ha molteplici e complesse ragioni che gli effetti di un uso improprio del territorio mettono a volte in drammatica evidenza. Sicuramente è incrementabile anche l’informazione riguardo alle possibilità che le geoscienze hanno di fornire gran parte delle risposte tecnico-scientifiche ai quesiti più importanti, garantendo ai decisori gli strumenti per affrontare le sfide più impegnative: ad esempio la messa in sicurezza delle infrastrutture, l’approvvigionamento energetico oppure la tutela del territorio. Aumentare la visibilità delle Scienze della Terra ed evidenziare il loro ruolo strategico per il futuro della società è un traguardo generale condiviso da tutti. L’Ottavo Forum vuol declinarlo in modo specifico ponendosi in particolare due obiettivi: rivolgersi ai giovani, anche raggiungendoli attraverso i loro insegnanti di materie scientifiche con i quali Geoitalia Onlus ha avviato un dialogo costruttivo; indirizzarsi in modo marcato verso i possibili utilizzatori dei prodotti delle geoscienze, dalle amministrazioni centrali o periferiche ai soggetti privati, fino ai cittadini, cercando di sviluppare ulteriormente l’attitudine a rivolgersi loro in modo semplice e chiaro. L’Ottavo Forum potrà anche mettere l’accento sul fatto che per operare in chiave di sviluppo sostenibile non si può fare a meno di investire nella ricerca scientifica di base e finalizzata, nell’innovazione tecnologica, nella sperimentazione più avanzata e nella formazione: a tutti i livelli, quello delle lauree ma anche quello della formazione continua. Al tempo stesso potrà anche sottolineare che sviluppo sostenibile si coniuga spesso con la creazione di nuove opportunità, non solo per chi appartiene al mondo della ricerca. Basti pensare alla crescita di interesse e di investimenti nelle energie rinnovabili. Vorremmo per questo cogliere l’occasione dell’Ottavo Forum per offrire un luogo in cui discutere come sempre di aspetti scientifici, nel modo più aperto possibile a tutte le nostre discipline: ma al tempo stesso stimolare il confronto tra liberi professionisti, mondo accademico, enti di ricerca e industria sulle azioni che le geoscienze possono intraprendere per far crescere la loro presenza nelle politiche di gestione del territorio. La scelta del tema conduttore dell’Ottavo Forum assume anche il significato simbolico di raccogliere e rilanciare gli obiettivi ed i contenuti dell’ormai concluso triennio 2007- 2009 dedicato al Pianeta Terra. Il nostro territorio ha bisogno di attenzioni che non si devono mai spegnere”. Il mondo dei mass-media, quindi, dovrebbe sollecitare il Governo italiano, le autorità territoriali e tutti coloro che hanno la responsabilità di decidere, a promuovere ed attuare programmi a carattere locale e nazionale a supporto della valutazione e mitigazione del rischio sismico. La classificazione sismica in Italia va sicuramente aggiornata alla luce delle nuove scoperte. Gli scienziati e i ricercatori fanno già il loro dovere e meritano tutto il nostro rispetto.
Nicola Facciolini
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