La scuola pubblica è ormai priva di risorse umane, intellettuali, finanziarie. I soldi sono dirottati ai privati. La scuola è un ambiente abbandonato a se stesso, in cui si recita un desolante teatrino che prepara i giovani alla futura commedia borghese di cui scriveva Sartre. Ma senza la scuola il destino dei giovani potrebbe essere peggiore. Si pensi al sistema statunitense, dove decenni di neoliberismo hanno scardinato ogni diritto. Quella statunitense è una società in cui pochi godono di un sistema scolastico eccellente, mentre i ceti popolari sono costretti a mandare i figli nelle scuole rottamate. E’ un modello miserabile e classista che il duo Tremonti/Gelmini vuole applicare nel nostro Paese: non più comunità educante e democratica, ma una scuola-parcheggio dove i docenti addestrano gli studenti per aiutarli a superare i quiz a risposta multipla.
E’ innegabile l’importanza della scuola nella formazione del carattere, delle attitudini e delle aspirazioni dei soggetti in età evolutiva. Credo che un rinnovamento sociale passi anzitutto attraverso un rinnovamento culturale e morale, per cui è decisivo rilanciare la funzione della scuola. Il principale problema della scuola italiana è costituito dalla svalutazione della professionalità degli insegnanti, dallo stato di insoddisfazione e avvilimento che li attanaglia. Il potere d’acquisto degli stipendi è crollato vertiginosamente, pertanto occorre rivalutare la posizione economica degli insegnanti italiani, che sono i più sottopagati d’Europa. Solo così si potrà attivare un processo di riqualificazione della scuola, rendendo più appetibile la professione docente. Il recupero del potere d’acquisto condurrà ad un aumento del prestigio sociale e favorirà il rendimento dei docenti. A beneficiarne saranno anzitutto gli studenti. Questo è il circolo virtuoso che occorre innescare prima di ogni altra cosa per resuscitare la scuola.
Nella scuola odierna è possibile, oltre che necessario, rilanciare un metodo di gestione realmente partecipativo. In questa prospettiva conta più il metodo che la finalità di un progetto, in quanto è più importante il modo in cui si ottiene uno scopo, cioè il come, anziché il cosa. Nel nostro caso il metodo da recuperare si chiama “democrazia partecipativa”. In tempi di transizione la democrazia è un organismo fragile in quanto le inquietudini derivanti dalla crisi economica mettono a repentaglio le libertà individuali.
L’attuale situazione economica e politica evidenzia tali rischi: infatti sono in pericolo i diritti e le libertà personali. In fasi storiche segnate da una profonda crisi sociale ed economica l’unica democrazia possibile non è quella rappresentativa. Oggi l’unica democrazia possibile è la democrazia diretta. Nella scuola tale formula è incarnata dalla democrazia collegiale. Non ci sono altre modalità. L’alternativa sarebbe l’assenza di una reale condivisione e trasparenza democratica, la deriva verso il paternalismo e il dirigismo.
Pertanto, occorre riscoprire un metodo di gestione basato sulla più ampia condivisione possibile, un sistema collegiale da mettere in atto sin dalla fase di elaborazione iniziale di ogni iniziativa o progetto che riguardi l’educazione dei giovani. A proposito di progetti, in molte scuole anche quest’anno si è rinnovato il “miracolo” della moltiplicazione e della spartizione dei PON. I “progettifici scolastici” sono deprecabili non a priori, ma per ragioni pratiche. Nulla impedirebbe di appoggiare il finanziamento di progetti di qualità, purché siano discussi e realizzati seriamente. I “progettifici scolastici” si caratterizzano negativamente per una mancanza di trasparenza e rispondenza ai reali bisogni degli studenti, mentre obbediscono solo ad una logica affaristica. Non a caso i “progettifici” sono così chiamati proprio perché sono “fabbriche di progetti che premiano la quantità “industriale” a discapito della qualità.
Lucio Garofalo
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