Nelle pieghe della legge di stabilità per il 2011 si annida un’amara sorpresa che lascia sgomenti e interdetti: per effetto di alcuni commi che rinviano a provvedimenti del ministero dell’Economia riguardo eventuali scostamenti dagli introiti preventivati dalla vendita delle frequenze radioelettriche, sono stati congelati ulteriori 27 milioni di euro del Fus, già ridotto quest’anno a poco meno di 260 milioni di euro e, anche a causa di ciò, ieri si è dimesso, come un anno fa il suo predecessore Salvatore Settis, Andrea Carandini, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, nominato dal ministro Bondi nel 2009, motivando il suo gesto nella impossibilità, dati i vistosi tagli, di tutelare e sviluppare il patrimonio culturale italiano. “Il Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici – si legge in una nota ufficiale – ha preso atto nella seduta odierna della lettera di dimissioni irrevocabili del presidente, Andrea Carandini, nella constatazione dell’impossibilita’ del ministero di svolgere quell’opera di tutela e sviluppo del patrimonio culturale stante la progressiva e massiccia diminuzione degli stanziamenti di bilancio. Il Consiglio Superiore – aggiunge la nota -, condividendo le considerazioni del presidente Carandini, ha sospeso la seduta in attesa che il ministro compia un atto politico responsabile che garantisca il positivo interessamento del Parlamento e del governo riguardo la drammatica situazione i cui versano i beni culturali”. Rosy Bindi, presidente dell’ Assemblea nazionale del Partito Democratico, ha commentato: “Le dimissioni irrevocabili del presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, Andrea Carandini sono la prova della desertificazione cui Berlusconi e Tremonti hanno condannato la cultura del nostro Paese. Dopo Muti, oggi anche Carandini alza le mani e dichiara che i tagli inferti dal governo rendono impossibile svolgere il proprio lavoro. Non solo. Non si sa se per miopia o per un calcolo deliberato l’esecutivo ha fatto cadere uno dei settori fondamentali per il prestigio e il futuro economico del Paese in uno drammatico stato di abbandono”. Amaro anche Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc, secondo il quale le dimissioni di una “personalità di straordinario prestigio scientifico e non ideologicamente fazioso, dicono che la crisi del Ministero dei Beni Culturali è un dato drammatico e reale e che va affrontato al di fuori degli schieramenti di parte e con spirito di servizio per il bene del Paese.” “Il ministro di fatto se ne è andato – prosegue Buttiglione – e se ne è andato per le stesse ragioni per cui noi avevamo chiesto un passo indietro. Il Governo ha il dovere di intervenire con provvedimenti urgenti e seri per non decretare la chiusura del ministero e dell`intero patrimonio culturale italiano. Non è tempo di promesse ma di interventi concreti e immediati”. E’ certo che di fronte al taglio delle risorse per la conservazione e per la tutela del patrimonio artistico, di fronte alla crisi del sistema museale, dopo le proteste di Riccardo Muti, Bruno Cagli, Daniel Barenboim e Sergio Escobar, di fronte all’agonia del cinema, della musica e del teatro italiani, occorrerebbe fare molto di più che continuare solo a promettere risorse ed invece incrementare i tagli. E le cose non vanno meglio altrove, nonostante i richiami dell’Ue. Sempre ieri, il presidente della Commissione Europea, Jose’ Manuel Barroso, ha colto l’occasione della laurea honoris causa in Giurisprudenza conferitagli dall’Universita’ Luiss, per sottolineare che la ripresa ”c’e’ ma e fragile e difforme” e che l’istruzione e la cultura sono due settori fondamentali per garantire una crescita ”coesa e coerente” dei Paesi dell’Ue. L’intervento del presidente della Commissione europea e’ incentrato soprattutto sul riassetto della governance economica e finanziaria dell’Unione per garantire una crescita equilibrata di tutti i Paesi membri alle prese dall’uscita dalla crisi. Ed e’ proprio a questo proposito che Barroso ha sottolineato come le politiche economiche dei governi nazionali per la ripresa non possano andare a penalizzare l’istruzione e la ricerca, a cui devono sempre essere garantite le risorse. ”Non e’ intelligente tagliare le risorse ai settori della scienza, dell’istruzione e della cultura”, ha ammonito il presidente della Commissione europea ricevendo gli applausi della platea. Sulla stessa lunghezza d’onda la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, secondo la quale ”bisogna investire nella ricerca, nell’universita’ e nella scuola: c’e’ un problema di spesa ma – ha aggiunto la leader degli industriali – si tratta di uno dei pochi campi in cui bisogna continuare a investire, sia il governo nazionale che i privati”. Sul tema e’ intervenuto anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che a margine della cerimonia alla Luiss ha spiegato che, a suo parere, la riforma Gelmini ”rende piu’ competitiva la nostra universita”’ ma ha avvertito che il ”rischio e’ il sottofinanziamento”. Francesca Puglisi, responsabile scuola della segreteria PD, in una nota su Affariitaliani.it, si rivolge al ministro dell’Istruzione e afferma: “Un vecchio ritornello, tanto per denigrare come sempre i lavoratori della scuola. Forse il ministro Gelmini non lo sa ma nel nostro Paese abbiamo piu’ scuole che caserme. I collaboratori scolastici in Italia sono 132 mila e non 200 mila divisi su 42 mila scuole. Le caserme dei Carabinieri sono 4623. Il prossimo anno, dopo l’ennesimo taglio di questo Governo, i collaboratori scolastici diventeranno 125 mila, praticamente in ogni scuola ci saranno poco piu’ di due bidelli per tenerle aperte e pulirle ogni giorno. Forse non tutti si rendono conto del lavoro prezioso che svolgono questi uomini e donne. Nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie sono le persone che accompagnano i bambini in bagno, che li accolgono quando stanno poco bene, che svolgono, anche nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, un fondamentale ruolo di sorveglianza”. “Tutto questo – prosegue Puglisi – non viene compreso dal ministro che continua a considerare la scuola solo un costo e non un investimento per il futuro del Paese e che, nonostante i tanti richiami del Presidente Napolitano e del Presidente della Commissione Europea, riserva sempre solo parole di disprezzo per la scuola pubblica”. Tornando alle dimissioni dell’archeologo, ex docente della Sapienza prof. Caradini, ieri ha anche detto, Al Corriere della Sera: “nella politica italiana hanno vinto, da ultimo e finora, gli avversari della cultura e dei beni culturali che, non potendo abolire il Ministero, sono riusciti a deprivarlo di uomini e mezzi per neutralizzarlo”. E, in un colloquio con la Stampa e in un’intervista al Sole 24 Ore, Carandini ha anche sottolineato che i tagli “non sono affatto orizzontali” e l’atteggiamento del ministro Tremonti “è quello di tagliare in modo sbieco e un po’ sospetto”. Il sospetto di tagli indiscriminati, volti a colpire il meglio della nostra cultura, storia e tradizione, non è sorto soltanto a lui, poiché, dal suo insediamento, questa maggioranza ha dimostrato di non credere nella cultura. Come ha scritto il 9 marzo scorso, dopo gli ulteriori tagli di 27 milione di Euro, Silvio Orlando: “Se il governo avesse creato strumenti per attivare situazioni più dinamiche e vitali, sarebbe riuscito per la prima volta nella storia della destra italiana ad avere un ascolto, invece di andare avanti a colpi di tagli punitivi. Vendette tribali su una categoria dalla quale non si sente stimato e appoggiato. Il rapporto con la politica dovrebbe essere ribaltato. Nel mondo dello spettacolo si sviluppano le idee e si crea il consenso. Dovrebbero essere i politici a inseguire gli artisti e non viceversa”. Ma questo, soprattutto ora, non è certo nello stato delle cose di casa nostra. Vera e propria galleria d’arte del mondo, l’Italia è ricca di cultura. Che si tratti del frammento di una colonna che spunta dal pavimento di una stazione ferroviaria o di un frontone antico che giace ai piedi di una chiesa barocca, sarete costantemente immersi nell’arte e nella storia. Ammirerete tombe etrusche, templi greci, rovine romane, opere di architettura moresca e fontane barocche adorne di statue; all’interno di palazzi, chiese e musei vi estasierete di fronte a sculture romane, mosaici bizantini, madonne dipinte da artisti come Giotto e Tiziano, tombe barocche e soffitti decorati da trompe-l’oeil. Scrittori quali Virgilio, Ovidio, Orazio, Tito Livio, Cicerone, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ficino, Pico della Mirandola e Vasari sono tutti nati in terra italiana. Gli italiani hanno anche lasciato un segno importante nel campo della musica: oltre ad avere inventato il pianoforte e il sistema di scrittura musicale, annoverano musicisti quali Monteverdi, Vivaldi, Scarlatti, Verdi, Puccini, Bellini e Rossini. Il cinema non sarebbe quello che è senza Marcello Mastroianni, Anna Magnani, Gina Lollobrigida, Sophia Loren e senza i registi Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni e Bernardo Bertolucci. Ma, tutto questo, il nostro governo, semplicemente l’ignora o lo considera di davvero poco conto. Il patrimonio collettivo italiano, fatto di svariati contributi e conoscenze, sintesi di cultura latina e cattolica, punto d’incontro di numerosissime civiltà del mar Mediterraneo, territorio di diffusione di svariati movimenti artistici, oggi è bellamente lasciato nell’incuria e nell’abbandono. Certo l’Italia dovrà, e molto rapidamente, aumentare la propria credibilità sovrana di fronte al mercato e ciò implica tagli alla spesa pubblica: in tutto 100 miliardi nel periodo 2011-16. Tutto questo però, con manovre oculate e senza incidere su cultura o stato sociale, che sono le due ricchezze principali di questo Paese. Come ha recentemente ricordato il direttore della Wiener Philarmoniker di Vienna Franz Welser-Möst: “Risparmiare sulla cultura, come nel caso dell’Italia, è un grave errore della politica. Ed è pericoloso per la democrazia”, poiché “Ogni società si definisce attraverso la sua cultura. Relegarla ai margini, come sta avvenendo in Italia, è un grave errore della politica” ed un errore che altri Paesi (Germania, Francia Inghilterra, Austria), non stanno commettendo. E, per quanto riguarda la scuola, poi, ha anche detto che: “Definire i cittadini solo con la cartina di tornasole del reddito è offensivo verso di loro, come se nelle scuole, aspettando Einstein, tutte le lezioni fossero inutili”. Ed allora, contrariamente a quanto fa questo governo, occorre risparmiare sugli sprechi autentici e sulle inutili, milionarie commissioni o prebende ed investire sulla tradizione, perché questo significa autentica sfida per il futuro; occorre investire in conservazione e in sviluppo, puntare sulle nuove generazioni, che sono attratte dalla qualità e solo così sperare in un Paese migliore e con più respiro e maggiore speranza. Nikos Tzermias, che da quasi 10 anni lavora a Roma per la Neue Zuercher Zeitung, a dicembre ha scritto: “Berlusconi non è riuscito a mantenere le promesse fatte al suo popolo, limitandosi ad accompagnare il paese invece di aiutarlo a cambiare. E in un periodo di profonda difficoltà, la popolazione non è più disposta ad accettare che lui anteponga i suoi interessi personali a quelli dello Stato”. Di fatto, l’Italia sembra e trovarsi in una situazione di stallo, consapevole di non poter più continuare con Berlusconi, ma incapace di rimpiazzarlo e per dirla con le parole di Indro Montanelli, “Berlusconi è un macigno che paralizza la politica italiana”. Ed il giornalista francese Philippe Ridet, è giunto a parlare del nostro come di un “paese senza sogni” e che non ha più voglia di esistere, né al’interno né sul piano internazionale. Un Paese che non spera e non ricorda, non conserva e non crea cultura, ma solo ansia, angoscia, edonismo e frustrazione. Mi tornano alla mente le profetiche (al solito), parole di Pasolini: “Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. (…) una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto “mezzo tecnico”, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre”. Ed è palese che il prodotto di questi “nuovi mezzi di comunicazione” è Berlusconi ed il suo modo di vedere le cose. Le pa<role di Pasolini si riconducono a quanto detto, a “Parla con me”, l’altra sera da Andrea Camilleri: “Sotto il fascismo ero più libero di quanto voi siete adesso”. Ma, forse, come ho detto più volte e amaramente, come sosteneva Sciascia e sostiene ora Bocca, la verità vera è che gli italiani in fondo, non abbiamo mai smesso di essere un po’ fascisti, estranei ai problemi storici o culturali, allergici ad ogni forma di arte o cultura. Un po’ conformisti, un po’ sprezzanti e violenti verso il diverso, un po’ diffidenti verso gli altri, un po’ in cerca di una guida carismatica che gli faccia sognare una vita diversa dallo schifo che vivono ogni giorno e a cui delegare la facoltà di pensiero.
Carlo Di Stanislao
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