Nord-Africa: lo stato delle cose

Le rivolte in Nord-Africa hanno già rotto l’equilibrio politico su cui si reggevano Tunisia ed Egitto, interessato Yemen e Bahrein, lambito Giordania, Arabia Saudita, Algeria e Marocco e, in Libia, scatenato una vera e propria guerra civile, dal profilo e dagli esisti ancora molto incerti. In ognuno dei questi paesi ci sono particolarità e motivi […]

Le rivolte in Nord-Africa hanno già rotto l’equilibrio politico su cui si reggevano Tunisia ed Egitto, interessato Yemen e Bahrein, lambito Giordania, Arabia Saudita, Algeria e Marocco e, in Libia, scatenato una vera e propria guerra civile, dal profilo e dagli esisti ancora molto incerti. In ognuno dei questi paesi ci sono particolarità e motivi specifici, ma, ovunque, ricorrono due temi: rivendicazione di migliori condizioni economiche e di vita e rifiuto di regimi polizieschi e oppressivi. E, nel loro insieme, lo stato delle cose appare così minaccioso che, al confronto, il disastro del Giappone impallidisce. Il problema vero, scrive su Carta.org Nicola Casale, è che tutte queste rivolte esigono una democrazia con un inequivocabile contenuto economico e non con riti quadri-quinquennali di manine che depositano schede senza poter decidere nulla di sostanziale; una democrazia dominata da un preciso scopo: abbattere i privilegi delle caste di potere e mettere in moto tutte le risorse esistenti per consentire a giovani, donne, lavoratori manuali e non, contadini e diseredati di avere l’opportunità di guadagnarsi con dignità di che vivere. Di fronte ai cambiamenti in Tunisia, Egitto e delle condizioni in Libia ed in Siria, c’è un evidente imbarazzo europeo, superore e più grave di quello statunitense. Per troppi anni, infatti, la “stabilità” e la “sicurezza” sono state le parole magiche cui l’Europa è ricorsa per puntellare i regimi della sponda sud del Mediterraneo e la bussola che ha guidato la diplomazia fino alla fine di Ben Ali – e anche dopo – è stata quella della lotta al fondamentalismo e al terrorismo e del contenimento dell’immigrazione. La dittatura è parsa la strada migliore per assicurare tutto ciò e la cosiddetta “nuova politica mediterranea” progettata dall’Europa, come risposta all’emergere del fondamentalismo e del terrorismo e all’aggravarsi degli squilibri economici e sociali di cui l’emigrazione era uno degli aspetti rivelatori, si è basato soprattutto su questi assunti. Ma è bastato che un disperato ambulante tunisino si desse fuoco in una piccola località della profonda Tunisia, Sidi Bouzid e che Piazza Tahrir del Cairo si muovesse, per togliere il velo dell’ipocrisia ai primi 15 anni di partenariato euro-mediterraneo. Si, perché i problemi, anche se riguardano l’occidente intero, sono stati e sono soprattutto europei. Dopo la fuga di Ben Ali, i primi ad arrivare a Tunisi sono stati i diplomatici degli Usa. L’Ue, invece, sia in Tunisia che in Egitto, dapprima auspicava il mantenimento delle dittature, quindi chiedeva il placarsi delle violenze, suggerito l’avvio di un processo di transizione. In altre parole, si è lasciata guidare dagli avvenimenti, mostrando una scandalosa mancanza di strategia. Sorprendente particolarmente l’assenza dell’Italia, che, in tre lunghi mesi , non ha manifestato alcun gesto politico significativo nei confronti di Tunisia ed Egitto, parlando, sì, di Berlusconi e di Mubarak e certamente fino alla nausea, ma non certo in ragione della crisi in atto. Come scrive sul blog Isola di Sinistra Luciano Ardisei, saltato il tappo della sicurezza, l’Europa rimane paralizzata dalla paura della piazza e dal possibile dilagare del fondamentalismo islamico e del terrorismo. Ma è proprio questa paura a rivelare il fallimento della sua politica. Se l’appoggio senza condizioni alle dittature ha lasciato intatto il timore verso il fondamentalismo, significa che le dittature non hanno funzionato neppure in termini di interessi e di attese dell’Europa. Lo dimostrano i casi di Tunisia ed Egitto: la rivolta popolare è frutto della mancanza di libertà e di condizioni di vita decenti. In una parola, le dittature hanno privato la gente della dignità ed è di questa che le folle si vogliono in primo luogo impadronire. Nello Yemen i ribelli Huthi del nord, sciiti di rito zaidista, hanno annunciato, ieri, di aver preso il controllo della provincia di Saada e proclamato la sua indipendenza dal governo centrale di Sanaa; mentre lo sceicco Sadiq al-Ahmar, capo del partito islamico al-Islah, considerata la principale formazione di opposizione, in un messaggio apparso sul sito del suo partito, ha detto di temere che: “il regime yemenita, guidato dal presidente Ali Abdullah Saleh, sta pensando all’esecuzione di omicidi eccellenti come soluzione per uscire dalla crisi in corso”. Altre fonti dell’opposizione hanno rivelato che sarebbero in corso tentativi da parte di alcuni ambasciatori yemeniti di alto rango di dare vita a una transizione di potere per scongiurare uno scontro frontale tra le forze del regime e quelle dell’opposizione, ma anche in quel Paese sembra si sia ad un passa da una guerra interna e fratricida. Non meno grave la situazione in Bahrain, Paese in cui le nazioni del Golfo continuano ad inviare truppe per sostenere la repressione delle proteste e, ieri, un soldato saudita è stato ucciso da un proiettile sparato dai manifestanti. Della Sira si è già detto e la situazione rischia di esplodere anche in Marocco, da dove iniziano anche gli esodi, con una nave con 1.800 profughi, partita ieri dal porto di Tripoli, che è giunta stamani davanti alle nostre coste. Pare che la nave battente bandiera marocchina, abbia chiesto solo di fare rifornimento, ma la situazione non e’ chiara e dal Viminale e’ arrivato uno stop. Secondo alcune informazioni, lo stesso governo del Marocco avrebbe preso in affitto la nave per riportare a casa i connazionali in fuga dalla Libia, ma in realta’ non e’ ancora chiaro quali siano le reali intenzioni degli immigrati imbarcati e, finche’ non ci saranno certezze, il Viminale ha chiesto al ministero della Difesa e a quello dei Trasporti di evitare l’ingresso del traghetto in acque territoriali italiane – considerando eventualmente la possibilita’ di fare rifornimento in mare – e al ministero degli Esteri di contattare le autorita’ marocchine per cercare di sbrogliare la matassa. Il rischio e’ che gli extracomunitari marocchini, una volta giunti in Sicilia, decidano di non ripartire, proprio nel giorno in cui si contano a decine gli sbarchi e gli avvistamenti di barconi a Lampedusa e l’emergenza immigrazione tiene banco nel colloquio tra il presidente della Commissione Europea Jose’ Manuel Durao Barroso e il premier Silvio Berlusconi, che non ha nascosto apprensione – in alcune conversazioni private – per la possibilita’ che in Italia arrivi un impressionante numero di migranti e che l’emergenza possa provare il Paese. “L’Italia puo’ contare sulla solidarieta’ politica e finanziaria” dell’Ue, ha assicurato Barroso. Che ha aggiunto: “Tutta la Commissione e io personalmente vogliamo una maggiore solidarieta’ e condivisione degli oneri. L’Italia si trova in prima linea sulle coste meridionali del Mediterraneo ed e’ legittima la sua preoccupazione”. Parole che sono state accolte con soddisfazione dal presidente del Consiglio Berlusconi, che ha ringraziato Barroso “per quanto fatto” e per la decisione di “presentare presto, ritengo entro giugno, un piano per la gestione dei flussi migratori”. “Ci aspettiamo – ha aggiunto Berlusconi – che dal piano della Commissione Ue escano misure di concreto sostegno al nostro Paese”. Ma dietro le parole, però, per ora, non si intravedono fatti. In Libia intanto, i ribelli hanno pare abbiano riconquistato Sirte e l’intera Cirenaica e ora puntano verso Tripoli. Intanto, in attesa del summit previsto per domani a Londra da parte dei rappresentanti della “coalizione dei volenterosi”, il ministro Frattini ha dichiarato che è “nostro dovere istituzionale, eliminare le distanze e trovare una soluzione condivisa, non solo tra i quattro più grandi paesi europei, ma con tutti gli alleati”. Intanto ieri quasi un migliaio di profughi in sole 24 ore, è giunto a Lampedusa e, come scrive Federico Geremicca su La Stampa, per ora non si è trovato di meglio che continuare in una mortificante politica dello scaricabarile: l’Europa scarica sull’Italia, l’Italia scarica su Lampedusa e Lampedusa, scarica su Linosa, poco più che uno scoglio in mezzo al mare a cui, da ieri, toccherà ospitare quello che ormai pare un flusso senza fine.

Carlo Di Stanislao

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