Le scienze sociali e l’avventura in Libia

Prima che la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti incappassero nel loro attuale tentativo di far sloggiare Muammar Gheddafi dal potere in Libia – perché, diciamoci la verità, è quello che stanno cercando di fare, qualcuno si è per caso preso il disturbo di chiedersi che cosa dicono le scienze sociali contemporanee riguardo ai probabili […]

Prima che la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti incappassero nel loro attuale tentativo di far sloggiare Muammar Gheddafi dal potere in Libia – perché, diciamoci la verità, è quello che stanno cercando di fare, qualcuno si è per caso preso il disturbo di chiedersi che cosa dicono le scienze sociali contemporanee riguardo ai probabili risultati del nostro intervento?

Ne dubito, visto che una recente ricerca suggerisce che saremmo delusi dal risultato. Uno studio condotto nel 2006 da Jeffrey Pickering e Mark Peceny ha scoperto che l’intervento militare da parte degli Stati ‘liberali’ (come la Gran Bretagna, la Francia, gli Stati Uniti) “solo molto raramente ha auto un ruolo nella democratizzazione di altri Stati dopo il 1945”. Allo stesso modo George Downs, e Bruce Bueno de Mesquita della New York University found that affermano che gli interventi degli Stati Uniti a partire dalla Seconda Guerra Mondiale hanno condotto a democrazie stabili per meno del tre per cento dei casi, mentre un ulteriore studio da parte del loro collega presso la medesima università, William Easterly, e di numerosi altri professori associati, dimostra che gli interventi sia degli Stati Uniti che dell’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda hanno generalmente potato ad “un significativo declino nella vita democratica”. Infine, un articolo del 2010 di Goran Piec e Daniel Reiter esamina quarantadue “cambi di regimi imposti dall’esterno” a partire dal 1920 e rileva che quando gli interventi “danneggiano le infrastrutture di potere dello Stato”, aumentano di conseguenza i rischi di guerra civile.

Il migliore e più significativo studio che abbia letto sulla questione è un articolo non ancora pubblicato di Alexander Downes dell’Università Duke, che potete trovare qui sul sito dell’Università. Usando un metodo di ricerca più sofisticato, Downes ha esaminato 100 casi di “cambiamenti di regime imposti dall’esterno”, risalendo fino al 1816. In particolare, la sua analisi considera l'”effetto selezione” (cioè il fatto che le potenze straniere sono più propense ad intervenire in Stati che già hanno molti problemi, cosicché ci si possa aspettare che ne avranno molti anche dopo). Lo studioso rileva che l’intervento straniero tende a promuovere la stabilità, quando le potenze cercano di restaurare un sovrano precedentemente deposto. Ma quanto l’intervento straniero caccia un sovrano esistente ed impone un governo completamente nuovo (che è quello che stiamo cercando di fare in Libia), la probabilità di veder scoppiare una guerra civile aumenta del triplo.

Perché? Secondo Downes, poiché deporre un regime esistente e portare nuovi leader al potere “Distrugge l’autorità dello Stato e fomenta insoddisfazione e risentimenti”. Ancora peggio, la probabilità di una guerra civile nei postumi di un cambio di regime imposto dall’esterno aumenta ancor più quando si accompagna ad una sconfitta in una guerra tra Stati, e quando esso avviene in Paesi poveri ed etnicamente disomogenei”.  Ciò non è d’altra parte rassicurante, dal momento che la società libica è tuttora povera (poiché la famiglia Gheddafi monopolizza le entrate derivanti dal petrolio) e che rimane divisa in due fazioni potenzialmente litigiose.

[Un cambio di regime imposto dall’esterno] stimolerà probabilmente la resistenza e la guerra civile in quei Paesi dove gli Stati Uniti ed altre democrazie avanzate saranno più propensi ad intraprendere tali azioni [cioè Stati piccoli o deboli]; la situazione diventa ancora più desolante se la guerra è necessaria per rovesciare il regime esistente… Rovesciare altri governi (portando nuovi leader al potere invece che ristabilire governi preesistenti) è uno strumento politico di scarsa utilità visto il suo potenziale a suscitare guerre civili. Questi conflitti possono alla fine avere come risultato la rimozione del regime imposto o coinvolgere chi è intervenuto in costose occupazioni”.

In ogni caso, Downes ha scritto anche un altro articolo (scritto insieme a Jonathan Monten della London School of Economics) che afferma che “Gli Stati i cui governi vengono rimossi da una democrazia non acquistano significativi benefici democratici rispetto a Stati in condizioni simili nei quali non avviene alcun intervento”. L’intervento ‘democratico’ ha effetti positivi in media quando avviene in società omogenee in condizioni di relativo benessere ma “il passato dimostra che il cambio di regime imposto dagli Stati democratici ha scarse probabilità di essere un mezzo efficace di diffusione della democrazia”, specialmente se si prendono in considerazione i costi.

La speranza di tutti sarebbe che la Libia dimostri di essere un’eccezione a questa tendenza, ma i vari lavori di questi studiosi suggeriscono che le probabilità che il nostro intervento instauri una democrazia stabile sono basse, e che la nostra decisione di intervenire ha accresciuto le probabilità di una guerra civile. Eliminare tale possibilità comporterà probabilmente un costo molto alto ed un prolungamento dell’impegno internazionale nel paese, esattamente quello che avevano promesso di non fare coloro che hanno lanciato quest’operazione. Vedremo.

Stephen M. Walt (professore di Relazioni Internazionali all’Università di Harvard)

Tradotto da Susanna Valle – PeaceLink

 

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