Non è l’unico presidente-cantante e, come l’altro, Susilo Bambang Yudhoyono, premier indonesiano, alle prese con la prima crisi di consensi in 5 anni, è già al centro di una difficile questione: il sospetto (o certezza) di pesanti brogli nel ballottaggio che l’ha visto opposto alla moderata Mirlande Manigat, per la guida di Haiti, il più povero e devastato (da terremoto e colera e storia), Paese dell’America Latina. Michel Martelly, detto’Sweet Micky’, teme che l’annuncio della sua vittoria possa aggravare la crisi politica nel Paese, anche se con il 67% delle preferenza ha davvero surclassato la sua avversaria. “Lo hanno votato per lo piu’ le classi popolari”, ha commentato Radio Haiti en Marche, sottolineando che cio’ indica ”un rifiuto della politica del governo in carica e, in generale, della classe politica che ha guidato il Paese negli ultimi decenni”. Ma, come detto, alla luce dei tanti brogli che sarebbero avvenuti nel ballottaggio, l’annuncio ufficiale del suo trionfo potrebbe scatenare disordini, tanto che polizia e forze dell’Onu hanno intensificato le pattuglie nelle strade in tutto il Paese. Martelly, cinquanta anni, considerato dagli osservatori internazionali un outsider, data anche la diretta concorrenza dell’ex first lady Mirlande Manigat in occasione di questa tornata elettorale, si è proposto come elemento di rottura da un passato funestato da autoritarismo e corruzione. Oltre a dover risolvere l’immediato problema di possibili disordini, il neoeletto presidente deve anche tener conto che la sua Isola è ancora sotto il controllo dei Caschi Blu dell’Onu, dopo che il terribile sisma del 2010 ha costretto gran parte della popolazione urbana di Port-au-Prince a vivere in tendopoli in disastrose condizioni igenico-sanitarie. C’è chi sostiene che, in questa fase, pur consapevoli dei brogli, Stati Uniti e comunità internazionale, sono disposti a chiudere un occhio, pur di dare un presidente ad Haiti. E, ancora, che per loro Martelly o Manigat valevano la stessa cosa, poiché nelle loro teste un presidente haitiano non vale nulla e serve solo come figura di rifermento. Comunque è certo che i giovani e i residenti dei quartieri popolari adorano Martelly, che per loro rappresenta la figura capace di portare autentica novità. Su di lui sono convogliati i voti di chi nell’isola spera in un cambiamento delle condizioni di vita: una nuova generazione che avanza contro la mentalità conservatrice del partito moderato Riunione dei democratici nazionali progressisti. Il 12 gennaio 2010 è diventata per Haiti una data spartiacque. Chi conosceva il Paese prima, non potrà più dimenticare quel giorno. E chi non aveva conosciuto Haiti fino ad allora, difficilmente potrà (ri)conoscerlo oggi. Nonostante abbia occupato le prime pagine per settimane, nonostante tra i rappresentanti dei mass media internazionali sino pochi a non esserci ancora stati, Haiti rimane un Paese sconosciuto a tutti, e totalmente diverso da qualsiasi altro. Non è America latina e non è Africa. La cultura haitiana può definirsi afro-caraibica, ma è assolutamente unica. Una cultura che tra l’altro ha dato origine alla corrente letteraria del “realismo meraviglioso”, a espressioni pittoriche e musicali del tutto originali. Questo pezzo di isola, grande poco più di una regione italiana, ha in realtà vissuto una straordinaria storia di movimenti sociali e il tentativo, partecipato da tutta la popolazione, di costruire il proprio destino. Una storia diventata esempio per la società civile di altri Paesi. Eppure, terremoto e colera a parte, cosa ne sappiamo oggi dei movimenti sociali haitiani? E di come si stiano muovendo il movimento contadino, il movimento femminista e quello operaio? O ancora: come stiano reagendo i partiti politici, le associazioni, le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, o la Chiesa di base. Ad Haiti, a quasi un anno e mezzo dal terribile terremoto, non è cambiato niente e il piano di ricostruzione internazionale guidato dalla Banca Mondiale è finora inefficace, con la popolazione locale, come negli ultimi vent’anni, esautorata da ogni possibilità di decidere il proprio futuro. Tutto quello che si fa intorno alla ricostruzione sta portando a nuove forme di dominazione esterna, di colonizzazione, a una penetrazione delle multinazionali nei settori strategici. Il meccanismo che è stato creato è dominato chiaramente dai rappresentanti delle istituzioni finanziarie internazionali, in particolare dalla Banca Mondiale, che ha il controllo delle risorse. Oggi, come scrivono nel loro libro “Haiti. L’innocenza rubata” Marco Belli e Alessandro De Marchi, la comunità internazionale, Stati Uniti in testa, con la “scusa” della ricostruzione sta mettendo il futuro del Paese sotto tutela, rubandogli di fatto l’indipendenza. E il popolo haitiano rischia, ancora una volta, di restare escluso dai piani per il proprio sviluppo. Oltre all’essere un paese spaventosamente povero in cui la maggior parte della popolazione vive con un dollaro al giorno, Haiti, dal 1957 al 1986, è stato governato prima da Francois Duvalier, successivamente dal figlio, autoproclamatisi presidenti a vita, tenendo il controllo tramite il forte appoggio dell’esercito ed una polizia segreta che, come vuole la tradizione, cercava di mettere d’accordo tutti, convincendo anche i più restii, dopotutto le idee buone prima o poi fanno presa. In una maniera o nell’altra. Deposto dopo un’insurrezione popolare durata due anni, gli successe, nel 1991 Jean-Bertrand Aristide, il cui governo è crollato pochi mesi dopo a causa di un colpo di stato militare. Riportato 3 anni dopo al potere con l’aiuto degli Stati Uniti, compì un’azione più unica che rar, a sciogliendo l’esercito, reo di essere una delle cause della continua instabilità del paese. Nel 1996 gli successe Preval che, incredibilmente, riuscì a portare a termine il suo mandato. Fu il primo presidente a non essere ucciso, deposto, esiliato o rovesciato da potenze straniere. Sfortunatamente il periodo di pace è durato poco, fra guerriglia, colpi di stato e, addirittura uno sbarco di marines, si arriva al 2004, quando Preval viene rieletto. Insomma un Paese povero e funestato da tiranni interni e speculatori esterni, che non ha mai, negli ultimi cinquanta anni, avuto neanche un attimo di pace. Speriamo che con Martelly la “musica cambi”.
Carlo Di Stanislao
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