Film italiano Duns Scoto vince al Festival internazionale del cinema cattolico

Victor Scotus. Il film italiano sul beato Giovanni Duns Scoto, ha vinto la seconda edizione del Festival internazionale del cinema cattolico “Mirabile Dictu” di Roma. Sono due i “Pesci d’Argento 2011” assegnati alla pellicola di Fernando Muraca: come miglior film e miglior attore protagonista, Adriano Braidotti. La Giuria della seconda edizione dell’International Catholic Film Festival […]

Victor Scotus. Il film italiano sul beato Giovanni Duns Scoto, ha vinto la seconda edizione del Festival internazionale del cinema cattolico “Mirabile Dictu” di Roma. Sono due i “Pesci d’Argento 2011” assegnati alla pellicola di Fernando Muraca: come miglior film e miglior attore protagonista, Adriano Braidotti. La Giuria della seconda edizione dell’International Catholic Film Festival “Mirabile Dictu” (Roma, 12 al 21 maggio 2011) ha premiato la pellicola dell’anno che racconta la storia del filosofo medievale John Duns beatificato nel 1993 da Giovanni Paolo II. Film prodotto dai Frati Francescani dell’Immacolata e da TVCO e proiettato anche in Abruzzo, in anteprima regionale, al Cineteatro comunale di Teramo lunedì 16 maggio subito dopo il convegno su Santa Caterina da Siena e sul beato Duns Scoto organizzato dalla Famiglia Laicale Domenicana e dai Francescani dell’Immacolata di Teramo (video su Internet). La premiazione al “Mirabile Dictu” si è svolta giovedì 19 maggio presso l’Auditorium di Via della Conciliazione di Roma. “L’evento – sottolinea Radio Vaticana – ha visto l’assegnazione di altri quattro riconoscimenti. Il premio per il miglior documentario è andato a “La ultima cima” di Juan Miguel Cotelo, che racconta la vita del filosofo e teologo spagnolo, il sacerdote Pablo Dominguez, morto in un incidente di montagna. Il cortometraggio “Kavi”, di Gregg Helvey, che affronta il tema del lavoro minorile in India, è stato giudicato il migliore della sua categoria. La miglior regia è stata riconosciuta a José Luis Gutierrez, per il suo remake di “Marcelino pan y vino”, ambientato nel Messico degli anni Venti. Oltre al premio “Pesce d’argento”, ispirato al primo simbolo cristiano, sono stati assegnati riconoscimenti a due opere prime:“La città invisibile” di Giuseppe Tandoi, ambientato a L’Aquila terremotata, e “L’uomo del grano”, sullo scienziato Nazareno Strampelli, e le sue scoperte che aiutarono la lotta alla fame nel mondo. Tra gli attori, premio alla carriera per Remo Girone, che ha recentemente interpretato un film su Pio XII (“God Mighty Servant”) di buon successo in Germania, ma non ancora distribuito in Italia. A margine del Festival, patrocinato dal Pontificio Consiglio della Cultura, l’ideatrice Liana Marabini ha spiegato come lo scopo della manifestazione sia di “evangelizzare attraverso l’arte e la cultura”. Parole che riecheggiano quelle del cardinale Gianfranco Ravasi, anche presidente del comitato d’onore del Festival, secondo cui lo scopo dell’iniziativa è la promozione dei valori morali universali e di modelli costruttivi di comportamento. “Tutti siamo consapevoli dell’enorme potenzialità che nel bene e nel male possiede il cinema, come strumento di diffusione di idee e di comportamenti e come agente di un cambiamento culturale”, ha scritto il porporato nella sua lettera di saluto. “È proprio questa capacità della settima arte – conclude il testo – che la rende uno strumento efficace al servizio della diffusione del Vero, del Buono e del Bello”.

“Potuit decuit, ergo fecit”, Dio poteva era conveniente, perciò lo fece. Sono le parole del beato Giovanni Duns Scoto nel quale Karol J. Wojtyla, il beato Giovanni Paolo II, riconobbe “l’acutezza del suo ingegno e la straordinaria capacità di penetrazione del mistero di Dio: egli è per la Chiesa e per l’intera umanità, Maestro di pensiero e di vita. La sua dottrina, dalla quale si potranno ricavare lucide armi per combattere e allontanare la nube nera dell’ateismo che offusca l’età nostra, edifica vigorosamente la Chiesa, sostenendola nella sua urgente missione di nuova evangelizzazione dei popoli della terra”. Per questo il b. Giovanni Duns Scoto “costituisce un esempio di fedeltà alla verità rivelata, di feconda azione sacerdotale, di serio dialogo nella ricerca dell’unità”(4). Dal tesoro teologico delle sue opere si possono ricavare spunti preziosi per “sereni colloqui tra la Chiesa cattolica e le altre Confessioni cristiane”(4). Giovanni Paolo II più volte ha chiamato il b. Scoto il “dottore dell’Immacolata” perché “ci ha reso accessibile il mistero dell’Immacolata Concezione di Maria e ci ha descritto la sua importanza nel piano di salvezza divino”(5). Antiche testimonianze riferiscono che il b. Giovanni Duns, vinta la celebre disputa alla Sorbona, veniva da tutti chiamato il “Devoto della Vergine” per eccellenza d’ingegno, il “Difensore dell’Immacolata Concezione”. Gli studenti amavano tappezzare di tali titoli, in suo onore, persino le pareti delle aule universitarie. “Il b. Giovanni – scrive p. Stefano M. Manelli, fi – ci insegna il primato dell’amore, a cui tutto è finalizzato e in cui tutto si realizza, perché Dio è amore; e ci insegna il primato assoluto di Cristo e Maria, radice e sintesi di tutto il creato celeste e terrestre”(1). La proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria SS., verità della fede cattolica, è stata resa possibile proprio dal geniale contributo del grande maestro francescano scozzese Giovanni Duns Scoto. Grazie ai suoi argomenti l’8 dicembre 1854 il beato Pio IX poté proclamare solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Il beato francescano Duns Scoto, definito da Giovanni Paolo II “un pilastro della teologia cattolica”(OR, 17.02.2002), è passato alla storia soprattutto come il “dottore e il campione dell’Immacolata”. Tanti cattolici sono devoti all’Immacolata ma non conoscono bene il significato di questa verità.

In occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II, Domenica 1° maggio 2011, giorno della Divina Misericordia, in preparazione della festa per gli ottocento anni dalla fondazione dell’Ordine Domenicano (Anno Domini 2016), in occasione del 40° anniversario del Titolo di Dottore della Chiesa e del 550° anniversario della canonizzazione di Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia e compatrona d’Europa, la Fraternita Laicale Domenicana di Teramo e i Frati Francescani dell’Immacolata di Teramo, lunedì 16 maggio 2011, hanno deciso di presentare al Cineteatro Comunale di Teramo, subito dopo il Convegno su “La Passione di Gesù in Santa Caterina da Siena e nel Beato Giovanni Duns Scoto”(cf. YouTube), in anteprima regionale per l’Abruzzo, il primo film italiano “Duns Scoto”, dedicato interamente al frate delle Highlands. Convegno e film, che hanno avuto un buon successo di pubblico, hanno goduto del benedicente patrocinio di Mons. Michele Seccia, Vescovo di Teramo e Atri, dei Padri Francescani dell’Immacolata e dei Padri Domenicani; del patrocinio dell’Ufficio diocesano per il Progetto Culturale e del Centro Ricerche Personaliste di Teramo. L’evento nasce dall’impegno della Fraternita Laicale Domenicana di Teramo e della Famiglia dei Francescani dell’Immacolata di Teramo per la Nuova Evangelizzazione. Il convegno (oggi visibile in tutto il mondo) e la visione del film “Duns Scoto” speriamo che possano servire a chiarire le idee in proposito, contribuendo a stimolare la nostra volontà e il nostro intelletto per conoscere e amare la Madre di Dio come il b. Giovanni insegna a fare da secoli con la dottrina e con l’esempio, comuni a molti santi francescani e domenicani; per scoprire Dio nel nostro prossimo, per sondare la larghezza, la lunghezza e la profondità del mistero di Gesù e di Maria “che supera ogni conoscenza”(Efesini 3, 18-19).

Il b. Giovanni Duns Scoto è sicuramente il più grande dei figli del popolo scozzese per aver fatto dell’Immacolata la Regina della sua mente e del suo cuore. Giovanni nacque nella casa di Niniano Duns di Littledean tra il 23 dicembre 1265 e il 17 marzo 1266, in Scozia da cui il soprannome “Scoti”(di Scozia). La città natale, Duns, presso Edimburgo, portava lo stesso nome della sua famiglia. “A memoria di questo evento, un ceppo marmoreo ne ricorda il posto dal 17 marzo 1966, mentre un busto di bronzo nei giardini pubblici ne conserva il ricordo ai posteri. Dopo le iniziali occupazioni di sorvegliante del gregge di famiglia, che lo videro sempre più immerso nella bellezza variopinta della natura, Giovanni riceve la necessaria formazione scolastica all’ombra delle due vicine abbazie cistercensi di Melrose e di Dryburg”(3). Sin da bambino entrò in contatto con i francescani, di cui tredicenne iniziò a frequentare gli studi conventuali di Haddington, nella contea di Berwich. Suo zio paterno, frate Elia Duns, uomo pio, dotto e stimato da tutti, fu eletto Vicario Generale per la Scozia nel 1278.

Una vocazione nata in famiglia: p. Elia Duns e i frati del convento di Haddington, attrassero subito la sua attenzione. “Quando padre Elia ritornò nel suo convento di Dumfries, condusse con sé anche il nipote Giovanni per ammetterlo all’Ordine, facendo da garante per la sua costituzione sia fisica che spirituale, dal momento che Giovanni aveva appena 15 anni e che per diritto canonico occorrevano almeno 18 anni per entrare nel noviziato”(3).

La santa povertà e la Divina Provvidenza convinsero il giovane Giovanni ad abbracciare l’Ordine Serafico nell’austero noviziato di Dumfries,“un nido d’aquile tra le bianche rocce di Nith”. Nel convento di Dumfries, l’adolescente Giovanni venne accettato per ricevere l’abito di S. Francesco nel 1280. I francescani erano sbarcati in Inghilterra nel 1224. I frati e i conventi ben presto si moltiplicarono. Ma come istruire e formare tutti questi giovani? Il b. Agnello da Pisa istituì un Collegio di studi ad Oxford, affidandone l’insegnamento al maestro Roberto Grossatesta. Giovanni Duns “venne mandato prima a completare gli studi inferiori nello studio francescano di Northampton e poi a intraprendere gli studi filosofici nel Collegio di Oxford”(1). Che formerà tre grandi luminari: Ruggero Bacone, Giovanni Duns Scoto e Guglielmo Ockam. Nel 1287 il b. Giovanni divenne maestro. A Parigi completò la formazione scientifica e filosofica. Aveva appena venti anni. Tornato in Inghilterra (forse a Cambridge) gli fu affidato l’insegnamento delle materie filosofiche, della fisica, dell’astronomia e della matematica. Fu consacrato sacerdote dal vescovo di Lincoln, Oliverio Sutton, nella chiesa di S. Andrea, dei monaci Cluniacensi, il 17 marzo 1291. Aveva 25 anni. Duns Scoto è di nuovo a Parigi dal 1291 al 1296 per conseguire il titolo di Baccelliere con il massimo dei voti. Terminati gli studi in teologia si dedicò all’insegnamento. Nel 1299 quando il maestro Guglielmo Warrone fu mandato a insegnare alla Sorbona, il b. Giovanni fu chiamato a succedergli nella cattedra di teologia a Oxford. “Grazie alla sua altissima intelligenza divenne un polo di attrazione per enormi masse di studenti”(1). Tutti volevano ascoltarlo. Ed alcuni fecero scrivere sulla porta dell’aula dove insegnava le parole “Nullus maior Ioanne Scoto”, nessuno è più grande di Giovanni Duns Scoto.

“Il grande Raffaello nel suo celebre affresco “La disputa del SS. Sacramento”, ha immortalato il b. Giovanni, collocandolo in primo piano fra i più celebri Santi e Dottori della Chiesa, mentre discutono attorno ad uno splendido ostensorio con l’Ostia consacrata”(1). Il b. Giovanni insegna che la presenza reale di Gesù nei Tabernacoli è una Presenza fisica. “A ragione, l’invito che ci rivolge è quello di avvicinarsi più che sia possibile al Divinissimo Sacramento e sostare più a lungo possibile presso il Tabernacolo Eucaristico, per infiammarsi di Amore divino. Mistero di suprema dolcezza”(1). L’Università di Parigi, l’Alma Mater, era stata fondata da Carlo Magno nel 791. I migliori giovani d’Europa la frequentavano. Furono i frati predicatori, figli di S. Domenico, e i frati minori, figli di S. Francesco, a renderla celebre. S. Tommaso d’Aquino e S. Bonaventura, furono i due sommi astri di sapienza e santità che infiammarono generazioni di giovani. “Il primo grande maestro francescano a Parigi fu Alessandro d’Hales, quindi S. Bonaventura, il Dottore Serafico”(1).

A Parigi il b. Giovanni, conseguito il titolo di Maestro di teologia, meriterà di essere definito Dottore Sottile e Dottore Mariano. Nel 1303 abbandonerà Parigi in difesa di Papa Bonifacio VIII, non sottoscrivendo il documento con cui il Re Filippo il Bello intendeva appellarsi al Concilio contro il Papa, tra l’altro per distruggere l’Ordine dei Cavalieri Templari e sottrarre loro tutte le ricchezze. “Avrebbe dovuto conseguire il titolo accademico di Magister regens, nel 1303, ma la triste controversia tra il re di Francia e il papa, ne ritarda il conseguimento nella primavera del 1305. La politica egemonica di Filippo il Bello aveva orientato verso di sé la quasi totalità dell’opinione pubblica francese. Ne è segno tangibile la spaccatura che si registra nello Studium generale francescano di Parigi: gli “appellanti” (68 firmatari) erano favorevoli al Re; mentre i “non-appellanti” (87 firmatari), al Papa. Nella lista dei “non-appellanti”, il nome di Johannes Scotus figura al 19° posto”(3). Ai “non-appellanti” veniva aperta la via dell’esilio con la confisca dei beni e la cessazione di ogni attività accademica. E Giovanni Duns Scoto, fedele alla Regola di Francesco d’Assisi, che raccomanda amore rispetto e riverenza al Papa, il 25 giugno del 1303 prende la via dell’esilio. “Nel novembre 1304, quando le acque si calmarono per la morte di Bonifacio VIII, il Ministro Generale dei Frati Minori, fr. Gonsalvo di Spagna, raccomanda, al superiore dello Studium di Parigi, Giovanni Duns Scoto per il Dottorato, con queste parole:«Affido alla vostra benevolenza il diletto padre Giovanni Scoto, della cui lodevole vita, della sua scienza eccellente e del suo ingegno sottilissimo, come delle altre virtù, sono pienamente informato sia per la lunga esperienza sia per la fama che dappertutto egli gode». È il primo e solenne panegirico”(3). Il 26 marzo del 1305, Giovanni Duns Scoto riceve l’ambito titolo di Magister Regens che gli permetterà di insegnare ubique e di rilasciare titoli accademici. Duns Scoto poté rientrare a Parigi per insegnarvi la teologia come “professore ordinario” ma “ha goduto del titolo solo tre anni: due a Parigi e uno a Colonia”(3). A Parigi, fino al 1307, insegnerà, predicherà e scriverà le sue opere. “L’ultimo e più celebre successo del b. Giovanni Duns Scoto all’Università fu quello che conseguì nella difesa della verità dell’Immacolata Concezione di Maria, gloria fulgida e immortale dell’Ordine serafico”(3).

 

La disputa sull’Immacolata.

“Il Signore opererà per noi meraviglie che sorpasseranno infinitamente i nostri immensi desideri”(Santa Teresa di Lisieux). In Inghilterra il b. Giovanni Duns Scoto insegna la verità dell’Immacolata Concezione. I maestri Grossatesta e fra’ Guglielmo di Ware avevano insegnato l’Immunità originaria di Maria SS. dal peccato originale, la colpa primordiale adamitica trasmessa di generazione in generazione a tutti gli uomini. Il Grossatesta parlava dell’Immacolata come della “Vergine eternamente pura”. Fra’ G. Warrone collocava “l’Immacolata nel decreto dell’Incarnazione del Verbo, antecedente la caduta originale dell’uomo”(1). Il b. Giovanni approfondì “sottilmente ogni argomentazione e dimostrazione della verità dell’Immacolata Concezione”(1). Ma a Parigi “la sentenza comune e dominante fra i maestri era quella contraria al privilegio della concezione immacolata”(1). I professori ammettevano soltanto “la purificazione di Maria nel seno materno, come avvenne per S. Giovanni Battista”(1). Illustri teologi del calibro di Alessandro d’Hales, S. Tommaso d’Aquino e S. Bonaventura pare non avessero superato “l’ostacolo dell’universalità del peccato originale e della redenzione”(1), e insegnavano che “anche Maria era inclusa in questa universalità, soggetta quindi a contrarre la macchia d’origine sia pure per un istante, così da poter essere redenta”(1). A Parigi questo era l’insegnamento ufficiale. Sostenere un’altra opinione teologica, oltre allo scompiglio generale che avrebbe scatenato, significava introdurre temerariamente una nuova “luce di verità” sul mistero di Dio, a guida di quei professori e studenti che invece sostenevano l’infondatezza della nuova dottrina. Tutte le scuole teologiche consideravano Parigi come il “faro di sapienza”. Chiunque fosse stato capace di tanto ardire era chiamato a difendere pubblicamente la sua opinione di fronte a tutto il corpo dei professori e degli studenti. Non superare la prova della disputa determinava, il più delle volte, l’immediata cacciata ignominiosa dall’Università. Questa era la posta in gioco anche per il b. Giovanni Duns Scoto. Insegnare e difendere la dottrina dell’Immacolata Concezione sollevò, infatti, un gran vespaio accademico e provocò il ricorso ad una pubblica disputa. I testimoni del tempo riferiscono che Giovanni Duns era profondamente innamorato della Divina Madre. Ma come risolvere tutte le obiezioni rivolte alla nuova dottrina? “Il b. Giovanni era un genio e un santo, e quando si è tali non si teme nulla nel difendere la verità”(1). Quindi accettò la disputa, si preparò e il giorno fissato, di fronte ai due rappresentanti del Papa che presiedevano il confronto, davanti a tutta l’Accademia al gran completo, difese le proprie “sante regioni” con la “sua possente e lucida dialettica”(1). Con ragionamenti profondi e sottili, il b. Giovanni riuscì a scalzare dalle fondamenta ogni argomento contrario all’immacolata concezione di Maria. Ragionamenti nuovi e solidi, logici e “luminosi come stelle filanti che attraversano il firmamento del sapere teologico”(1). Professori e studenti, domenicani e francescani, prima sorpresi, poi sbalorditi, accettarono la lezione di Duns Scoto con un applauso.

 

“Victor Scotus”.

 

“Victor Scotus”, dissero i due Legati pontifici. “Scoto vittorioso”, ossia “irrefrenabile e magnifico difensore dell’Immacolata Concezione”(1). La vittoria del b. Giovanni fu la vittoria dell’Università di Parigi perché aveva trionfato la verità sulla Madonna, ora da insegnare e difendere liberamente. Per questa gloriosa “vittoria”, Duns Scoto avrebbe meritato il titolo di “Dottore Sottile e Mariano”. Dall’Inghilterra alla Francia alla Germania, tre furono le cattedre per il beato. Il suo insegnamento incantava. Pubblici dibattiti, conferenze, corsi di predicazione, per difendere e illustrare la teologia dell’Immacolata Concezione, diffondevano in tutto il mondo la nuova verità sulla Madonna, vincendo pure sugli eretici Beguardi e Beguine (“che negavano ogni autorità alla Chiesa, ogni valore ai Sacramenti, alla preghiera e alle opere di penitenza”, 3). I frati domenicani che portavano avanti l’insegnamento di S. Alberto Magno e S. Tommaso d’Aquino, pur non ammettendo la dottrina di Scoto, grazie a p. Hervè, il Dottore Illuminato, figlio di S. Domenico, si convinsero e per glorificare la Divina Madre promossero la diffusione della pia preghiera del Santo Rosario.

A Colonia, su incarico del generale della sua Congregazione, dovendo fronteggiare le dottrine eretiche, il b. Giovanni riuscì a dedicarsi per breve tempo all’impresa. Morì pochi mesi dopo il suo arrivo, l’8 novembre 1308, all’età di 43 anni. La fama di santità subito lo avvolse. Per il popolo fu subito Beato. Le sue spoglie mortali sono custodite nella chiesa dei frati minori di Colonia, in Lotaringia, ora in Germania. “Attualmente l’urna delle ossa del Beato Giovanni Duns Scoto è situata al centro della navata della chiesa francescana di Colonia nell’elegante e semplice sarcofago, costruito con pietra calcare di conchiglia di colore grigio, opera dello scultore Josef Hontgesberg. Tra i tanti motivi decorativi, è riprodotta l’antica iscrizione:“Scotia me genuit; Anglia me suscèpit; Gallia me docuit; Colonia me tenet”. La primitiva iscrizione tombale così recitava:«È chiuso questo ruscello, considerato fonte viva della Chiesa; Maestro di giustizia, fiore degli studi e arca della sapienza. Di ingegno sottile, della Scrittura i misteri svela, In giovane età fu [rapito al cielo], ricordati dunque, di Giovanni. Lui, o Dio, ornato [di virtù] fa che sia beato in cielo. Per un [così gran] Padre involato inneggiamo con cuore grato al Signore.
Fu [Duns Scoto] del clero guida, del chiostro luce e della verità [apostolo] intrepido».
La sua tomba a Colonia è mèta di continui pellegrinaggi”(3). Anche il b. Giovanni Paolo II rese omaggio alla tomba del frate scozzese il 15 novembre 1980, chiamandolo molto espressivamente “potente torre spirituale che svetta verso il cielo come testimone di fede”(11). In Italia il b Giovanni Duns Scoto è venerato al Duomo di Nola, in una delle Cappelle, con un pregevole quadro che lo raffigura in dolcissima estasi dell’Immacolata con il Figlio in braccio, incoronata di Angeli. A Nola, come a Colonia, il culto del b. Giovanni Duns Scoto, confermato nei secoli da vari Processi (come quelli tenuti nel 1710 e nel 1905-6), dura “ab immemorabili”. Ogni anno, l’8 novembre, quando si ricordano anche tutti i defunti dell’Ordine domenicano, il b. Giovanni viene commemorato solennemente nel Duomo di Nola. In Europa è venerato in diverse chiese di Germania, Francia e Svizzera. In Scozia fu subito scritto nell’albo dei Santi. Perché grazie e miracoli non mancano. È venerato anche nelle Americhe e in Asia. Altri Santi francescani ne venerarono e propagarono il culto: S. Giovanni da Capestrano, S. Giacomo della Marca, S. Carlo da Sezze, solo per citarne alcuni. La canonizzazione del b. Giovanni Duns Scoto, per la gloria dell’Immacolata, come scrisse il predicatore agostiniano p. Michele Oyero, è logicamente frutto della “volontà dell’Augusta Regina degli Angeli. Potrà forse mancare l’aureola della santità a colui che sostenne e difese il Tuo immacolato Concepimento?”(1). Ogni santo è un maestro di virtù nella molteplicità dei carismi. Già in occasione del VII centenario della nascita del b. Giovanni, il Sommo Pontefice Paolo VI, nella sua Lettera Enciclica “Alma Parens”, tratteggia con pensieri luminosi la figura e la dottrina del dotto francescano.

“Egli elevò una maestosa cattedrale al cielo – scrisse papa Giovanni Battista Montini (1963-1978) – accanto a quella di S. Tommaso d’Aquino, sia pure dissimile per mole e struttura, su ferme basi e con arditi pinnacoli, con la sua ardente speculazione, da divenire il rappresentante più qualificato della Scuola Francescana. Seguendo lo spirito e l’ideale del suo Patriarca S. Francesco d’Assisi, subordinò il sapere al ben vivere, asserendo l’eccellenza della carità sopra ogni scienza, l’universale Primato di Cristo, Capolavoro di Dio, glorificatore della SS. Trinità e Redentore del genere umano, Re nell’ordine naturale e soprannaturale, al cui lato splende di originale bellezza la Vergine Immacolata, Regina dell’universo. Egli (Duns Scoto, NdA) evidenzia specialmente le idee sovrane della Rivelazione Evangelica, particolarmente quelle che S. Giovanni Evangelista e S. Paolo Apostolo videro, nel piano divino della salvezza, sovrastare in grado eminente…”.

 

Le opere del b. Giovanni Duns Scoto.

 

Il b. Giovanni Duns Scoto è considerato uno dei più grandi maestri della teologia cristiana, il precursore della dottrina dell’Immacolata Concezione. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 20 marzo 1993 definendolo “cantore del Verbo incarnato e difensore dell’Immacolato concepimento di Maria”. Giovanni Duns Scoto segna una svolta decisiva nella Scolastica: l’aristotelismo è qui lo spirito del sistema, è la filosofia stessa da riconoscere e far valere in tutto il suo rigore “pratico” per circoscrivere in giusti limiti la scienza umana del tempo. “Per Giovanni Duns si tratta di far valere l’aristotelismo come principio per vivere la fede cattolica in maniera autentica”(2). La scienza, quindi, non è solo necessaria ma interamente fondata sull’aristotelismo, cioè sulla dimostrazione e sull’incontenibile analisi che cerca la chiarezza nell’enumerazione completa delle possibilità alternative. Giovanni Duns visse solo 43 anni ma, a giudicare dalle opere e dagli studi intensi, questo breve spazio di vita fu occupato da un’attività florida. “Le opere principali di Duns Scoto prendono il titolo dai luoghi in cui egli insegnò: Opus Oxoniense (Oxford), Reportatio Cambrigensis (Cambridge), Reportata Parisiensia (Parigi)” – ci ricorda il Santo Padre Benedetto XVI (7).

Il “Primo principio” si apre con una preghiera a Dio che è la professione dell’ideale scientifico del b. Giovanni:“Tu sei il vero essere, Tu sei tutto l’essere; questo io credo, questo, se mi fosse possibile, vorrei conoscere. Aiutami, o Signore, nel ricercare quella conoscenza del vero essere, cioè di Te, che la nostra ragione naturale può attingere”(1, n.1). Duns Scoto chiede a Dio la conoscenza che è propria della ragione umana naturale. “Pur nei suoi limiti, questa è la sola conoscenza possibile, la sola scienza per l’uomo. I limiti della conoscenza non sono accidentali per la conoscenza stessa ma costitutivi”(2). L’atto remunerativo di Dio è libero. Se la metafisica in Duns Scoto è la scienza teoretica per eccellenza (dominio della necessità, della dimostrazione razionale e della scienza), la teologia è per eccellenza la scienza pratica (dominio della libertà e della fede). Il fine della teologia è persuadére l’uomo ad agire per la propria salvezza mettendo in pratica gli insegnamenti della fede. Per il dotto francescano scozzese tutta la teologia deve essere riconosciuta come conoscenza pratica perché illumina e determina la volontà e l’azione giusta dell’uomo. Anche nella preghiera, verità come:“Dio è trino” e “il Padre genera il Figlio”, sono essenzialmente pratiche. Nella prima conosciamo il vero amore che si deve a Dio, cioè a tutte e tre le Persone divine; nella seconda conosciamo la regola per la quale l’amore deve dirigersi verso il Padre e il Figlio. “Per il suo carattere pratico, i princìpi della teologia non dipendono dall’evidenza del suo oggetto”. Tuttavia la teologia “nessun’altra scienza subordina a sè” in quanto “non riceve i suoi principi dalla metafisica e perché nessuna proposizione teologica è dimostrabile mediante i princìpi dell’essere in quanto tale (oggetto della metafisica) o attraverso qualche ragione desunta dalla natura dell’essere in quanto tale”(2).

La metafisica è scienza nel senso più alto per Duns Scoto che desume da Aristotele l’ideale di una scienza necessaria, fondata da princìpi evidenti e da dimostrazioni razionali, nel riconoscimento dei limiti rigorosi della scienza umana. Il b. Giovanni non ritiene che la conoscenza umana “potrebbe” estendersi al di là dei limiti ai quali effettivamente si estende. Ma non v’è scetticismo, agnosticismo o rinuncia nel Dottore sottile. Anzi, ammettendo la dottrina che tutto ciò che non è dimostrabile razionalmente, è puro oggetto di fede, e presentando (Theoremata) l’impressionante elenco delle proposizioni indimostrabili che entrano come tali a far parte del dominio pratico della fede, la loro certezza diventa “pratica”, ossia fondata sulla loro libera accettazione da parte dell’uomo e, quindi, della ricerca. Il b. Giovanni ha un ideale altissimo e rigoroso della scienza. La fede è un atto libero. La volontà umana è libera. Essa non è determinata neppure dalle valutazioni dell’intelletto: non è l’intelletto che sceglie il bene al quale la volontà deve dirigersi, ma è la volontà che liberamente si determina per questa o quella scelta, che quindi appare buona all’intelletto. “Per la volontà umana – insegna Duns Scoto – l’unica legge è la volontà divina: fare il bene, per l’uomo, significa fare ciò che la volontà divina gli prescrive di fare”. La volontà divina non ha nessuna legge sopra di sé, perché è essa che stabilisce ogni legge. Tutta la vita morale dell’uomo deve perciò orientarsi all’obbedienza ai voleri divini. Non significa rinunciare alla propria libertà. Obbedienza a Dio significa, nella sua manifestazione più alta, amore di Dio, a Dio e con Dio al nostro prossimo, magari “rompendo” gli schemi come amava fare il nostro beato Papa Giovanni Paolo II: “Vuoi amare Cristo? Amalo nel tuo fratello”. Amore di “relazione” figliare, non di negazione. È questa la sola azione umana veramente buona. All’amore dell’uomo verso di Lui, l’Altissimo, Dio risponde con la “grazia” che è l’atto col quale accetta l’amore della Sua creatura ed ama colui che Lo ama.

Il b. Giovanni Duns Scoto ha esercitato un grande influsso sui contemporanei, in particolare sugli indirizzi speculativi dell’Ordine dei Francescani, di cui, ben presto, è divenuto il caposcuola, “anche se la nascita ufficiale della Scuola scotistica si ha solo con il Decreto d Toledo (1633) con cui s’impone ai lettori di filosofia dell’Ordine di attenersi alle sue dottrine (“J. Duns Scoti Summa Theologica”, di Girolamo di Montefortino, 1728-38). I cui caratteri salienti sono: la teoria dell’essere univoco, dell’haecceitas e dell’universale (metafisica e gnoseologia); l’infinità e la libertà sconfinata di Dio, e il primato della volontà dell’uomo (teologia ed etica)”(2).

 

Duns Scoto, una “rivoluzione copernicana” in teologia.

 

Beatificato da Papa Giovanni Paolo II, il 20 marzo 1993, a termine di una causa iniziata nel 1706 e ripresa con maggior vigore nel 1905, Duns Scoto è uno dei più grandi pensatori non solo medievali ma anche della cultura cattolica mondiale. La sua elevazione alla gloria degli altari, e l’incredibile concomitanza della sua riaffermazione mediatica (anche grazie a un film italiano prodotto dai Frati Francescani dell’Immacolata) con la Beatificazione di Karol J. Wojtyla (1° maggio 2011), lo indicano quale alto modello di vita cristiana e religiosa. Il b. Giovanni Duns Scoto ha tutte le carte in regola per appartenere alla schiera tanto gloriosa dei grandi maestri del Cristianesimo, insieme a San Francesco, San Domenico (al quale si deve la diffusione della preghiera del Santo Rosario, indossato prima dai suoi frati) e Santa Caterina da Siena. Prima di presentare le testimonianze offerte dal beato Giovanni Paolo II e da Papa Benedetto XVI, occorre premettere la chiave ermeneutica di Duns Scoto, che gli permette di operare la cosiddetta “rivoluzione copernicana in teologia”(2). Eccola nella sintesi schematica: Dio Uno e Trino; Incarnazione del Verbo (Predestinazione di Cristo e di Maria, Primato universale di Cristo e unicità di Mediazione); Creazione del mondo e dell’uomo; Peccato dell’uomo; Cristo Redentore; Chiesa e Sacramenti (come continuità storica dell’Incarnazione e della Redenzione); Escatologia (Cristo come unico Glorificatore). È lo schema cristocentrico della lettura riflessa del testo rivelato ed afferma il primato assoluto dell’Incarnazione sganciata dalla Redenzione, considerata da Duns Scoto “massimo dono” di Cristo. Due sono i punti centrali della teologia del b. Giovanni Duns: la difesa dell’Immacolata Concezione e del Primato assoluto di Cristo e di Maria, che furono le persone dell’amore fiammante del maestro francescano.

Per il popolo cristiano, da sempre Maria, la madre di Gesù, era l’Immacolata Concezione, una verità di fede, alimentata dalla liturgia, dalla pietà popolare, dalle feste e dalle tradizioni religiose. Per i dotti teologi, invece, visti i problemi in apparenza grossi e insolubili, la questione non era affatto semplice. I “Big” della teologia (S. Bernardo, S. Alberto Magno, S. Tommaso d’Aquino, S. Bonaventura) non potevano oltrepassare la soglia della “santificazione di Maria nel grembo materno” di Sant’Anna. Santificazione “avvenuta dopo la contrazione – sia pure per un solo istante – della macchia del peccato originale”(1). Poiché sarebbero due le verità indiscutibili di fede che avrebbero escluso la “immunità radicale dalla colpa originale in Maria”: l’universalità del peccato originale, per la serie “siamo tutti figli di Adamo”; e l’universalità della redenzione di Cristo per tutti gli uomini. Maria, concepita senza macchia, non avrebbe avuto bisogno della redenzione di Gesù.

Una situazione che oggi definiremmo “curiosa”, nella migliore delle ipotesi, si era venuta a creare nella Chiesa: santi come S. Bonaventura quando parlavano della Madonna e la pregavano, innalzandola al titolo di Regina dell’universo, sembravano credere nella concezione immacolata di Maria. Ma poi, quando insegnavano teologia agli studenti d’Europa, si limitavano ad ammettere solo la santificazione della Madre di Gesù. Arrivò il b. Giovanni Duns Scoto il quale “parte dalla meravigliosa predestinazione di Gesù e Maria, con il loro primato assoluto su tutto il creato celeste e terrestre”(1). Anche Maria è totalmente Immacolata fin dal primo istante della sua concezione. Duns Scoto chiama in causa la Sacra Scrittura, si appella a S. Agostino, a S. Anselmo, per escludere ogni ombra di peccato da Maria Santissima. Ma come risolvere quei due punti centrali della filiazione adamitica di Maria e della Redenzione universale? “Maria SS. – spiega il b. Giovanni Duns Scoto – è figlia di Adamo, discendente da lui come tutti gli uomini, eppure non contrasse il peccato originale. Perché pre-redenta, ossia redenta dal peccato con azione non liberativa (come avviene per tutti gli uomini) ma preservativa. Maria non è stata liberata dal peccato già contratto, ma è stata preservata dal peccato originale che minacciava di macchiarla”. Dunque, questa Redenzione preservativa è una Redenzione a tutti gli effetti, ma “più perfetta della Redenzione liberativa, perché è certamente più perfetto preservare una persona dalla caduta che alzarla dopo la caduta”. È solo materia per teologi o queste verità contengono mirabili effetti pratici per tutti noi? “È un beneficio più eccellente – scrive il b. Giovanni Duns Scoto – preservare qualcuno dal male, che permettere che egli incorra nel male e poi lo si liberi”. Solo Dio può farlo. Tale Redenzione preservativa non è stata solo un bene per Maria Santissima. “È stata un bene anzitutto per Gesù – rivela il b. Duns Scoto – perché in tal modo Egli ha esercitato l’atto perfettissimo della Redenzione, mentre, se non avesse operato la Redenzione preservativa, tale atto perfettissimo gli sarebbe venuto a mancare. Dunque, se Cristo fu riconciliatore perfettissimo, deve aver meritato che qualche persona fosse stata preservata dalla colpa. Tale persona altra non è che la Madre di Lui”. Così il b. Giovanni vince la disputa pubblica, dimostrando che “proprio nei riguardi di sua Madre, Gesù è stato il Redentore perfettissimo, applicandole in anticipo i meriti della Redenzione”. Il b. Giovanni vince la disputa affidando umilmente la sua dottrina al giudizio della Chiesa. Da allora l’affermazione:“sembra ragionevole attribuire a Maria ciò che è più eccellente”, risuona da Parigi nelle università di tutto il mondo. La verità dell’Immacolata Concezione aveva trionfato per tutti, non solo per i teologi. Grazie, meraviglie, prodigi e miracoli nei secoli continuano a far risplendere il nome di Maria (cf. Storia del miracoloso simulacro di Nostra Signora della Fortuna, Genova). Anche in virtù di questo dogma di fede del quale, forse, ancora non comprendiamo pienamente le potenzialità e i frutti di santificazione. Per le celebrazioni del 150° anniversario del dogma dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, Papa Giovanni Paolo II il 18 ottobre 2004 scrive nella Lettera indirizzata al card. Salvatore De Giorgi, arcivescovo di Palermo:“Sono profonde radici storiche che la devozione all’Immacolata può vantare…Tale devozione, infatti, risale sicuramente ai tempi della dominazione bizantina, tra il VI e il IX secolo. La Madre di Cristo era particolarmente venerata con il titolo di Panaghia, Tutta Santa. Di lei si cominciò a celebrare liturgicamente la “santa Concezione”, e tale culto proseguì e si sviluppò…Nel secolo XV, in seguito alla predicazione dei Frati Francescani, la festa divenne addirittura di precetto, si moltiplicarono le chiese e le cappelle intitolate all’Immacolata e se ne diffuse l’iconografia propria. Dopo il Concilio di Trento sorsero…numerose Confraternite di Maria Immacolata…Nel 1850, l’Episcopato…al quesito posto dal Papa Pio IX rispose in modo unanime di auspicare la definizione dogmatica, affermando che la fede nell’Immacolata Concezione di Maria era parte integrante e irrinunciabile del patrimonio di fede e di pietà del popolo cristiano…In un mondo che rapidamente cambia, vi sono alcune cose che non devono mutare. Tra queste sta sicuramente il legame d’amore filiale tra i membri della Chiesa e la Vergine “piena di grazia” (Lc 1,28), che dalla Croce Gesù ci ha affidato come Madre (cfr Gv 19,27)”.

 

 

“Fides quaerens intellectum, intellectus quaerens fidem”.

 

Nel pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005) emergono dei riferimenti specifici in onore del b. Giovanni Duns Scoto, sia come persona sia come dottrina. Nell’abbondante patrimonio di scritti di Giovanni Paolo II e dai principali interventi, possiamo chiaramente capire quel sottile filo di simpatia esistente tra i due beati. Dopo 15 anni dall’Alma parens di Paolo VI, anche Giovanni Paolo II, dal 1980 in poi, parla direttamente di Duns Scoto. Almeno una decina di volte. E questo è un segno altamente positivo nei riguardi sia della persona sia della dottrina dell’illustre Dottore francescano. Giovanni Paolo II e il “rappresentante più qualificato della Scuola francescana”(3) segnano l’inizio di una prolifica collaborazione di tutti i teologici nella Chiesa universale. Tra le principali testimonianze, ricordiamo quella del 13 settembre 1980 quando, parlando ai partecipanti dell’VIII Congresso Tomistico Internazionale, Giovanni Paolo II scrive: «Prima e dopo di lui [Tommaso] molti altri illustri dottori lavorarono allo stesso scopo: tra i quali sono da ricordare San Bonaventura e Sant’Alberto Magno, Alessandro di Hales, Duns Scoto». Più diretta e specifica è la testimonianza del 15 novembre 1980, quando nella visita a Colonia, oltre a pregare sulla tomba di Duns Scoto, Karol J. Wojtyla scrive:«Il Duomo [di Colonia…] ha due torri imponenti che s’innalzano fino al cielo come testimoni della fede. La chiesa dei Frati minori, che è antica quanto il duomo, racchiude due torri spirituali della fede: l’importante teologo Duns Scoto e il grande apostolo della dottrina sociale della chiesa Adolph Kolping. Duns Scoto ci ha reso accessibile il mistero dell’Immacolata Concezione di Maria e ci ha descritto la sua importanza nel piano di salvezza divino. Questa chiesa fu la prima a nord delle Alpi a essere dedicata all’Immacolata». Il 16 gennaio 1982, parlando al Pontificio Ateneo Antonianum, Giovanni Paolo II ricorda la Commissione Scotistica che cura l’edizione critica delle opere di Duns Scoto e, citando Paolo VI, indirettamente si riferisce anche al Dottore Sottile quando parla dei «Maestri di più alto prestigio dell’Ordine Francescano, che insieme ad altri, diedero la loro parte nella costruzione del tempio della sapienza cristiana (Paolo VI, Alma Parens), aiutando così gli uomini ad adorare il Padre in spirito e verità (Gv 4,23)». Nella visita a Glasgow (Scozia), il 1° giugno 1982, Karol Wojtyla ricorda tra i principali studiosi scozzesi anche Duns Scoto. Scrive il Papa:«La Chiesa fu profondamente coinvolta nella lotta per l’indipendenza nazionale, con i suoi Vescovi – uomini come Robert Wishart di Glasgow – in prima fila con i vostri patrioti. In tutto l’alto Medio Evo la vostra santa Fede ha continuato a fiorire qui, con la costruzione di magnifiche Cattedrali e Chiese, con la fondazione di numerose case monastiche in tutto il territorio. I nomi dei Vescovi Wardlaw, Turnbull ed Elphinstone restano legati inseparabilmente alla fondazione delle vostre Università, delle quali questa piccola nazione è sempre stata così giustificabilmente fiera, nel mentre studiosi scozzesi come Duns Scoto, Riccardo di san Vittore e John Major acquisivano fama internazionale e onoravano la loro patria». È del 6 luglio 1991, la firma al decreto di canonizzazione del Servo di Dio Giovanni Duns Scoto da parte della Congregazione per la causa dei Santi, dove il Dottore francescano è presentato come un fedele adoratore di Dio in un momento in cui lo spirito di preghiera contemplativa sembra in crisi per l’eccessiva forma di secolarizzazione del mondo; come un campione della fede in un tempo in cui a tutto si crede, ma difficilmente a Dio; come un esempio di studioso e di ricercatore della verità, di modello di fedeltà al magistero ed alla chiesa in un momento in cui facile non appare il rapporto tra magistero e teologi. Scrive il Papa: «Duns Scoto pose come fondamento della sua speculazione e dei suoi sentimenti e interessi il Signore Dio e la Chiesa. Egli usando opportunamente le doti ricevute dal cielo, tenne fissi gli occhi della mente e del cuore nella luce delle verità eterne, e con la gioia di chi ha trovato un grande tesoro, più profondamente si addentrò nella conoscenza, nella contemplazione e nell’amore di Dio. Con autentica umiltà di sapiente non confidava nelle sue forze, ma nell’aiuto della grazia, che pieno di fiducia invocava con fervide preghiere. La teologia alimentava in lui la vita spirituale e, a sua volta, la vita spirituale rinvigoriva la teologia. La Rivelazione e il Magistero della Chiesa furono le sue regole principali non solo della sua meditazione, ma anche della sua vita che aveva deciso di conformare alla vita di Cristo. Guidato dalla fede, temprato dalla carità, illuminato dalla speranza, Giovanni Duns Scoto visse in intima unione con Dio, che amava con sommo ardore, e onorò con particolare devozione il mistero dell’Incarnazione del Verbo, della Passione di Cristo, dell’Eucaristia…e, da vero teologo di Maria, fu grande e autorevole assertore dell’Immacolata Concezione…Convinto che la somma autorità nella Chiesa apparteneva al Pontefice di Roma, non esitò ad abbandonare la splendida carriera nell’Università per testimoniare la sua fedeltà al Vicario di Cristo…». “Interessante e significativa è la breve presentazione spirituale che Giovanni Paolo II fa il 23 maggio 1992, in visita a Nola (Na)”(3). All’omelia ricorda «Giovanni Duns Scoto come l’insigne teologo e grande assertore dell’Immacolata Concezione…»; parlando ai religiosi, il pensiero del Papa «va spontaneamente al grande Giovanni Duns Scoto, teologo serio, in cui si possono trovare quelle risposte e quegli orientamenti pastorali e spirituali che gli uomini del nostro tempo attendono». “La testimonianza più vibrante è universalmente quella del 20 marzo 1993”(3), quando Giovanni Paolo II nella cerimonia di beatificazione di Giovanni Duns Scoto, per la conferma del culto liturgico al Beato, scrive:«Giovanni Duns Scoto Beato quasi all’indomani del suo pio transito ci ricorda che l’amore attivo verso i fratelli nasce dalla ricerca della verità e dalla sua contemplazione nel silenzio della preghiera e nella testimonianza senza ombre di una piena adesione alla volontà del Signore. Nella nostra epoca, pur ricca di immense risorse umane tecniche e scientifiche, ma nella quale molti hanno smarrito il senso della fede e conducono una vita lontana da Cristo e dal suo Vangelo, il Beato Duns Scoto si presenta non solo con l’acutezza del suo ingegno e la straordinaria capacità di penetrare nel mistero di Dio, ma anche con la forza persuasiva della sua santità di vita che lo rende, per la Chiesa e per l’umanità intera, Maestro di pensiero e di vita. La sua dottrina…edifica vigorosamente la Chiesa, sostenendola nella sua urgente missione di nuova evangelizzazione dei popoli della terra. In particolare, per i Teologi, i Sacerdoti, i Pastori d’anime, i Religiosi, e in modo speciale per i Francescani, il Beato Duns Scoto costituisce un esempio di fedeltà alla verità rivelata, di feconda azione sacerdotale, di serio dialogo nella ricerca dell’unità». Nel discorso ai partecipanti delle Pontificie Accademie, il 7 novembre 1998, Giovanni Paolo II scrive:«Quanto all’Occidente, la teologia, la spiritualità e l’arte, per onorare la Madre di Dio e per metterne in rilievo la maternità spirituale universale, attingono ai misteri della Santissima Trinità e del Verbo incarnato. La sua unione a Cristo è l’archetipo dell’unione della Chiesa e dei singoli cristiani al Redentore. Riflettendo su di essa, i discepoli del Signore hanno compreso ben presto che Maria Santissima è la prima fra i redenti, immagine perfetta della redenzione. Il Beato Giovanni Duns Scoto, cantore dell’Immacolata Concezione, scrisse a questo proposito:“Se dunque Cristo ci ha riconciliato perfettissimamente con Dio, ha meritato che venisse rimesso a qualcuno questo gravissimo castigo. Questo non poté essere che a favore della Madre sua”(Ordinatio III d.3. q.1). Mi rallegro che la Pontificia Accademia Mariana Internazionale ed il Pontificio Ateneo Antonianum abbiano istituito una cattedra di studi mariologici intitolati a questo grande teologo». Al messaggio ai partecipanti al 1° convegno mondiale delle università e centri di ricerca francescani, il 19 settembre 2001, Giovanni Paolo II prima ricorda queste parole: «Ben volentieri ribadisco quanto dissi in occasione del Capitolo Generale del vostro Ordine nel 1991, richiamando in modo speciale la vostra attenzione sulla formazione intellettuale, nella quale occorre vedere un’esigenza fondamentale dell’evangelizzazione. L’antico motto “fides quaerens intellectum, intellectus quaerens fidem” è sempre attuale. Una fede autentica cerca l’intelligenza dei misteri, come pure un sano esercizio dell’intelligenza approfitta largamente dei lumi della fede. In effetti, solo una fede intelligente, consapevole di se stessa e delle sue ragioni, può fondare adeguatamente la scelta di vivere secondo il Vangelo. Soltanto uno studio illuminato dalla fede, desideroso di conoscere sempre più a fondo Dio, può portare all’incontro con Cristo, dare solidità alla vocazione e preparare alla missione. Lo studio, secondo quanto è detto nella Ratio studiorum, è pertanto “fondamentale nella vita e nella formazione, sia permanente che iniziale, di ogni frate minore”(n. 3). Poi il b. Wojtyla puntualizza: «Già dai primi tempi della vostra storia, la fede che cerca amorosamente l’intelligenza dei misteri divini ha occupato la mente e la vita di eminenti teologi, come San Bonaventura e il Beato Giovanni Duns Scoto, mentre grandi predicatori popolari, come Sant’Antonio da Padova e San Bernardino da Siena, si sono alimentati costantemente alle fonti della teologia, scienza ecclesiale per eccellenza». Ed ancora il Papa scrive: «Dal grande deposito della teologia e della sapienza francescana possono essere tratte risposte adeguate anche ai drammatici interrogativi dell’umanità, in questo inizio del terzo millennio cristiano…Seguendo l’esempio di San Francesco e la grande tradizione culturale dell’Ordine Francescano, sia vostra cura porre il Vangelo nel cuore della cultura e della storia contemporanea».

Il 16 febbraio 2002 Papa Giovanni Paolo II ricorda alla Commissione Scotistica: «È ben nota, nella filosofia e teologia cattolica, la figura del beato Giovanni Duns Scoto, che il mio predecessore, il Papa Paolo VI, nella Lettera apostolica Alma Parens del 14 luglio 1966, definiva come “il perfezionatore” di San Bonaventura, “il rappresentante più qualificato” della Scuola francescana. In quella circostanza Paolo VI asseriva che negli scritti di Duns Scoto “latent certe ferventque Sancti Francisci Asisinatis perfectionis pulcherrima forma et seraphici spiritus ardores”[si celano e fervono lo spirito e l’ideale di San Francesco d’Assisi] ed aggiungeva che dal tesoro teologico delle sue opere si possono ricavare spunti preziosi per “sereni colloqui” tra la Chiesa cattolica e le altre Confessioni cristiane». “Aggiunge Papa Wojtyla con grande entusiasmo e simpatia”(3):«Duns Scoto, con la sua splendida dottrina sul primato di Cristo, sull’Immacolata Concezione, sul valore primario della Rivelazione e del Magistero della Chiesa, sull’autorità del Papa, sulla possibilità della ragione umana di rendere accessibili, almeno in parte, le grandi verità della fede, di dimostrarne la non contraddittorietà, rimane ancor oggi un pilastro della teologia cattolica, un Maestro originale e ricco di spunti e sollecitazioni per una conoscenza sempre più completa delle verità della Fede». Ed ancora: «Le Opere di Duns Scoto più volte ristampate nei secoli precedenti, avevano bisogno di una grande revisione, per essere liberate dai molti errori degli amanuensi e dalle interpolazioni fatte dai discepoli. Non era più possibile studiare Scoto in quelle edizioni. Si imponeva un’edizione critica seria, basata sui manoscritti. Era la stessa esigenza che si era avvertita per le Opere di san Bonaventura e di san Tommaso…Con grande impegno sono state individuate e indicate le fonti dirette ed indirette, di cui si è servito Scoto nella sua stesura».“Si può notare l’evoluzione intrinseca alle testimonianze di Giovanni Paolo II, che verso la fine tracciano una meravigliosa sintesi del pensiero teologico di Duns Scoto, citando per la prima volta anche il delicato principio del rapporto fede-ragione, così caro a Duns Scoto e che costituisce la nota predominate della sua metodologia e della sua ermeneutica”(3).

 

 

Il b. Giovanni Duns Scoto nel magistero di Benedetto XVI. Duns Scoto, Dottore della Chiesa.

 

“Solo la Divina Misericordia mette un limite al male”(Card. Christoph Schonborn, Arcivescovo di Vienna). All’Udienza generale del 7 luglio 2010, Papa Benedetto XVI presenta “un’altra figura importante nella storia della teologia”, il “beato Giovanni Duns Scoto”. Un’antica iscrizione sulla tomba dell’illustre Dottore francescano riassume le coordinate geografiche della sua biografia:“in Scozia egli nacque; l’Inghilterra lo accolse; la Francia lo istruì; Colonia, in Germania, ne conserva i resti”.

“Duns Scoto – scrive Papa Benedetto XVI – ha meditato sul Mistero dell’Incarnazione e, a differenza di molti pensatori cristiani del tempo, ha sostenuto che il Figlio di Dio si sarebbe fatto uomo anche se l’umanità non avesse peccato. Egli afferma nella Reportata Parisiensa: “Pensare che Dio avrebbe rinunciato a tale opera se Adamo non avesse peccato sarebbe del tutto irragionevole! Dico dunque che la caduta non è stata la causa della predestinazione di Cristo, e che – anche se nessuno fosse caduto, né l’angelo né l’uomo – in questa ipotesi Cristo sarebbe stato ancora predestinato nella stessa maniera”(in III Sent., d. 7, 4). Questo pensiero, forse un po’ sorprendente, nasce perché per Duns Scoto l’Incarnazione del Figlio di Dio, progettata sin dall’eternità da parte di Dio Padre nel suo piano di amore, è compimento della creazione, e rende possibile ad ogni creatura, in Cristo e per mezzo di Lui, di essere colmata di grazia, e dare lode e gloria a Dio nell’eternità. Duns Scoto, pur consapevole che, in realtà, a causa del peccato originale, Cristo ci ha redenti con la sua Passione, Morte e Risurrezione, ribadisce che l’Incarnazione è l’opera più grande e più bella di tutta la storia della salvezza, e che essa non è condizionata da nessun fatto contingente, ma è l’idea originale di Dio di unire finalmente tutto il creato con se stesso nella persona e nella carne del Figlio”(7).

Benedetto XVI sottolinea: “Fedele discepolo di san Francesco, Duns Scoto amava contemplare e predicare il Mistero della Passione salvifica di Cristo, espressione dell’amore immenso di Dio, il Quale comunica con grandissima generosità al di fuori di sé i raggi della Sua bontà e del Suo amore (cfr Tractatus de primo principio, c. 4). E questo amore non si rivela solo sul Calvario, ma anche nella Santissima Eucaristia, della quale Duns Scoto era devotissimo e che vedeva come il Sacramento della presenza reale di Gesù e come il Sacramento dell’unità e della comunione che induce ad amarci gli uni gli altri e ad amare Dio come il Sommo Bene comune (cfr Reportata Parisiensia, in IV Sent., d. 8, q. 1, n. 3)”.

Benedetto XVI pone l’accento sulla visione teologica fortemente cristocentrica di Duns Scoto. Essa “ci apre alla contemplazione, allo stupore e alla gratitudine: Cristo è il centro della storia e del cosmo, è Colui che dà senso, dignità e valore alla nostra vita! Come a Manila il Papa Paolo VI, anch’io oggi vorrei gridare al mondo: “[Cristo] è il rivelatore del Dio invisibile, è il primogenito di ogni creatura, è il fondamento di ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita… Io non finirei più di parlare di Lui” (Omelia, 29 novembre 1970). Non solo il ruolo di Cristo nella storia della salvezza, ma anche quello di Maria è oggetto della riflessione del Doctor subtilis. Ai tempi di Duns Scoto la maggior parte dei teologi opponeva un’obiezione, che sembrava insormontabile, alla dottrina secondo cui Maria Santissima fu esente dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento: di fatto, l’universalità della Redenzione operata da Cristo, a prima vista, poteva apparire compromessa da una simile affermazione, come se Maria non avesse avuto bisogno di Cristo e della sua redenzione. Perciò i teologi si opponevano a questa tesi. Duns Scoto, allora, per far capire questa preservazione dal peccato originale, sviluppò un argomento che verrà poi adottato anche dal beato Papa Pio IX nel 1854, quando definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. E questo argomento è quello della “Redenzione preventiva”, secondo cui l’Immacolata Concezione rappresenta il capolavoro della Redenzione operata da Cristo, perché proprio la potenza del suo amore e della sua mediazione ha ottenuto che la Madre fosse preservata dal peccato originale. Quindi Maria è totalmente redenta da Cristo, ma già prima della concezione. I Francescani, suoi confratelli, accolsero e diffusero con entusiasmo questa dottrina, e altri teologi – spesso con solenne giuramento – si impegnarono a difenderla e a perfezionarla. Teologi di valore, come Duns Scoto circa la dottrina sull’Immacolata Concezione, hanno arricchito con il loro specifico contributo di pensiero ciò che il Popolo di Dio credeva già spontaneamente sulla Beata Vergine, e manifestava negli atti di pietà, nelle espressioni dell’arte e, in genere, nel vissuto cristiano. Così la fede sia nell’Immacolata Concezione, sia nell’Assunzione corporale della Vergine – scrive Benedetto XVI – era già presente nel Popolo di Dio, mentre la teologia non aveva ancora trovato la chiave per interpretarla nella totalità della dottrina della fede. Quindi il Popolo di Dio precede i teologi e tutto questo grazie a quel soprannaturale sensus fidei, cioè a quella capacità infusa dallo Spirito Santo, che abilita ad abbracciare la realtà della fede, con l’umiltà del cuore e della mente. In questo senso, il Popolo di Dio è “magistero che precede”, e che poi deve essere approfondito e intellettualmente accolto dalla teologia. Possano sempre i teologi mettersi in ascolto di questa sorgente della fede e conservare l’umiltà e la semplicità dei piccoli!”.

Benedetto XVI l’aveva ricordato qualche mese prima dicendo:“Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura…ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo…L’essenziale è rimasto nascosto! Invece, ci sono anche nel nostro tempo i piccoli che hanno conosciuto tale mistero. Pensiamo a santa Bernardette Soubirous; a santa Teresa di Lisieux, con la sua nuova lettura della Bibbia ‘non scientifica’, ma che entra nel cuore della Sacra Scrittura” (Omelia. S. Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 1 dicembre 2009)…Duns Scoto ha sviluppato un punto a cui la modernità è molto sensibile. Si tratta del tema della libertà e del suo rapporto con la volontà e con l’intelletto. Il nostro autore sottolinea la libertà come qualità fondamentale della volontà, iniziando una impostazione di tendenza volontaristica, che si sviluppò in contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista. Per san Tommaso d’Aquino, che segue sant’Agostino, la libertà non può considerarsi una qualità innata della volontà, ma il frutto della collaborazione della volontà e dell’intelletto. Un’idea della libertà innata e assoluta collocata nella volontà che precede l’intelletto, sia in Dio che nell’uomo, rischia, infatti, di condurre all’idea di un Dio che non sarebbe legato neppure alla verità e al bene. Il desiderio di salvare l’assoluta trascendenza e diversità di Dio con un’accentuazione così radicale e impenetrabile della sua volontà non tiene conto che il Dio che si è rivelato in Cristo è il Dio “logos”, che ha agito e agisce pieno di amore verso di noi. Certamente, come afferma Duns Scoto nella linea della teologia francescana, l’amore supera la conoscenza ed è capace di percepire sempre di più del pensiero, ma è sempre l’amore del Dio “logos” (cfr Benedetto XVI, Discorso a Regensburg, Insegnamenti di Benedetto XVI, II [2006], p. 261). Anche nell’uomo l’idea di libertà assoluta, collocata nella volontà, dimenticando il nesso con la verità, ignora che la stessa libertà deve essere liberata dei limiti che le vengono dal peccato. “La libertà in tutti i tempi è stata il grande sogno dell’umanità, sin dagli inizi, ma particolarmente nell’epoca moderna”(Discorso al Pontificio Seminario Romano Maggiore, 20 febbraio 2009). Però, proprio la storia moderna, oltre alla nostra esperienza quotidiana, ci insegna che la libertà è autentica, e aiuta alla costruzione di una civiltà veramente umana, solo quando è riconciliata con la verità. Se è sganciata dalla verità, la libertà diventa tragicamente principio di distruzione dell’armonia interiore della persona umana, fonte di prevaricazione dei più forti e dei violenti, e causa di sofferenze e di lutti. La libertà, come tutte le facoltà di cui l’uomo è dotato, cresce e si perfeziona, afferma Duns Scoto, quando l’uomo si apre a Dio, valorizzando quella disposizione all’ascolto della Sua voce, che egli chiama potentia oboedientialis: quando noi ci mettiamo in ascolto della Rivelazione divina, della Parola di Dio, per accoglierla, allora siamo raggiunti da un messaggio che riempie di luce e di speranza la nostra vita e siamo veramente liberi. Il beato Duns Scoto ci insegna che nella nostra vita l’essenziale è credere che Dio ci è vicino e ci ama in Cristo Gesù, e coltivare, quindi, un profondo amore a Lui e alla sua Chiesa”(7).

Parole che lasciano sperare: il b. Giovanni Duns Scoto sarà presto Santo e Dottore della Chiesa. Già in occasione del VII Centenario della morte del frate scozzese, Benedetto XVI nella Lettera Apostolica “Laetare, Colonia urbs” del 28 ottobre 2008, scrive:“Rallegrati, città di Colonia, che un tempo hai accolto tra le tua mura il dottissimo e piissimo Giovanni Duns Scoto…e con grande ammirazione e venerazione conservi le sue sacre spoglie. Poiché i Venerabili Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, Nostri predecessori, lo hanno esaltato con grandi lodi, anche Noi ora lo vogliamo circondare di degna lode e invocare il suo patrocinio. A buon diritto ora…crediamo che in questo ambito possiamo ricordare qualcosa e ampliare quanto un uomo esimio ha bene meritato intorno alla dottrina della Chiesa e alla scienza degli uomini. Egli, unendo pietà e investigazione intellettuale, secondo la sua stessa preghiera:“Concedimi, o Creatore del mondo, di credere, comprendere e insegnare quelle cose che piacciono alla tua maestà e la cui contemplazione elevano la nostra mente”, con ingegno sottilissimo ha così profondamente penetrato i misteri della verità sia naturale che rivelata e quindi ha tratta fuori una dottrina di tal genere che…divenne principe della Scuola Francescana nonché luce ed esempio di tutto il popolo cristiano. Pertanto, desideriamo che l’animo degli uomini dotti e di tutti i credenti e non credenti siano rivolti verso la via e la ragione che Scoto ha seguito nello stabilire l’armonia tra fede e ragione, e nel definire in tal modo la natura della teologia, che sempre innalzò l’azione, l’operazione, la praxis, l’amore, più che la pura speculazione; per cui nelle opere fu guidato dal Magistero della Chiesa e dal senso critico circa il progresso della conoscenza della verità, ed era persuaso che il possesso della scienza tanto vale quanto essa stessa si traduce in praxis. Confermato nella fede cattolica, si è impegnato a comprendere spiegare e difendere le verità della fede con il lume naturale della ragione. Perciò, non ha tralasciato niente perché tutte le verità, naturali e soprannaturali, che promanano dall’unica e medesima Fonte, fossero in armonia tra di loro. Ha considerato l’autorità della Chiesa vicino alla sacra Scrittura divinamente ispirata. Egli stesso sembra seguire l’afflato di sant’Agostino:“Non crederei al Vangelo, se non credesse la Chiesa”. Difatti, il nostro Dottore molte volte pone l’autorità suprema del Successore del beato Pietro in una particolare luce. Secondo il suo pensiero “benché il Papa non possa dispensare dal diritto naturale o divino (perché la sua potestà è inferiore a quel diritto), tuttavia come Successore di Pietro, Principe degli Apostoli, ha la medesima potestà di Pietro”. Pertanto, la Chiesa Cattolica, che ha come Capo invisibile lo stesso Cristo, il quale nel beato Pietro e nei suoi Successori ha lasciato i suoi Vicari, assistita dallo Spirito della verità, è custode autentico del deposito della fede e regola (sicura) di fede. La Chiesa è criterio fermo e

stabile della canonicità della Sacra Scrittura. Essa stessa infatti “ha decretato quali sono i libri che hanno autorità nel canone della Bibbia”. In altri luoghi risponde che “le Scritture sono esposte dallo Spirito, per cui così intese, è da supporre che la Chiesa cattolica ha esposto con lo stesso Spirito come è stata tramandata a noi la fede, cioè edotta dalla verità dello Spirito”. Inoltre Egli ha provato dalla ragione teologica con molti argomenti lo stesso fatto della preservazione della Beata Vergine Maria dal peccato originale [non più riferimento alla macchia!], era comunque del tutto pronto a rigettare tale sentenza, se avesse constato che ripugnava all’Autorità della Chiesa dicendo:“Se non ripugna all’autorità della Chiesa o all’autorità della Scrittura, sembra probabile, attribuire a Maria ciò che è più eccellente”. Il primato della volontà pone in luce che Dio è prima di tutto carità. Duns Scoto ha davanti agli occhi questa carità, questo amore quando vuole ridurre la teologia a un abito, alla teologia pratica. Davanti alla sua mente, essendo Dio “formalmente amore e formalmente carità”, i raggi della sua bontà e del suo amore comunica fuori di sé in modo liberissime. Scopre che Dio per amore “ci sceglie prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Cristo Gesù” (Ef 1, 3-4). Come fedele seguace di san Francesco d’Assisi, il beato Giovanni ha assiduamente contemplato e predicato l’Incarnazione del Figlio di Dio e la sua passione redentrice. E la carità o l’amore di Cristo si manifesta in particolar modo non solo sul luogo del Calvario, ma anche nel santissimo sacramento dell’Eucaristia, senza della quale “perisce ogni devozione nella Chiesa, né l’atto di latria a Dio si offre se non per il suo culto”. Inoltre, l’Eucaristia è sacramento d’unità e d’amore, per il quale siamo portati ad amarci vicendevolmente, e ad amare Dio come bene comune e [a desiderare che sia] co-amato da altri. E in tal modo, questo amore, questa carità, è stato l’inizio di tutte le cose, così che anche nell’amore e nella carità soltanto sarà la nostra beatitudine: “il volere o l’amore è semplicemente la vita eterna beata e perfetta. Poiché anche Noi dall’inizio del Nostro ufficio abbiamo predicato che la carità è prima d’ogni cosa, che Dio stesso è carità, con grande gioia riconosciamo che la singolare dottrina di questo Beato abbia il primato sulla verità, e nello stesso modo valutiamo nel nostro tempo che sia massimamente da ricercare e da insegnare. Per questo…diamo questa Lettera Apostolica, con la quale desideriamo onorare il beato Giovanni Duns Scoto, e chiediamo per Noi la sua celeste intercessione. Pertanto a quelli che…si organizzeranno in onore di questo esimio figlio di San Francesco, elargiamo dal profondo del cuore la Nostra Apostolica Benedizione”(12).

 

L’Immacolata Concezione nel b. Giovanni Paolo II.

 

“L’Umanità non troverà Pace finché non si rivolgerà con fiducia alla Divina Misericordia”(B. Giovanni Paolo II). L’Immacolata Concezione viene definito “mirabile dogma della fede cattolica” dal b. Giovanni Paolo II. Scrive il Santo Padre Karol J. Wojtyla nella Solennità dell’Immacolata (8 dicembre 2004): “Quanto grande è il mistero dell’Immacolata Concezione…Mistero che non cessa di attirare la contemplazione dei credenti e ispira la riflessione dei teologi…”Piena di grazia”: con questo appellativo, secondo l’originale greco del Vangelo di Luca, l’Angelo si rivolge a Maria. E’ questo il nome con cui Dio, attraverso il suo messaggero, ha voluto qualificare la Vergine. In questo modo Egli l’ha pensata e vista da sempre, ab aeterno…La predestinazione di Maria, come quella di ognuno di noi, è relativa alla predestinazione del Figlio. Cristo è quella “stirpe” che avrebbe “schiacciato la testa” all’antico serpente, secondo il Libro della Genesi (cfr Gn 3,15); è l’Agnello “senza macchia” (cfr Es 12,5; 1 Pt 1,19), immolato per redimere l’umanità dal peccato. In previsione della morte salvifica di Lui, Maria, sua Madre, è stata preservata dal peccato originale e da ogni altro peccato. Nella vittoria del nuovo Adamo c’è anche quella della nuova Eva, madre dei redenti. L’Immacolata è così segno di speranza per tutti i viventi, che hanno vinto satana per mezzo del sangue dell’Agnello (cfr Ap 12,11). Contempliamo…l’umile fanciulla di Nazaret santa e immacolata al cospetto di Dio nella carità (cfr Ef 1,4), quella “carità”, che nella sua fonte originaria, è Dio stesso, uno e trino. Opera sublime della Santissima Trinità è l’Immacolata Concezione della Madre del Redentore! Pio nono nella Bolla Ineffabilis Deus, ricorda che l’Onnipotente ha stabilito “con un solo e medesimo decreto l’origine di Maria e l’incarnazione della divina Sapienza” (Pii IX Pontificis Maximi Acta, Pars prima, p. 559). Il “sì” della Vergine all’annuncio dell’Angelo si colloca nel concreto della nostra condizione terrena, in umile ossequio alla volontà divina di salvare l’umanità non dalla storia, ma nella storia. In effetti, preservata immune da ogni macchia di peccato originale, la “nuova Eva” ha beneficiato in modo singolare dell’opera di Cristo quale perfettissimo Mediatore e Redentore. Redenta per prima dal suo Figlio, partecipe in pienezza della sua santità, Essa è già ciò che tutta la Chiesa desidera e spera di essere. E’ l’icona escatologica della Chiesa. Per questo l’Immacolata, che segna “l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza” (Prefazio), precede sempre il Popolo di Dio, nel pellegrinaggio della fede verso il Regno dei cieli (cfr Lumen gentium, 58; Enc. Redemptoris Mater, 2). Nella concezione immacolata di Maria la Chiesa vede proiettarsi, anticipata nel suo membro più nobile, la grazia salvatrice della Pasqua”(9).(www.scoto.net).

Nicola Facciolini

Referenze bibliografiche:

(1)  P. Stefano Maria Manelli,“Beato Giovanni Duns Scoto”.

(2) “Filosofi e filosofie nella storia”, Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero.

(3) P. Lauriola Giovanni ofm, Presidente Centro Studi Personalisti “Duns Scoto”, autore dei libri:

“Il cantore dell’Immacolata”, 1991; “Giovanni Duns Scoto e la nuova evangelizzazione”, 2004.

(4) Giovanni Paolo II, Omelia per la beatificazione di Giovanni Duns Scoto, Osservatore Romano

22-23 marzo 1993.

(5) Giovanni Paolo II, Discorso alla Comunità Kolping, Colonia 15 novembre 1980.

(6) Discorso di Giovanni Paolo II ai membri della commissione su Duns Scoto dell’Ordine dei Frati

Minori, sabato 16 febbraio 2002.

(7) Giovanni Duns Scoto, Udienza generale del 7 luglio 2010, Papa Benedetto XVI.

(8) Giovanni Paolo II, Lettera al card. Salvatore De Giorgi, arcivescovo di Palermo, 150°

Anniversario del dogma dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria.

(9) Giovanni Paolo II, 8 dicembre 2004, Solennità dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria.

(10) “International Catholic Film Festival 2011”, Radio Vaticana.

(11) “Il Beato Giovanni Duns Scoto – Dottore dell’Immacolata”, p. Girolamo M. Pica (2010).

(12) Benedetto XVI, Lettera Apostolica “Laetare, Colonia urbs”, 28 ottobre 2008.

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