Prendiamo due casi emblematici: Fincantieri e Lockheed Martin. Entrambi vogliono o hanno già ridotto, il numero degli stabilimenti e quello del personale impiegato. Ambedue operano nei settori civile e militare.
Sembra un ritorno al passato, al 1992, quando una pesante crisi ha colpito l’industria militare. Eppure una differenza c’è.
All’epoca la crisi del mercato si era inserita in un contesto di concentrazione e razionalizzazione di un settore caratterizzato da distorsioni ed inefficienze. Numerose aziende avviarono piani di ristrutturazione e riduzione del personale il cui impatto sociale fu attenuato solo grazie al ricorso di misure straordinarie di cassa integrazione e pensionamento anticipato. Il SIPRI stimò la cancellazione in Europa di 500mila posti di lavoro sul totale di un milione e 500mila occupati. Nel 2008 l’industria europea della difesa occupava circa 800mila lavoratori e rappresentava quasi il 2,5% del PIL dell’Unione Europea a fronte di una spesa militare complessiva di 320 miliardi di dollari.
Guardiamo nel grafico l’andamento delle spese militari nel mondo dal 1988 al 2010 : http://www.globalissues.org/article/75/world-military-spending
Dal 1989 (crollo dell’Unione Sovietica) al 1999 si può vedere che le spese militari sono diminuite per ricominciare a crescere significativamente dal 2001 (crollo delle torri gemelle World Trade Center ). La spesa militare globale per il 2010 è stata di oltre 1.600 miliardi di dollari.
Della perdita dei posti di lavoro attribuibili all’aumento delle spese militari si parla poco. Sulla base dell’esperienza delle ultime due gravi recessioni, 1974-75 e 1981-82, ci si dovrebbe aspettare una crescita di circa 400.000 di posti di lavoro al mese. Invece stiamo ancora vedendo un tasso di crescita di posti di lavoro inferiore alla media di 250.000 al mese dagli anni ’90.
http://www.cepr.net/index.php/graphic-economics/graphic-economics/employment-growth-after-recessions
Le spese eccessive per la difesa portano alla perdita complessiva dei posti di lavoro.
http://www.uslaboragainstwar.org/article.php?id=23587
Nel 2002 anche in Italia si poteva leggere un articolo che domandava: La guerra aiuterà l’economia?
In conclusione, la spesa militare non sembra avere effetti espansivi sul ciclo economico. È perciò azzardato prevedere che una guerra degli Stati Uniti all’Irak allontanerà l’economia americana e mondiale dalle secche della recessione.
http://www.lavoce.info/articoli/pagina113.html
Oggi, se ancora non l’avessimo capito, l’aumento delle spese militari non comporta un aumento dell’occupazione anche nelle fabbriche belliche.
Allora è questo il momento di avviare, e non solo pensare, un progetto capace di tenere insieme le lotte dei lavoratori, degli studenti, dei movimenti in difesa del territorio. Bisogna che ci sia un cambiamento nelle decisioni e negli orientamenti produttivi verso una riconversione industriale.
Caso Fincantieri:
Il 5 ottobre 2010 Il capo di Stato maggiore della Marina Militare, l’ammiraglio Bruno Branciforte annuncia:
«Ci sarà una nuova linea di fregate: dieci unità Fremm che sostituiranno le 12 attuali e costituiranno la spina dorsale della flotta del futuro. Le prime sei sono state già finanziate, le altre necessitano di finanziamento». Tra le altre iniziative relative ai mezzi, due progetti per realizzare navi anfibie e navi logistiche, l’avviato programma di ammodernamento delle otto unità cacciamine classe Gaeta, una nuova nave di soccorso per sommergibili, 22 nuovi velivoli e 50 elicotteri.
La portaerei Cavour è costata allo Stato circa 1,3 miliardi di euro. Per le FREMM, fregate multiruolo, i costi globali del programma con i costi di sviluppo e costruzione delle 10 unità è di 5680 milioni di euro con termine nel 2018. La tranche che prevede la realizzazione delle prime due fregate vale 1250 milioni di euro; quella riferita alla preparazione e al supporto, 51 milioni di euro; quella relativa alla realizzazione delle altre 4 unità, 1628 milioni di euro, mentre per il supporto per tutte e sei le unità si parla di 130 milioni.
Il 24 maggio 2011 Fincantieri annuncia: “Piano duro per la nostra salvezza”
“La situazione del mercato è tale che solo un piano duro ma coraggioso può assicurare un futuro alla nostra impresa”. Lo ha detto l’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono in una comunicazione ai vertici aziendali in cui viene illustrato il Piano industriale. Nel documento, che ha scatenato la protesta dei lavoratori, si prevede la chiusura degli stabilimenti di Castellamare di Stabia e di Sestri Ponente.
Ancora una volta i dirigenti si alleano con i vertici aziendali: “Accuse strumentali: tutti sapevano”. Ma se tutti sapevano, tutti non hanno fatto nulla, le responsabilità però non sono uguali. Fatto sta che Fincantieri è una azienda dello Stato attraverso Fintecna, sua azionista di controllo.
http://www.fintecna.it/
Fincantieri, la rivolta dei manager “Accuse strumentali: tutti sapevano”
http://www.repubblica.it/economia/2011/05/27/news/fincantieri_manager_in_campo-16830085/
Risposta del sindacato: Costruiamo belle navi lasciateci continuare
http://www.fiom.cgil.it/fincantieri/crisi.htm
Fincantieri. Sindacato indisponibile ad ipotesi chiusura
http://www.fim.cisl.it/public/110526%20Fincantieri%20indisponibili%20a%20chiusura.pdf
Risposta del governo: Ministro Romani convoca azienda e sindacati
Il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani ha convocato per venerdì 3 giugno i vertici di Fincantieri e i sindacati nazionali per fare il punto sul piano di riorganizzazione industriale reso noto dalla società. Mentre il ministro per la Semplificazione Normativa, Roberto Calderoli, e il sottosegretario Francesco Belsito esprimono notevoli riserve e perplessità rispetto alla bozza presentata. E a sua volta il governatore della Campania Stefano Caldoro pur ammettendo che “la crisi del settore cantieristico dura da anni e i numeri forniti dai vertici di Fincantieri sono noti” sottolinea che “non possiamo perdere la tradizione che ha caratterizzato per anni Castellammare di Stabia”.
Caso Lockheed Martin.
La Lockheed Martin è celebre in Italia grazie alla sua partecipazione al programma F-35. Un programma che avrebbe dovuto portare occupazione ma di sicuro c’è solo l’enorme costo sopportato da tutti:
Il costo dello stabilimento di Cameri dagli atti del Parlamento è quantificato in 775 milioni di dollari, 605,5 milioni in euro.
I costi del programma d’acquisizione dei caccia F-35, presentati dal governo e approvati dal Parlamento, prevedono invece una spesa di 16,6 miliardi di dollari, pari a 12,9 miliardi di euro, per 131 velivoli fino al 2026.
“I fatti di questo programma sono veramente preoccupanti […], dopo quasi dieci anni di sviluppo e quattro anni di produzione, la progettazione del velivolo non è ancora stabile, i processi di fabbricazione hanno ancora bisogno di migliorare e il sistema d’arma non ha ancora stato dimostrato di essere affidabile. Nessun programma dovrebbe continuare con quel tipo di curriculum – in particolare nel nostro clima fiscale in corso “(Sen. McCain)
La Lockheed Martin per voce del suo Presidente e Chief Executive Officer Bob Stevens, ha annunciato una riduzione del personale ed una ristrutturazione aziendale durante la conferenza stampa “media day” 2011.
“Dal nostro ultimo Media Day abbiamo strutture consolidate, ceduto due aziende, ridotto i ranghi dirigenziali del 26 per cento, avviato una riduzione delle spese, congelati gli stipendi dei nostri dipendenti più anziani ed esaminato criticamente ogni processo, acquisto e transazione”.
Vi è stato un licenziamento di 20.000 dei 146.000 dipendenti.
http://www.lockheedmartin.com/news/press_releases/2011/0524hq-stevens.html
Rossana De Simone-Peacelink
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