Atterrando nella maggior parte degli aeroporti delle capitali latinoamericane, da Guatemala City a Bogotà, da Lima a San Paolo, la prima cosa che attrae l’attenzione del viaggiatore diretto al ritiro del proprio bagaglio è la gigantografia di bambini del posto (riconoscibili o meno, a seconda delle varie legislazioni nazionali). Non trattandosi, evidentemente, di modelli in posa per la promozione di qualche prodotto o servizio, lo scopo dell’operazione è quello di richiamare il visitatore ad un principio chiaro ed inequivocabile: la protezione dei diritti dei minori. Ma, se tale principio è universalmente riconosciuto, così come stabilito dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, la necessità di promuoverlo è maggiore proprio laddove il principio stesso viene più facilmente minacciato.
È, per l’appunto, il caso dell’America Latina, il continente con il più elevato tasso di diseguaglianza sociale, vale a dire con la forbice maggiore tra cittadini ricchi e cittadini poveri. Ed è proprio nei contesti diseguali che i settori di popolazione più vulnerabili (generalmente le donne, i bambini, le minoranze etniche e religiose, i sieropositivi) faticano a soddisfare i loro diritti sociali, politici ed economici. I minori di età fanno parte di questa categoria.
Secondo un recente studio realizzato dalla CEPAL (la Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi), in congiunto con UNICEF, sulla povertà infantile in America Latina e Caraibi, esistono in questa zona 81 milioni di minori di 18 anni che vivono in condizione di povertà. Prima di addentrarsi nelle cifre, vale la pena definire il concetto di povertà infantile, già che la condizione di minore è senz’altro diversa da quella di adulto lavoratore e responsabile di un nucleo familiare e, di conseguenza, la povertà infantile presenta caratteristiche, cause ed effetti differenti rispetto a quella che colpisce una persona adulta.
Se, infatti, l’utilizzo del solo metodo monetario per la misurazione dello stato di povertà di un individuo o di una popolazione, come la capacità di potere d’acquisto o l’ingresso economico, è di per sé limitante in generale, dato che non prende in considerazione indicatori di tipo sociale e politico, lo è ancora di più per le persone minori di età. Per tale motivo, lo studio in questione considera una serie di indicatori elaborati dall’Università di Bristol, che definisce la povertà infantile come la privazione del diritto alla salute, all’educazione, all’informazione, alla nutrizione adeguata, all’accesso a fonti di acqua potabile e sistemi sanitari di base, ad un’abitazione sicura e dignitosa. La stessa UNICEF definisce la povertà infantile come “una privazione di risorse materiali, spirituali ed emozionali necessarie per sopravvivere, svilupparsi e prosperare, che impedisce il soddisfacimento dei propri diritti, lo sfruttamento del proprio potenziale e la partecipazione alla vita sociale con parità di diritti e dignità”.
Esistono, quindi, aspetti della povertà infantile che vanno al di là dei parametri generalmente utilizzati per la misurazione della povertà, come l’insicurezza, l’abuso fisico, la mancanza di prospettive, l’alfabetizzazione.
Secondo una definizione così costruita, in America Latina e nei Caraibi il 45% di bambini, bambine ed adolescenti è colpito da una o più privazioni di tali diritti e va, di conseguenza, considerato povero. Tutto ciò, continua lo studio, è particolarmente grave se si considera come la violazione dei diritti dei minori produce conseguenze non solo nel breve periodo, ma anche e soprattutto nel lungo, ripercuotendosi nel futuro di un’intera nazione e delle generazioni a venire. Per questo motivo, la riduzione della povertà minorile costituisce la sfida maggiore per i governi del continente latino e caraibico. “Al fine di eliminare il flagello della povertà infantile, i governi devono saper integrare politiche sociali, politiche occupazionali e politiche macroeconomiche. Questo richiede l’assegnazione di maggiori risorse per la promozione dei diritti dei minori, aumentando la quantità e la qualità dei servizi e ampliando i sistemi di protezione sociale”, segnalano Alicia Barácena – Segretaria di Direzione della CEPAL – e Bernt Aasen – Direttore Regionale di UNICEF – nel prologo del documento.
Analizzando i dati, esiste una grande eterogeneità tra i vari paesi della regione: la Bolivia è il paese che registra il più elevato tasso di povertà minorile, seguito da Nicaragua, Guatemala, El Salvador e Perù; al contrario, Costa Rica, Cile, Uruguay, Repubblica Dominicana e Argentina rappresentano le nazioni con minore povertà infantile. Nel primo gruppo di paesi, due minori su tre sono considerati poveri, mentre nel secondo gruppo il rapporto è di un minore ogni quattro. Ampliando il raggio, se si considera l’intera popolazione, la percentuale di persone povere sotto i diciotto anni è di gran lunga superiore a quella che corrisponde ad altri gruppi di età. Si tratta, come detto, di un dato particolarmente allarmante in prospettiva futura ed intergenerazionale.
Ciò che più differenzia il continente latino dal resto dei paesi OCSE, è la debolezza dei sistemi di protezione sociale a favore dei minori. Laddove manca lo stato, la famiglia diventa l’unica “linea di difesa” per bambini ed adolescenti. Va da sé come questa linea di difesa presenti diverse falle in contesti familiari poveri e degradati, come è il caso di diverse zone di America Latina e Caraibi. Per questo, esistono numerose ong, associazioni e movimenti che si incaricano di supplire alle carenze dello stato e alla mancanza di risorse all’interno delle famiglie.
Il Movimento latinoamericano dei bambini e adolescenti lavoratori (Molacnats) costituisce una realtà di grande importanza e interesse dal momento che la propria assemblea è costituita in maniera esclusiva da minori lavoratori e nessun adulto è presente negli organismi di direzione. Obiettivo del Movimento è quello di stimolare l’attivazione di servizi che migliorino la qualità della vita delle migliaia di bambini ed adolescenti lavoratori in America Latina e Caraibi, ma anche quello di diffondere una coscienza condivisa sui diritti dei giovani lavoratori. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), esistono in America Latina 48 milioni di minori lavoratori. Solo il 10% di essi appartiene al settore formale e la grande maggioranza impiega il proprio tempo in lavori informali, per lo più in zone rurali o urbano marginali.
In materia di politica pubblica, lo studio della CEPAL ribadisce l’importanza di un maggior impegno da parte degli organi statali, nella lotta alla povertà infantile. È prima di tutto necessario lavorare sulla riduzione della diseguaglianza economico-sociale che caratterizza il continente latino, a cominciare da una maggiore presa in considerazione della voce dei più giovani, che risulta spesso inascoltata e da maggiori investimenti in servizi a favore dei minori. Investire in educazione, nutrizione, parità di diritti e salute significa garantire un futuro ad una nazione. Lo ricordano anche gli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Andrea Dalla Palma.Unimondo
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