Due grandi talenti al cinema

Figlio di un musicista jazz, nonostante le enormi difficoltà motorie, Michel Petrucciani dimostrò fin dall’infanzia una sorprendente propensione per la musica. Le sue mani, enormi e sproporzionate rispetto al piccolo corpo, sembravano volare sui tasti del pianoforte, suonando con un vigore che avrebbe potuto provocare delle fratture nelle sue ossa delicate. E’ uscito il 22 […]

Figlio di un musicista jazz, nonostante le enormi difficoltà motorie, Michel Petrucciani dimostrò fin dall’infanzia una sorprendente propensione per la musica. Le sue mani, enormi e sproporzionate rispetto al piccolo corpo, sembravano volare sui tasti del pianoforte, suonando con un vigore che avrebbe potuto provocare delle fratture nelle sue ossa delicate. E’ uscito il 22 scorso nelle sale italiane (poche purtroppo, appena 13), il film-documentario di Michael Radford (quello de “Il Postino”) su questo straordinario pianista francese, che, affetto da una grave forma genetica e morto a soli 36 anni, usi è dimostrato uomo ed artista straordinario, capace di raggiunse il successo attraverso una volontà incrollabile e la forza della sua personalità. “Michel Petrucciani. Body & Soul”, questo il titolo, coproduzione Italo-Tedesca, in 90 intensissimi minuti racconta una storia esemplare di talento e determinazione, mostrando, ancora una volta, la capacità narrativa di Radford, autore affabile e da sempre legato al nostro paese: di molti anni fa un documentario sulla musica napoletana e la Nuova Compagnia di Canto Popolare, per non parlare del rammentato “Postino” e del fatto che si è sposato in Italia, Nazione dove è nato suo figlio. Il lavoro di Radford è biografico, lineare e si affida con efficacia, all’istrionica personalità di Petrucciani e al piacere che lui stesso traeva dal ripetere la propria storia, attento agli aneddoti, sottolineando gli incontri, sfruttando le possibilità di raccordo automaticamente suggerite da questo modo di fare. Il materiale di repertorio è affascinante e racconta un mondo dorato e dannato dall’interno, senza filtri agiografici, mentre la musica, ovviamente sempre presente, non è però il centro dell’interesse del regista, che sceglie piuttosto di non staccare gli occhi dall’uomo. Dal documentario, presentato con successo all’ultimo Cannes,  viene anche fuori, con molta forza, il rapporto appassionato tra Petrucciani e le sue donne, un aspetto molto bello in una società in cui sembra che l’apparenza fisica sia tutto. Nato nel sud della Francia nel 1962, Petrucciani era afflitto da una terribile malattia, l’osteogenesi imperfetta, che gli ha permesso di arrivare solo al metro di statura, con le ossa fragilissime, soggette a continue fratture. Cresce amatissimo e molto accudito, imbevuto di note fin da piccolissimo (non frequenta nemmeno la scuola, date le sue condizioni) e a 7 anni suona benissimo il pianoforte, da autodidatta e già con un suo stile, naturalmente mutuato sulla musica che ascoltava a casa: il jazz. A 13 anni già il mondo gli andava stretto e, dopo sette anni di tournée in patria, nel 1981 sbarca negli Stati Uniti, in California. Ritrova vecchi amici e ne trova nuovi. La sua fama cresce, si traferisce a New York, primo bianco accolto al Blue Note, dove suona con tutti i grandi nomi che per lui erano mito. E intanto si gode la vita, sempre più vita, perché all’interno del minuscolo corpo la sua mente era vasta, le sue aspettative enormi. Con grande senso dell’umorismo, affermava che la malattia gli aveva impedito di distrarsi conducendo una vita “normale” e di concentrarsi sulla sua passione, sulla musica. Sul fronte personale ebbe tre relazioni significative e il suo primo matrimonio con la pianista italiana Gilda Buttà finì con un divorzio. Ebbe due figli, uno dei quali ereditò la sua malattia l’altro, di 21 anni, è un eccllente chitarrista jazz. Morì in seguito a gravi complicazioni polmonari e giace sepolto al cimitero parigino di Père Lachaise accanto alla tomba di Fryderyk Chopin. Nato a Nuova Delhi nel 1947, Radford ha anche diretto, nel 2002, “Il Mercante di Venezia” e sta ultimando la lavorazione di due film: “King Lear” e “Castro’s Daugheter”, dopo aver terminato “La mula”, basato su una novella di Juan Eslava Galan. A noi piace uno dei sui primissimi film: “Another Time, Another Place” (1983), storia melanconica e sensibilissima di un prigioniero italiano di origine napoletana rinchiuso, durante la II seconda Guerra Mondiale,  in un campo di lavoro in Scozia che , s’innamora di Janie, la contadina per la quale lavora con un gruppo d’italiani. Quando la guerra finisce l’uomo viene accusato di aver “abusato” di una donna inglese e sono in pochi a difenderlo. Il film , onorato con 7 premi internazionali, di cui 3 per l’attrice esordiente, tocca due grandi temi: l’incontro di due culture e i diversi modi della repressione sociale in una comunità agricola), esaltati da un taglio che resterà la cifra più distintiva del regista inglese. L’altro grande talento trasferito in un docu-film di recente uscita, è quello di Vittorio Gassman,  attore rivoluzionario, capace di passare da un genere all’altro, portato in sala da Giancarlo Scarchilli, che ha diretto: “Vittorio racconta Gassman – Una vita da mattatore”, che vuole far conoscere il percorso artistico e umano di una delle maggiori personalità dello spettacolo e della cultura italiana del XX secolo. Ideato dallo stesso regista e da  Alessandro Gassman, che a primavera 2012 inizierà le riprese dell’opera prima, tratta dal suo spettacolo teatrale ‘Roman e il suo cucciolo’ di Reinaldo Povod, con protagonisti due immigrati romeni, un padre e un figlio,  coinvolti nel mondo dello spaccio, il film uscirà nelle sale il prossimo 29 giugno, , dopo alcune proiezioni gratuite che si terranno lunedì 27 a Roma, Torino, Milano, Firenze, Napoli, Bologna e Genova. Nel docu-film, con vari inediti e molte interviste, la ricostruzione del percorso artistico e culturale di un talento dello spettacolo, che ha spaziato dal teatro classico al cinema, alla televisione, rivelando spesso grandi capacità innovative. Il docu di Scarchilli, che ha già venduto 18mila copie in Dvd e approderà prossimamente in Rai, ha ricevuto, il 20 giugno,  una targa speciale dai Nastri d’argento. Natura istrionica ma anche fortemente sensibile, Vitorio Gassman confessò più volte di aver sofferto in vita malgrado gli straordinari successi (anche con le donne), di abissali depressioni, una delle quali particolarmente grave e da cui si riebbe per un caso, dopo aver ingerito l’ennesima pastiglia medicinale (che in quel caso però fece effetto). Di tale entità fu il problema che intorno a questa sua esperienza scrisse anche un libro “Memorie dal sottoscala”. Gassman è morto il 28 Giugno 2000, a 78 anni, nella sua casa romana a causa di una crisi cardiaca. Oltre che a quella teatrale, cinematografica e televisiva, Vittorio Gassman ha coltivato anche una sua attività letteraria, esordendo nel 1965 col romanzo Luca dei numeri, pubblicato dalla casa editrice milanese Lerici, e pubblicando successivamente sia volumi autobiografici come Un grande avvenire dietro le spalle (1981) e Memorie del sottoscala (1990), sia opere come Ulisse e la balena bianca (1992), Mal di parole (1992) e Lettere d’amore sulla bellezza (1996) con Giorgio Soavi. Dal 2004 è stato a lui intitolato un premio teatrale con giuria popolare, che culmina con la consegna dei premi nel Teatro Fenaroli di Lanciano, in provincia di Chieti, alla fine di ogni stagione teatrale (solitamente tra fine maggio e inizio giugno). Premi alla carriera sono stati invece consegnati a Giorgio Albertazzi, Corrado Pani, Paolo Ferrari, Carlo Giuffrè e Paolo Bonacelli; mentre la categoria miglior giovane talento ha visto protagonisti tra gli altri: Ascanio Celestini, Fausto Russo Alesi e Davide Enia. Il Premio, ideato da Milo Vallone è organizzato dall’associazione Teatranti e patrocinato dalla Fondazione Vittorio Gassman. Nel suo albo sono presenti 13 categorie cha vanno dai già citati miglior attore/attrice, carriera e giovane talento, a miglior spettacolo, regia, costumista scenografo, musical, miglior spettacolo estivo.

Carlo Di Stanislao

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