Ispirati cospiratori

E’ raro vedere un film che riesce così bene a far scorrere una sceneggiatura che potrebbe presentare mille insidie (proprio per la sua volontà di essere calco quasi perfetto del presente), senza rinunciare al linguaggio spettacolare del cinema americano, fatto di agnizioni, colpi di scena e clamorosi svelamenti. Abraham Lincoln, 16º Presidente degli Stati Uniti […]

E’ raro vedere un film che riesce così bene a far scorrere una sceneggiatura che potrebbe presentare mille insidie (proprio per la sua volontà di essere calco quasi perfetto del presente), senza rinunciare al linguaggio spettacolare del cinema americano, fatto di agnizioni, colpi di scena e clamorosi svelamenti. Abraham Lincoln, 16º Presidente degli Stati Uniti d’America e il primo ad appartenere al Partito Repubblicano, fu assassinato il 15 aprile 1865 al Ford’s Theatre di Washington, dove si era recato per assistere alla rappresentazione di Our American Cousin, una commedia musicale dello scrittore britannico Tom Taylor. Il suo omicidio scosse un intera nazione, sette uomini e una donna furono arrestati con l’accusa di cospirazione per uccidere il Presidente, nei loro piani ci sarebbe stato anche il Vice Presidente ed il segretario di Stato. L’unica donna del gruppo, Mary Surrat, era la proprietaria di una piccola pensione dove i presunti cospiratori avevano affittato delle camere per pianificare gli attacchi simultanei. In una Washington dilaniata tra le antipatie e i rancori dei sudisti che, ormai persa la guerra civile, dovettero dire addio ai privilegi legati alla schiavitù, un giovane e inesperto avvocato, eroe di guerra ma neofita in tribunale, si trova costretto a difendere la Surratt, civile sottoposta al ferreo tribunale militare. Presto l’uomo capisce che Mary è innocente e la sua condanna servirebbe solo come capro espiatorio per arrivare a l’unico cospiratore ancora a piede libero. Un secolo e mezzo dopo i fatti che sono stati tradotti in un film in cui la vicenda di Mary Surratt rappresenta ancora un exemplum di come uno stato ferito nell’anima e nell’orgoglio affili ogni arma disponibile pur di dimostrare la propria forza, sprezzante della possibilità di incolpare una persona palesemente innocente. Il sopruso di un tribunale militare, con le sue regole e la sua disciplina, che mette sotto torchio una donna senza la possibilità di dimostrare la propria innocenza è un parallelo che oggi può essere letto nei confronti di altri presunti cospiratori. Il giovane avvocato, consapevole di essere un piccolo Davide che lotta contro un Golia inespugnabile, rappresenta però la possibilità di una ribellione personale (che si deve necessariamente trasformare in collettiva) nei confronti di un forma di stato che non permette alternative alle scelte dei politici potenti. Un film sull’assassinio Lincoln senza il presidente Lincoln, tutto centrato sui dialoghi e sul genere courtroom drama, per prolungare l’indagine che l’Autore,  Robert Redford, aveva iniziato in Leoni per agnelli: quello  incentrato su  come l’America sta reagendo alla guerra in Afganistan e su come gli eventi e gli atteggiamenti della politica stanno cambiando la mentalità della gente, con i temi presi di petto; questo  (“The Conspirator””, nelle nostre sale in questi giorni), metaforico e allusivo,  centrato sulla furia delle alte sfere di trovare un colpevole per l’omicidio Lincoln (anche a scapito della realtà dei fatti, per calmare l’opinione pubblica e saziare la sete di sangue del popolo americano), lasciando chiaramente  intravedere l’attualità. E’ dunque un film di dialoghi e di attori “The Conspirator”, in cui Redford cerca di ridurre al minimo la sua presenza a favore dello script di James D. Solomon e a favore della recitazione. E se i comprimari stentano un po’ a decollare, sia per la performance fuori parte di Justin Long, sia per le infelici caratterizzazioni, la lenta battaglia del protagonista Frederick Aiken (l’avvocato che deve difendere la madre di uno degli attentatori che tutti vogliono impiccare senza interessarsi di scoprire se sia colpevole davvero), interpretato da James McAvoy, è organizzata secondo una rigorosa geografia dei volti, che lungo tutto il film mutano le loro espressioni dalle declinazioni della rabbia fino a quelle della pietà. Una buona parte si svolge nell’aula di tribunale e  il caro Sundance Kid, forte della lezione di Lumet e Neil Jordan , tenerci sulle spine sulle spine nell’alternanza difesa, accusa e testimoni. La cospirazione e l’assassinio di Lincoln sono raccontati nel breve incipit del film e immediatamente appare chiaro che, nonostante l’atmosfera da film in costume, siamo in presenza di un classico legal thriller di ambientazione tribunalizia. Un film teso e riuscito,  anche grazie alle ottime prove dei suoi attori, superlativa Robin Wright Penn nei panni di una madre pronta ad affrontare il patibolo per altro tradimento piuttosto che accusare pubblicamente il figlio, e un Kevin Kline irremovibilmente rigido nei panni del ministro della guerra che necessita di trovare al più presto un colpevole. Intensissimo, poi, James McAvoy,  giovane avvocato in bilico tra l’opportunità di lasciare la sua cliente in mano alla giuria militare e ai rischi (anche personali) che comporta una strenua difesa della sua innocenza.

Carlo Di Stanislao

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