Si è conclusa l’11 agosto l’edizione 2011 del festival di Gioia dei Marsi “Il teatro di Gioia”, dedicato agli studenti morti sotto le macerie del terremoto dell’Aquila, e in particolare a Giulia Carnevale, morta a soli 19 anni, proprio davanti alla casa degli studenti. Una dedica particolare per rinvigorire la memoria di quanto accaduto,” anche perché – ha detto Dacia Maraini- a settembre si apre il processo per i responsabili”. Questa XI edizione ha visto la presenza, il 6 agosto, di Emma Dante, grande firma del teatro sperimentale e poi, il 7, la partecipazione di Simona Marchesini, con un suo testo inedito, dedicato ad Enrichetta Pisacane, che fuggì di casa per seguire il suo Carlo, con la regia di Giogio Treves e la musica elettronica di Yoi Maraini, figlia della secondogenita di Fosco, Yuki, anche lei musicista, nata dopo Dacia e prima di Toni. L’8 agosto “Danzò, danzò”, uno spettacolo che racconta la storia di una ragazzina la quale, indossate delle magiche scarpette rosse, non riesce più a smettere di ballare ed il 9 Arnaldo Ninchi ed Enrico Baroni in “L’uomo dal fiore in bocca” di Pirandello e a seguire un testo di Cechov. Il 10 un lavoro della stessa Maraini: ““La notte dei giocattoli” e infine, a conclusione della rassegna, l’omaggio a Giulia Carnevale, una lettura delle lettere e dei diari che la ragazza ha lasciato e che la scrittrice e curatrice della rassegna ha raccolto, presentati con l’aiuto di grandi attrici, fra cui Piera degli Esposti. La Maraini, che vive in Abruzzo da 15 anni, è legatissima a questo territorio e alla sua gente e vi ha trovato gli elementi necessari per il suo mestiere di scrittrice. Un mestiere difficile se si fa con impegno, difficile soprattutto oggi che vanno di moda quasi esclusivamente i noir, che di per sé non sono un genere volgare o irrilevante, ma che restano, nella più parte dei casi , una letteratura di consumo, il cui successo si deve soprattutto ad una “infaltilizzazione” del lettore. Leggere un noir, infatti, dice la Maraini” è come entrare in uno di quei tunnel della morte che propongono i baracconi dei parchi giochi. Chi sale sul trenino che si avventura in mezzo ai fantasmi e agli scheletri appesi vuole provare un brivido, ma solo un brivido divertito, da cui si allontana indenne e rassicurato”. Ben diverso l’impegno passato e presente della Maraini, contenuto ne “Il grande malato d’Italia” e non solo, che denuncia le ingiustizie sociali e la cementificazione selvaggia, che denuncia la “retorica dello sviluppo” promossa da quei cementificatori i quali – dice la scrittrice – “nella convinzione che ogni filo d’erba costituisca un impedimento al guadagno, non riescono mai a rivolgere uno sguardo verso il futuro”. “Le gettate di cemento non risolvono la questione, anzi l’aggravano”, in quanto all’origine di squilibri e disastri ambientali. Il prezzo da pagare? Elevato, poiché i costi (“un mucchio di denaro”) vanno a gravare su tutta la comunità. Non solo: “L’equilibrio storico tra popolazione e territorio è già compromesso o sul punto di collassare” scrive, citando a sua volta Franco La Cecla. Non è così anche da noi? Il rimedio, per Dacia Maraini, sta in tre semplici concetti: meno pretesa di dominio degli uomini sulla natura, meno speculazione, meno voracità. MNata nel 1936, compagna di Moravia ed amica di Pasolini, Dacia Maraini è uno dei nomi della letteratura italiana più tradotti nel mondo. Romanziera, poetessa, drammaturga, critica, assidua collaboratrice di riviste e giornali, tra cui il “Corriere della Sera” sul quale scrive una rubrica con cadenza quindicinale, è nota al grande pubblico anche per il suo notevole impegno civile e sociale. Negli anni ’70, facendosi incalzante l’impegno femminista, è co-fondatrice del teatro gestito da sole donne La Maddalena (1973), che verrà dopo la Compagnia del Porcospino (1967) e della Compagnia Blu a Centocelle (1970). La notorietà internazionale arriva con Maria Stuarda (1980), dramma tradotto e messo in scena in 22 paesi, mentre il primo grande successo di pubblico e di critica l’abbraccia con il romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990, vincitore del premio Campiello. Buio, del 1999, vincerà invece lo Strega).
Con Bagheria (1993), romanzo attraverso cui la scrittrice insegue il fantasma di un padre tanto amato ripercorrendo le tappe della sua infanzia in Sicilia, si apre il genere autobiografico, finora inesplorato e riproposto poi con La nave per Kobe (2001) e Il gioco dell’universo. Dialoghi immaginari fra un padre e una figlia (2007). Il recupero di memorie sommerse si fa negli anni sempre più urgente. Contro la cultura del consumismo, Dacia Maraini dirà di sentirsi in dovere di coltivare la memoria come una “giardiniera paziente”. In questa direzione vanno i racconti di La ragazza di via Maqueda (2009) e gli articoli de La seduzione dell’altrove (2010), opere che ai ricordi personali uniscono acute analisi sulla società. Speriamo di convincerla, nei prossimi mesi, ad allestire con noi (della’Istituto Lanterna Magica), in un evento che parli di cinema, espressione che non le è ignota, dal momento che solte sue opere sono state trasposte sullo schermo e lei stessa, del resto, collabora a sceneggiature televisive e cinematografiche (tra le altre, risalta la sceneggiatura de Il fiore delle mille e una notte, 1973-1974, scritta insieme a Pasolini). Avremmo pensato a qualcosa che coniughi letteratura e cinema, linguaggi filmici e narativa. Un tema che certamente la Maraini, lettrice insaziabile che oggi ha una biblioteca di quasi diecimila libri ed autrice di sceneggiature, potrebbe sviluppare in modo unico ed interesante, magari contaminandolo con i giochi “meta semantici” del magico padre, in cui il suono evoca il significato, come nel cinema la luce, disegna estetica e valore.
Carlo Di Stanislao
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