L’attrice Chiara Martegiani, il regista Fabio Scacchioli e il musicista Vincenzo Core, teramani in modo diverso, saranno al Festival del Cinema di Venezia, in programma dal 30 agosto all’11 settembre prossimi. La meno teramana, si fa per dire, è Chiara Martegiani, riminese di nascita, ma legata al capoluogo aprutino per linea paterna, con la nonna Lucia che ancora lì vive e che lei torna a trovare ogni volta che è libera dal lavoro e da impegni professionali. Nata nel 1987, bellissima e sensibile, la Marteggiani, che si è fatta ammirare nel 2009 in “Meno male che ci sei” di i Luis Prieto, con Claudia Gerini, è un’attrice impulsiva, determinata, semplice e solare, Appare per la prima volta in televisione nel 2006, quando è scelta come allieva alla sesta edizione del programma “Amici di Maria De Filippi”, ottenendo il banco di attrice. Dopo qualche esperienza come fotomodella, debutta come attrice cinematografica nel piccolo ruolo di Giovanna in Un gioco da ragazze (2008) di Matteo Rovere con Filippo Nigro e Valentina Carnelutti ed ora è interprete del film “Maternity Blue” di Fabrizio Cattani, in concorso nella sezione Controcampo, dedicata alle nuove tendenze del cinema italiano. Scrivono i critici che potrebbe benissimo essere un’erotica Laura Antonelli in una fiction sulla grande attrice volontariamente allontanatasi dalle scene, oppure la musa di qualche importante uomo cui si dedica mensilmente un film tv o, perché no, una psicotica nuova assassina per chiunque volesse raccogliere l’eredità dei nostri maestri del giallo, tanto è versatile e capace di “forare lo schermo”. Teramano doc è Fabio Scacchioli, che col giuliese Vincenzo Core, firmano regia e musiche del cortometraggio “Miss Candace Hilligoss’ Flickering Halo”, selezionato, sempre per Venezia 2011, per la sezione Orizzonti. Classe 1979, Fabio Sacchioli studia Scienze della Comunicazione e Linguaggio Audiovisivo presso l’Università degli Studi di Perugia e, nel 2003, si trasferisce a Madrid dove studia Regia e Produzione Audiovisiva presso l’Università Complutense. Si laurea con una tesi sul linguaggio del cinema sperimentale.
Dal 2006 vive e lavora a Roma, dove collabora come cameraman con il regista Gianfranco Baruchello per la realizzazione del suo film “Un altro giorno, un altro giorno, un altro giorno”. Il giuliese Vincenzo Core, nato nel 1982, diplomato in musica elettronica, nel cortometraggio in concorso a Venezia, firma la regia e le musiche. “Miss Candace Hilligoss’ flickering halo” è un film su questa distanza, sull’intervallo che contemporaneamente separa e unisce, sul silenzio tra le parole, e il nero tra le immagini. E’ un film contro la dialettica degli opposti, montato secondo il principio d’indeterminazione di Heisenberg, e che ricorre al fenomeno della persistenza retinica come strumento espressivo. L’inizio, folgorante, è un altro film, un noir americano dei primi anni ’60, sviscerato e sventrato, le cui immagini torturate e “detournate” si organizzano in strutture precarie, fragili, mutevoli, in intrecci multipli di trame in collasso costante.
Provocare la deflagrazione di un sistema chiuso attraverso un dispositivo di implosioni a catena.
Dimenticare quel che si vede mentre ancora lo si osserva, e immergersi nella vibrazione ottica primitiva. Un urlo senza un perchè. L’occhio umano può vedere grazie a fotorecettori, presenti sullo strato esterno della retina, sensibili alla luce emessa o riflessa dagli oggetti. La luce viaggia nel tempo e nello spazio a una certa velocità. Ad esempio, la luce solare impiega 8 minuti per arrivare ai nostri occhi, quella delle altre stelle diversi anni luce. Ma anche la luce generata o riflessa da un oggetto o una persona sulla Terra impiega un dato tempo, seppur ridotto e infinitesimale. Osserviamo sempre il passato, mai il presente. Esiste una distanza (brevissima, eterna) tra noi e l’immagine che abbiamo della realtà. Anche tra pensiero e azione, tra pensiero e linguaggio, troviamo una distanza simile, che è quella necessaria a trasmettere il segnale tramite impulsi elettrici dal cervello alle diverse parti del corpo. C’è molto Antonioni, David Lynch e molto Jodoroky nel lavoro di questi giovani autori e molto talento profuso a piene mani e che, speriamo, abbia il giusto riconoscimento sul red-carpet veneziano. E c’è da sperare se si tiene conto del taglio dato a questa edizione, con innumerevoli rock star rischiano di fare le scarpe ai film della sezione competitiva che pur vantano grandi nomi. Un festival a tutto tondo, dunque, che prende respiro dal passato dove quello che è stato potrà tornare con una rinnovata freschezza stilistica, con nuove trame sperimentali che trovano giusta collocazione in un cinema in divenire, che vive una nuova fase evolutiva e sembra recuperare la grandezza di un tempo. Resta però l’amaro in bocca per un Palazzo del Cinema, rimasto incompleto, causa gli eccessivi costi, con il conforto, tuttavia di trovare una Sala Grande tornata ai fasti degli anni Trenta e con una ritrovata visibilità, che sembra consentire una sorta di altalena continua tra il potere d’attrazione estetico immediato, ravvisabile nelle opere ed il valore di mercato che interessa non solo ai portatori ed i distributori ma anche al pubblico, componente chimica necessaria che consente ai film di arrivare lontano. La sezione “Orizzonti”, (con elenco completo dei film su: http://www.osservatoriesterni.it/extra/venezia-2011-sezione-orizzonti. ) i interroga la realtà, le forme e le rappresentazioni e cerca di sbilanciare lo statuto delle immagini, aprendo squarci nella percezione e nei significati che lasciano intravedere nuove direzioni, pensando al cinema, come hanno fatto Sacchioli e Core, come visione di universi interiori e territori nascosti e misteriosi. Controcampo italiano, invece, dove è inserito il film con la Marteggiani (vedi film in conconrso su:, http://www.osservatoriesterni.it/extra/venezia-2011-sezione-controcampo-italiano), prevede diverse opere prime e tanti attori noti, coinvolti nei progetti in concorso, da Fabrizio Bentivoglio e Barbora Bobulova in Scialla, a Diego Abatantuono, Valerio Mastandrea e Valentina Lodovini in Cose dell’altro mondo, da Vinicio Marchionni e Asia Argento in Cavalli ad Andrea Osvart e Monica Birladeanu in Maternity Blues. Una lotta dura ma in cui, ne siamo certi, il film “Maternity Blue” certamente farà la sua figura. Fabrizio Cattani, già assistente alla regia di Ferzan Ozpetek per “Cuore Sacro”, ha tratto questo film, dal testo teatrale “From Medea” di Grazia Versani. Speriamo che il regista abbia avuto lo stesso tocco del film “Il rabdomante” (2007), dove la sacralità della tradizione e la magnificenza della terra lucana vengono messe in risalto dal suo sguardo attento, amalgamato alla perfezione con le musiche di Louis Siciliano (La febbre, Io, l’altro), mostrando e descrivendo senza sbavature un mondo apparentemente lontano dal nostro, dove l’acqua diviene quasi un elemento magico da trovare – e proteggere – attraverso riti ancestrali. “Maternity Blues”, che doveva essere dapprima interpretato e prodotto dalla Cucinotta con la Ragonesi, è interpretato invece da Andrea Osvart, Monica Birladeanu, la nostra Chiara Martegiani, Marina Pennafina e Daniele Pecci; prodotto da ipotesICinema – Faso Film, realizzato da The Coproducers, e sarà distribuito da Fandango nella primavera del 2012 (ma speriamo, con il Nostro Istituto Lanterna Magica, di un colpo anticipativo qui a L’Aquila). Racconta di quattro donne diverse tra loro, ma legate da una colpa comune: l’infanticidio. All’interno di un ospedale psichiatrico giudiziario, trascorrono il loro tempo espiando una condanna che è soprattutto interiore: il senso di colpa per un gesto che ha vanificato le loro esistenze. Dalla convivenza forzata, che a sua volta genera la sofferenza di leggere la propria colpa in quella dell’altra, germogliano amicizie, spezzate confessioni, un conforto mai pienamente consolatorio ma che fa apparire queste donne come colpevoli innocenti. Clara, combattuta nell’accettare il perdono del marito, che si è ricostruito una vita in Toscana, sconta gli effetti di un’esistenza basata su un’apparente normalità. Eloisa, passionale e diretta, persiste ogni volta nel polemizzare con le altre, un cinismo solo di facciata. Rina, ragazza-madre, ha affogato la figlia nella vasca da bagno in una sorta di eutanasia. Vincenza, nonostante la fede religiosa sarà l’unica a compiere un atto definitivo contro se stessa. Ha ancora due figli, fuori, e per loro riempie pagine di lettere che non spedirà mai. La storia è bella, la sceneggiatura impeccabile: ora speriamo arrivino (a partire da Chiara Martegiani) riconoscimenti e premi.
Carlo Di Stanislao
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