È morto dopo nove giorni di coma e dopo che i famigliari ne avevano consentito l’espianto, che garantirà una speranza di vita ad almeno tre altre persone. Il tenore Salvatore Licitra, erede di Pavarotti, è morto l’atro ieri, a solo 43 anni, nell’Ospedale Garibaldi di Catania. Nato a Berna, ma da genitori siciliani, era ritornato nella sua Sicilia per una breve vacanza. Nel 2002 divenne famoso quando si trovò a sostituire Luciano Pavarotti in Tosca, due ore prima dell’inizio dello spettacolo, ricevendo un’ovazione a scena aperta da parte dell’esigente pubblico newyorkese, che applaudì per quasi un minuto. Il New York Times, dopo quel suo debutto al Richard Tucker Gala, lo definì: “… un tenore italiano con un profondo baritonale basso registro, un brillante alto registro, e forti e sicure note acute […] nella tradizione dei tenori italiani” e proseguì: “Se resisterà alla voglia di essere il “quarto tenore”, potrà fare molta strada”. Personalità generosa e solare, di strada ne ha fatta molta in breve tempo; un tempo che, a soli 43 anni, è già finito. Aveva iniziato a studiare canto molto tardi, a 19 anni, presso l’Accademia musicale di Parma, dove aveva seguito i Corsi Verdiani. Il suo debutto, nel 1998, sempre a Parma, ne “Un ballo in maschera” , con un successo che gli garantì una audizione con il maestro Riccardo Muti al Teatro alla Scala. Subito dopo fu protagonista in Tosca e Madama Butterfly all’Arena di Verona, confermandosi come straordinario talento. Dopo il successo newyorkese si era esibito a Londra, Parigi, a Berlino e, ancora, alla Scala. Nella stagione 2010-2011 aveva inaugurato il cartellone del Washington National Opera con Un Ballo in maschera. Il 27 agosto 2011, durante una breve vacanza in Sicilia, nel corso della quale avrebbe dovuto ricevere anche il Premio Ragusani nel Mondo, mentre si trovava, senza casco, a bordo della propria Vespa a Donnalucata di Scicli, è stato colpito da un’ischemia cerebrale, perdendo i sensi e di conseguenza il controllo del mezzo. La camera ardente è stata allestita al Bellini di Catania ed una folla commossa è andato a salutarlo, per un’ultima volta. I familiari di ne hanno disposto la donazione degli organi, poiché, ha detto la madre, è sempre stato un generoso, capace di credere nell’altruismo fino in fondo. La sua voce rimarrà comunque eterna, sostenuta da un cuore pieno di amore, amore per la vita e per gli altri. Quella voce che fu definita “d’ebano”, perfetta nel registro cantabile, con un baritonale basso registro, un brillante alto, con pieghe a volte di eccessivo melodramma ma sempre, costantemente, capace di impennate improvvise come in quel suo Do sopracuto nella cabaletta del terzo atto Di quella pira, che Muti gli vietò, nel 2001, alla Scala. Una voce ed un cuore che avrebbero innamorato sia Verdi che Puccini.
Carlo Di Stanislao
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