BERLINO – “Ho deciso di raccontare questa storia quando un giorno un amico musulmano non ha voluto stringermi la mano perché sono donna”. Quattro anni dopo l’Orso d’Oro per Grbavica-Il segreto Esma, con cui raccontava le ferite del suo paese attraverso la storia di una madre e una figlia, Jasmila Zbanic torna in concorso alla Berlinale con l’opera seconda Na Putu – On the Path.Ancora un’esplorazione della società bosniaca segnata dalla guerra e dal genocidio, ma stavolta attraverso la lente della religione, “a cui ultimamente si rivolge un numero sempre maggiore di miei connazionali”, dice la regista. A Berlino, dunque, l’Islam è di nuovo al centro della scena dopo Shahada.
Il percorso a cui fa riferimento il titolo è quello dell’affiatata coppia formata da Luna (Zrinka Cvitesic) e Amar (Leon Lucev), lei assistente di volo, lui addetto alla torre di controllo finché non viene sorpreso ubriaco e quindi licenziato. Ancora lontano dal riprendersi dai traumi del passato, Amar deve affrontare insieme la disoccupazione e le difficoltà di avere un figlio con Luna. Troverà un appiglio nella religione islamica, a cui si avvicinerà grazie al ritrovato amico integralista Bahrija (Ermin Bravo), scivolando progressivamente in una rigidità che allontana fatalmente la sua compagna.
“Fare sesso prima del matrimonio è peccato; bere alcol è peccato; parlare ad alta voce, per una donna, è peccato!”, esclama esasperata Luna. Che nel frattempo ha assistito sconcertata al matrimonio (islamico) di Bahrija con una ragazza giovanissima di fronte agli occhi della “prima” moglie (rigorosamente coperta dal velo islamico) nella scena più toccante del film.
E così l’ortodossia islamica di Amar cozza con l’indipendenza di Luna e la trasformazione dell’individuo diventa quella di un paese che finisce per cercare conforto e certezze nell’interpretazione più estremista della religione. “Noi bosniaci riflettiamo sulla nostra identità. Ci consideriamo europei ma di fatto l’Europa ci rifiuta, e questo non ci aiuta certo ad essere liberali”, commenta ancora la regista, i cui punti di riferimento cinematografici dichiarati sono Lean, Kiarostami e Bergman. “Volevo porre delle domande piuttosto che offrire risposte e dare giudizi – spiega la Zbanic – Mi ossessionava l’idea di raccontare la transizione del mio paese, i cambiamenti dei bosniaci rispetto alla religione e alla maternità. E’ importante per la nostra società mettersi di fronte allo specchio; il rapporto dei cittadini con la religione islamica è trattato di solito in modo molto netto dai media, il che produce delle reazioni dirette”.
di Michela Greco
Lascia un commento