Così, ieri, il governo ha incassato la 53° fiducia in tre anni e Berlusconi può ancora tirare a campare. Lui, il Cavaliere, ancora una volta redivivo dopo essere stato dato per spacciato, va avanti come un panzer. E senza alcuna preoccupazione neanche per la forma (o lo stile), da Palazzo Chigi escono già nel pomeriggio quattro nomine; certamente non indispensabili eppure, a quanto pare, non procrastinabili. Due promossi viceministri da sottosegretari. La bionda Catia Polidori, imprenditrice umbra omonima di Mister Cepu, ex finiana che voltò le spalle alla seconda carica dello stato il fatidico 14 dicembre dell’anno scorso. E il calabrese Aurelio Misiti, uscito dal lombardiano Mpa quando votò contro l’autorizzazione ai pm milanesi di perquisire l’ufficio di Spinelli, il cassiere dell’Olgettina, eppure molto critico negli ultimi giorni sulla premiership del Cavaliere. Lei va allo Sviluppo Economico, lui alle nodali Infrastrutture. Premiato anche Pino Galati, tormentato Cristiano-Popolare che assieme al sodale Baccini aveva suggerito il binario morto per la legge sulle intercettazioni. Diventa sottosegretario all’Istruzione traslocando all’Interno Guido Viceconte. Ma nel mirino del partito ci sono Misiti e, soprattutto, la Polidori. “Per colpa della sua assenza siamo andati sotto al voto sul Rendiconto che ci è costato la fiducia – sibila un sottosegretario azzurro di provata fede – Premiarla così è uno schiaffo alle istituzioni “. Pare che la questione abbia compattato tutte le anime Pdl: dai frondisti di Crosetto agli scajoliani, dal deluso Pionati a Mario Pepe. Furiose le donne: Ravetto, Bernini, Saltamartini. Ma, poi, come è sempre accaduto, all’attacco del capo non va proprio nessuno. Naturalmente “ruma” l’opposizione e mastica amaro il Pd, con la Bindi che vuole cacciare con ignominia i 5 deputati Radicali, rei di non aver disertato la Camera martedì. Ma il vero problema resta la credibilità di un partito (il Pd appunto) e di una opposizione divisa e davvero poco credibile come alternativa. I commenti più duri alle neo-nomine di Berlusconi arrivano da Pierluigi Bersani e Antonio Di Pietro: se per il primo la maggioranza si comporta “come se avesse aperto un banco del mercato a Porta Portese”, per il leader dell’Idv si è passati “dalle bustarelle pagate dai corruttori alle nomine ministeriali”. Berlusconi, comunque, rischia di tradire tutti i punti del suo “contratto con gli italiani”, anche nei punti riguardanti il numero di ministri e vice ministri e per quanto attiene all’ICI. Inoltre, dopo ieri, restano forti dubbi, ugualmente, sulla capacità della compagine berlusconiana di arrivare a fine mandato. Lo stesso Umberto Bossi, leader della Lega Nord che sostiene il governo, pone sempre più dubbi sulla possibilità che la legislatura compia il suo giro d’orologio naturale. Ora, per Berlusconi, si tratta di mettere in pratica le ultime promesse sulla politica di sviluppo, anche se i segnali in questa direzione non sono fra i migliori. Di fronte ai problemi urgenti che la crisi economica ha posto all’Italia, infatti, il calendario dell’attività parlamentare si concentrerà in primo luogo sulla giustizia e sulle vicende personali del presidente del consiglio. Con molti onorevoli e senatori all’interno della maggioranza stessa che appaiono stanchi di dover sostenere il premier sempre e a ogni costo. Ma, intanto, la verifica sulla tenuta del governo ha detto che la maggioranza c’è ancora. Resta da capire se alle ragioni dell’aritmetica corrispondano le volontà dei partiti e, soprattutto, dei parlamentari. Certamente non quella egli italiani che, secondo gli ultimi sondaggi pubblicati da “Lettera 43”, sono col governo solo per il 40%.
Carlo Di Stanislao
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