Siamo nel fango di una crisi economica e di sistema che rischia di travolgerci, mentre il nostro primo ministro prende tempo e porta solo un “pagherò” agli alleati europei. E nel fango, letterale, dei soliti, disastrosi smottamenti ad ogni nuovo acquazzone autunnale che, stavolta, in Liguria e Toscana, hanno causato sei morti e una decina di dispersi, fra frane e allagamenti, che hanno piagato in modo disastroso le Cinque Terre e la Lunigiana. A livello di traffico stradale sono stati bloccati i tratti autostradali della A12 e A15, mentre lo stop ferroviario ha interessato la linea tra Parma e La Spezia. Centinaia di persone sono state evacuate dalle loro abitazioni e questo anche via mare, con l’ausilio della Guardia Costiera. E, ancora oggi, da Genova a La Spezia non si passa, con una montagna di fango che ancora appare invalicabile. Tutti i collegamenti sono di fatto interrotti: gli unici accessi possibili alle Cinque Terre sono garantiti dagli elicotteri che portano anche cibo e medicinali, o via mare dai battelli usati persino come ambulanze. E poi c’è l’altro fango, quello di un governo che non si decide a decidere, che tira a campare, mentre la crisi avanza ed erode, ogni giorno, risorse e speranza di ripresa. Ed invece di preoccuparsi di questo, il Cavaliere ed i suoi si affrettano a precisare che, tre giorni dopo la famigerata conferenza stampa in cui il presidente francese e la cancelliera tedesca non hanno nascosto il loro scherno nei confronti dell’Italia e del suo presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha rivisto i due interlocutori e, pur non avendo potuto falo con Sarkozy, ha potuto parlare con Angela Merkel che, secondo lui, “ ha voluto insistere sul fatto che non aveva nessuna intenzione negativa nei nostri confronti”. Ed ha anche detto, subito dopo l’incontro, in conferenza stampa, di aver presentato “un documento articolato che contiene gli impegni che intendiamo rispettare. Se non li rispettassimo non saremmo ulteriormente credibili, sono impegni che l’Italia, come sempre, manterrà anche questa volta”. Tra l’altro, ha continuato, “abbiamo preso l’impegno di tenere al corrente la Commissione via via che il nostro Parlamento approverà le varie misure”. E, ancora, a dispetto delle apparenze e di certe voci che circolano a Bruxelles, il premier ha negato che l’Italia sia stata messa sotto monitoraggio e preferito dire che il governo ha “preso l’impegno di tenere al corrente la commissione via via che il nostro Parlamento approverà le misure”. Si tratterà, specifica, di “vari disegni di legge, ciascuno per ogni singolo settore” che saranno varati “nell’arco di alcuni mesi”. Ed il fango sui nostri cuori e le nostre speranze, cresce a dismisura, mentre frana il nostro orgoglio, come in queste ore l’Italia del Nord, con fragilità idrogeologica non inferiore al Sud, dove, nelle ultime settimane, sono franati i muri vecchi e nuovi di Pompei. Quello di Pompei è un caso emblematico di questa Italia che non sa neanche spendere i soldi che ha, che non sa far fruttare le sue risorse (808 milioni spesi inutilmente in quegli ultimi anni) e che non sa far altro che perdere patrimonio e non costruire posti di lavoro. Nel suo libro “Mani bucate”, Marco Cobianchi ricorda che la storia della responsabilità di Pompei è molto semplice, e chiama in causa un fondo europeo, denominato “Fondo per gli attrattori culturali”: una locuzione piuttosto criptica, che indica i siti archeologici come Pompei ma anche palazzi antichi e via di seguito. Ora, questo fondo europeo, a cui anche l’Italia potrebbe accedere, è dotato di 808 milioni di Euro, ma fino all’aprile del 2010 il nostro Paese non aveva chiesto nemmeno un centesimo, nessuno aveva proposto un progetto e nessuno aveva chiesto quei soldi. La cosa ancora più incredibile, è che proprio la Campania era la Regione in capo alla quale ricadeva la responsabilità di coordinare i progetti italiani che potevano accedere a questo fondo!. La Campania, fino all’aprile del 2010, aveva chiesto zero Euro per sistemare Pompei. Quando questa vicenda è emersa, lo Stato ha deciso di sottrarre alla Regione Campania la responsabilità di chiedere i fondi all’Europa, affidandola invece al Ministro per gli Affari Regionali Fitto. In pochi mesi l’Italia ha cominciato a chiedere questi soldi e tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, la percentuale di spesa su quel fondo è salita all’8,73 %, che è comunque la spesa più bassa rispetto a tutti i fondi europei che noi abbiamo a disposizione.
Ora per risolvere il problema di Pompei non occorre fare altro che scrivere dei progetti, stendere dei piani di interventi, chiedere i soldi e l’Europa aspetta soltanto che noi lo facciamo per poterci dare le risorse di cui abbiamo bisogno e che noi non abbiamo. Ecco la vera condizione de l’Italia: povera, spendacciona ed incapace di chiedere ciò che gli sarebbe dovuto. Con responsabilità politiche ed amministrative, ma anche di burocrati e funzionari che ignorano i bandi, li fanno scadere, vi partecipano in modo superficiale o sbagliato. Il caso Pompei è il caso Italia, perché è l’ennesimo esempio, l’ennesima prova, direi deprimente, di come non riusciamo nemmeno a spendere i soldi che abbiamo, facendo utili investimenti. “Per quanto ci riguarda abbiamo presentato un pacchetto di proposte per la ristrutturazione di certi nostri settori e per dare impulso alla nostra economia e sono state accolte positivamente”, ha detto ieri il premier assicurando di aver fornito agli interlocutori europei “anche le date entro le quali realizzare le singole misure e lo confermeremo successivamente con un elenco completo delle date entro cui prevediamo che il nostro Parlamento possa approvare queste riforme”. Si tratterebbe, a suo dire, di “vari disegni di legge, uno per ogni singolo settore”. Questo dice Berlusconi ma non sappiamo, anche in questo caso, se ciò basterà a rassicurare Europa e mercati. Perché sui mercati le buone intenzioni, gli intenti, i progetti, le tabelle di marcia, le promesse hanno un peso molto relativo e cioè pesano poco o nulla nelle valutazioni che di questi tempi portano gli investitori a sottoscrivere un titolo di Stato in asta, oppure a detenere i bond governativi periferici in portafoglio. Come scrive Il Sole 24 Ore, che di queste cose soprattutto s’intende, già domani, quanto il Tesoro emetterà i BTp a tre anni tra 2,25 e 3,25 miliardi e i BTp a dieci anni tra 2 e 3 miliardi, il mercato rifarà i suoi calcoli, l’analisi nuda e cruda dell’appetibilità del rischio-Italia dopo gli eventi di ieri. Gli investitori si domanderanno quale è il premio a rischio dell’Italia all’indomani del doppio vertice dei capi di Stato e di Governo dei 27 e dei 17 e degli impegni assunti per lettera, non per decreto legge, dal governo. Così, da oggi, scritta la missiva e sottoscritto il comunicato del Consiglio europeo, il governo italiano dovrà mettersi al lavoro con la stessa tempestività dei mercati, che hanno un altro calendario che ne scandisce i tempi: quello delle aste dei titoli di Stato. Il ritornello è sempre lo stesso: la politica ha i tempi lunghi della democrazia, i mercati hanno la visione dello short termism, incalzati dalla speculazione e dal profitto mordi e fuggi. Non sono solo le agenzie di rating a credere sempre meno e gettare fango (altro ancora) sul sistema-Italia: ’affidabilità del debito pubblico, rispetto al quale si vanno concertando i complicati interventi internazionali per evitarne la caduta in termini di solvibilità, sono dati oggettivi di fatto. L’Italia, si sa, nel contesto internazionale non ha voce in capitolo come la Germania e la Francia, che di fatto sono i capofila di quasi tutte le iniziative che investono l’economia mondiale, insieme agli Stati Uniti. E se anche dalla Germania escono notizie allarmanti a carico dei maggiori responsabili dell’economia globalizzata, allora vuol dire che stiamo imboccando una strada davvero molto pericolosa. Hanno fatto discutere, ad esempio, le recenti dichiarazioni della cancelliera tedesca, la quale si è pronunciata per la linea dura per quegli Stati, tra cui l’Italia, riottosi rispetto alla linea del rigore, dei sacrifici, che significa, in parole povere, negare i sostegni alle economie dissestate o in difficoltà. E’ comprensibile la posizione della cancelliera, come anche di Sarkozy, che si trovano in campagna elettorale e, quindi, devono dimostrare ai loro che non si può ancora fare a lungo la politica della carità a danno dei tedeschi e dei francesi, che sono i maggiori elargitori di aiuti. Però, sarebbe ugualmente il caso di adoperare misura, perché ci troviamo in un campo minato, dove anche uno sbadiglio di alto loco sposta i paletti delle posizioni in campo, aumentando il muro di fango, fatto di fiducia e discredito, che si sviluppa ormai dovunque circa il nostro Paese. Tutti sappiamo quali sono le misure immediate da prendere su pensioni, tasse, patrimoniale e c’è poco da strumentalizzare da parte della opposizione o rinviare, dal lato del governo. Per lavarsi di dosso il fango della inaffidabilità, occorrono, al nostro Paese, coraggio ed unità, elementi di cui in giro non vi sono grandi esempi. Non solo i politici difendono gli ormai indifendibili propri privilegi, ma lo fanno anche le singole categorie quanto si sospetta per loro anche il più piccolo dei sacrifici. Così, anche nella società civile, i sacrifici vanno sì fatti, ma sempre dagli altri, secondo una prospettiva atomizzata di interessi personali che ha reso, nel suo secolo e mezzo di storia, l’Italia una mezza definizione geografica, in cui non sono mai mamncate le divisioni e pochi sono stati i motivi di coesione. Immondizia, macerie al loro posto dopo quasi tre anni, criminalità (micro o macro), parassitismo, assistenzialismo, ignoranza, arretratezza, evasione fiscale, inciviltà e maleducazione, sono gli stereotipi che subito rintracciamo nella nostra mente e che vengono, in modo arbitrario, associati da un gruppo sociale a un altro, senza pensare che sono i luoghi comuni con cui ci guardano gli stranieri, tanto pensando al Nord che al Sud dello Stivale. E poco importa agli stranieri, tedeschi, francesi, scandinavi o inglesi che siano, sapere che la colpa di ciò che accade alle nostre latitudini non dipende dalle popolazioni locali, bensì dalle classi dominanti, che periodicamente si avvicendano ai posti di comando e che mantengono saldamente la barra del timone, rispettando una incredibile e ferrea continuità, senza mai confrontarsi con i cittadini che sono il vero datore di lavoro dei pubblici amministratori e anche dei burocrati e dei colletti bianchi, in quanto questi dipendono in tutto e per tutto da coloro che hanno vinto le elezioni. Se, in effetti, le cosiddette “personalità politiche” che abbiamo avuto la disgrazia di ritrovarci davanti per innumerevoli anni, non hanno fatto altro che contribuire al consolidamento di quei numerosi luoghi comuni nel resto del mondo, senza esclusione di meridiani e paralleli, hanno fatto in modo che si recepissero come vere un insieme di credenze, di rappresentazioni ipersemplificate della realtà e opinioni rigidamente connesse tra di loro su nostro Paese; è altrettanto vero che il “Paese sommerso e migliore”, non ha fatto quasi mai nulla per emergere e cambiare. La vera è più grave macchia di fango è tutta, o quasi, in questa ignavia desertizzante italiana, che sfocia sia nella antipolitica che nella violenza irrazionale dei black bloc. E’ questa ignavia che ha generato una Nazione declassata in economia, sfigurata dalle mafie, deturpata dalla corruzione, con ministri sotto processo, industriali in rivolta, giovani disoccupati al Sud al 50%, sindacati in agitazione, chiesa allarmata e parlamento che dibatte per due giorni su un emendamento alla legge della caccia voluto dalla Lega e per interi mesi sulle leggi salva-premier. E questa Italia fangosa che si tuffa poi a corpo morto sulle intercettazioni, che non servono alla crisi economica, non servono a combattere il crimine, a lenire la disoccupazione, a debellare la corruzione, ma soltanto a imbavagliare la stampa, a coprire le malefatte della Casta; la prima responsabile di una crisi, sì globale, ma che da noi ha toni più cupi che altrove. E’ a causa di queste contraddizioni colpevoli che oggi, da noi, governa una maggioranza guidata da un partito che si era imposto al consenso popolare predicando il verbo liberale sbandierato in tutte le salse. Nessuno rifletteva su una plateale contraddizione: il leader trionfante era ed è il fortunato capo di una impresa che vive e vegeta in regime di monopolio statalista, lontano un secolo dal sistema liberale che si misura ogni giorno col rischio e la concorrenza. Montanelli diceva che alla prova dei fatti Berlusconi cadrà da sé. Ma non aveva previsto quanto sarebbe costato, a noi e all’onore del nostro Paese.
Carlo Di Stanislao
tutto giusto quanto scritto, pero’ tutto il popolo e intendo tutto deve far capire a questi “stronzi” che e’ ora di finirla , la gente e’ al limite dobbiamo unirci tutti e mandare tutti a casa.