Fuga dei cervelli, non solo danni per i paesi poveri

Il 73% dei diplomati e laureati di Haiti tende ad emigrare.Una fuga di cervelli che impoverisce un Paese già sull’orlo del baratro. Ma non se la passano meglio Sierra Leone dove  il 48,5% di chi ha un titolo di studio prima o poi parte, Mozambico (43,7%), Ghana (42,3%) e Kenya (33,4%). Un “brain drain” (drenaggio […]

Il 73% dei diplomati e laureati di Haiti tende ad emigrare.Una fuga di cervelli che impoverisce un Paese già sull’orlo del baratro. Ma non se la passano meglio Sierra Leone dove  il 48,5% di chi ha un titolo di studio prima o poi parte, Mozambico (43,7%), Ghana (42,3%) e Kenya (33,4%). Un “brain drain” (drenaggio di cervelli) con “conseguenti effetti depressivi per le loro economie”, scrive in un capitolo del recente dossier Caritas Migrantes l’ong Intersos. “Secondo il database sviluppato da Docquier e Marfouk nel 2006, il 31,4% degli emigrati africani aveva ricevuto una educazione di livello universitario, contro una media dei loro paesi di origine del 3,6%. Lo stesso valeva per gli emigranti asiatici (47,2% contro 6%) e latino americani (28,1% contro 11,8%)”.

Le rimesse non colmano il vuoto che lasciano. “Secondo la teoria tradizionale sul brain drain, anche il ritorno in termini economici derivante dalle rimesse dei migranti non potrebbe garantire un sufficiente bilanciamento della perdita derivante dal deterioramento del capitale umano del paese –si legge nel rapporto Intersos curato da Giulio Di Blasi, Marco Rotelli e Nino Sergi-. Una considerazione rafforzata anche dalle analisi che, fino agli anni più recenti, mostravano come gli emigranti di profilo più elevato tendessero a investire meno nel paese di origine rispetto agli emigranti con qualifiche educative più basse.

Aspetti positivi della fuga di cervelli. Qualche vantaggio i Paesi di forte emigrazione l’hanno dai loro diplomati e laureati che vivono all’estero. “La teoria della brain circulation infatti non confuta le osservazioni precedenti, ma le approfondisce individuando alcune variabili che porterebbero in determinati casi a un vantaggio in termini economici e sociali per il paese d’origine degli emigranti altamente qualificati”. La prima variabile è “l’impatto sulle prospettive”: La prospettiva di poter emigrare svolge un indispensabile ruolo di stimolo per l’accesso dei giovani a livelli elevati di istruzione. Infatti in assenza di un mercato locale in grado di assorbire professionalità elevate, la reazione sarebbe quella di limitarsi ai primi gradi di educazione elementare per poi dedicarsi a lavori tradizionali, basati soprattutto sull’apprendistato.
Viceversa l’idea di poter emigrare costituisce una molla importante per spingere i giovani ad avanzare sino ai gradini più avanzati dell’educazione formale”. La seconda variabile è “Il trasferimento tecnologico e il commercio” : “La presenza all’estero di personale altamente qualificato risulta essere un positivo veicolo sia per favorire l’adozione di soluzioni tecnologiche avanzate nei paesi d’origine, come confermato anche da una recente ricerca sulla comunità filippina italiana (Dossier statistico 2010), ma soprattutto può favorire lo sviluppo di relazioni commerciali tra il paese d’origine e quello di destinazione con esempi evidenti costituiti, tra gli altri, dalla diaspora cinese soprattutto per il settore manifatturiero e da quella indiana per il settore dei servizi”.

Le ong italiane hanno finora cercato di fermare la fuga di cervelli o quantomeno di incentivare un loro ritorno. Ipsia, Acli, Caritas Italiana, Celim-Mi, Illyricum, Coopi, Cosv sono solo alcune delle ong che hanno progetti per lo studio e la formazione in loco dei giovani e la ricerca di opportunità di lavoro nel Paese d’origine per chi vuole tornare.

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