Nelle nazioni africane devastate dalla guerra, uno studio recente del ricercatore americano Mervyn Christian rivela che gli uomini sono sempre più frequentemente vittime di violenza sessuale. La ricerca osserva che la violenza sessuale sugli uomini, incluso lo stupro, viene denunciata in misura minore, affrontata in maniera sommaria e ha un grave impatto sia sugli uomini che sulle loro famiglie.
Secondo interviste effettuate con sette uomini sopravvissuti agli stupri in Bukavu, nella Provincia Sud Kivu nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (Drc), combattenti armati avevano stuprato uomini nella foresta vicina, mentre almeno due erano stati stuprati nelle loro case di fronte alle loro famiglie. Non è sfuggito agli osservatori che lo stupro contro le donne è stato usato “come arma da guerra” in numerosi paesi. La maggior parte della ricerca disponibile sulla violenza sessuale durante il conflitto proviene dalla parte orientale della Drc, secondo Claudia Garcia Moreno, coordinatrice del Dipartimento per il Genere e le Donne dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità. Tuttavia Christian ha affermato che la violenza sessuale sugli uomini è stata largamente ignorata nella Dcr orientale, sebbene le conseguenze sociali, psicologiche e fisiche siano molto simili.
Gli uomini intervistati nello studio hanno inoltre riferito di essere stati rapiti da combattenti e trattenuti per alcuni mesi o anche fino a tre anni, durante i quali sono stati ripetutamente stuprati. Dopo essere fuggiti dai gruppi armati, tutti gli uomini hanno cercato soccorso medico ed alcuno sono stati ospedalizzati anche fino a 14 mesi per curare le lesioni, ma Christian ha osservato che nessuno di essi ha ricevuto alcun tipo di cure in seguito a causa della mancanza di cliniche. Almeno otto gruppi armati operano nella Drc orientale. In Sud Sudan, voci non confermate dalla contea di Juba hanno indicato un numero più alto di quanto si creda di uomini che hanno denunciato violenza sessuale durante la guerra civile sudanese, secondo Ruth Ojiambo Ochieng, direttore esecutivo di Isis – Scambio Interculturale Internazionale delle Donne dell’Uganda (Isis-Wicce).
Secondo Ochieng, il sistema sanitario della contea di Juba è quasi inesistente e le risorse per le persone sopravvissute alla violenza sessuale sono scarse. Ha inoltre aggiunto che l’unico psichiatra di Juba stava per dare le dimissioni.
I ricercatori dicono che nella Drc, che presenta uno dei livelli più alti registrati al mondo di violenza domestica, stupri causati dal conflitto sono diventati un punto focale del programma delle Ong e delle organizzazioni internazionali che lavorano sul posto, a scapito di problemi quali le conseguenze sulla salute della violenza domestica e anche di violenze di genere più ampie provocate dal conflitto.
Jocelyn Kelly dell’Iniziativa Umanitaria dell’Università di Harvard, ha affemrato che il termine “violenza sessuale” nella Drc era diventato sinonimo di stupro di donne da parte di gruppi armati, portando i programmi ad escludere i sopravvissuti maschili e femminili di abusi e di violenza di genere (Gbv), e i supersiti maschili di violenza sessuale legata al conflitto. “Certi donatori sono interessati solo ad aiutare le donne – ha affermato Kelly -. Abbiamo fatto visita ad un programma dove un donatore aveva dato priorità nell’aiuto economico per la cura di infezioni sessualmente trasmesse (Sti) in favore di supersiti di stupri legati al conflitto. Così, il marito non ha potuto ricevere cure Sti, cosa chiaramente controproducente in quanto si permette semplicemente alle Sti di essere trasmesse dall’uno all’altra (nelle coppie)”.
Il fatto di vedere lo stupro principalmente come arma di guerra potrebbe anche avere conseguenze su come viene definita la violenza sessuale e portare ad una diminuzione delle denunce. “La violenza di genere è definita come violenza che colpisce le donne o gli uomini a causa del loro sesso o genere, ma spesso quando si parla di violenza di genere il termine viene usato per parlare della violenza contro le donne”, ha osservato lo studio. Gli uomini che hanno partecipato allo studio hanno riferito che combattenti armati li avevano costretti a fare sesso con membri della famiglia, oggetti, o anche il terreno, ma gli stessi uomini non definivano tali atti come violenza sessuale.
Quando gli uomini ritornavano presso le loro comunità dopo essere stati attaccati, si trovavano di fronte ad un’ampia gamma di sfide psicologiche, inclusa la stigmatizzazione, così come anche le loro famiglie. Lo studio cita uno dei partecipanti, il quale ha affermato che “quando un uomo viene stuprato, viene stuprata anche la sua famiglia.”
Mentre gli uomini lottano con la sensazione di non sentirsi più “uomini”, le loro famiglie spesso sono soggette a stigma sociale se i membri della comunità vengono a conoscenza dell’accaduto. “L’intera famiglia non è rispettata, la moglie è considerata inferiore ad altre mogli nella communità”, dice lo studio.
I gruppi di ricerca hanno anche riferito che i figli di uomini vittime di violenza sessuale vengono derisi dai propri coetanei, e gli uomini o le donne che tornano a casa dopo essere stati trattenuti dalle milizie sono spesso visti con sospetto in quanto la comunità si preoccupa che essi possano attirare con sé soldati o essere spie.
La questione dei superstiti maschili è raramente discussa. “La comunità teme che la gente venga a conoscenza di questi attacchi e possa imitare tale comportamento – ha detto Christian -. La comunità non ne vuole parlare… e non c’è un’organizzazione che ne parli. Nessuno vuole affrontare la questione, è una totale cultura del silenzio.”
Lo studio citava il bisogno di maggiore ricerca nelle esperienze maschili di violenza sessuale durante il conflitto, così come uno slittamento di rotta nella ricerca verso l’inclusione di uomini come soggetti sopravvissuti alla violenza di genere nelle zone del conflitto.
traduzione Sara Marilungo
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