Sarà la dott.ssa Maria Rita Ferri a commentare il film “Il discorso del re”, nel secondo incontro della rassegna, giunta alla nona edizione, “Cinema e Psichiatria”, curata dall’Istituto Cinematografico “La Lanterna Magica” de L’Aquila a dal Dipartimento di Salute Mentale della Asl provinciale. Il film, introdotto a cura dello stesso Istituto che, da trenta anni, opera nella direzione della tutela, restauro, conservazione e divulgazione cinematografica, è stato l’evento cinematografico del 2010, diretto da Tom Hooper, con Colin Firth, Guy Pearce, Helena Bonham Carter, Timothy Spall, e vincitore di quattro premi Oscar (dopo 12 candidadure), come miglior film, migliore regia e per i migliori protagonisti maschile e femminile. Il dramma storico senza eccessi di Tom Hooper, racconta la storia di Giorgio VI che, dopo la morte del padre e la scandalosa abdicazione del fratello, deve vincere la sua balbuzie, per arringare la Nazione sull’orlo del secondo conflitto mondiale. Sofferente fin dall’infanzia per questo difetto apparentemente insormontabile, frequentemente costretto a confrontarsi con imbarazzanti occasioni pubbliche a causa del suo sangue reale, il secondogenito di Re Giorgio V vorrebbe solo chiudersi nel silenzio, far dimenticare al mondo che anche lui ha una voce, magari dimenticarsene lui stesso. Disgraziatamente, però, arriva un momento in cui della sua voce c’è bisogno. Un bisogno disperato, visto che il suo viziato e volubile fratello, appena subentrato al trono britannico al defunto padre, ha infine abdicato, dichiarando pubblicamente la sua incapacità. Con l’aiuto della straordinaria moglie, di un eterodosso logopedista, del suo governo e di Winston Churchill (Timothy Spall), il Re riuscirà a superare la sua balbuzie e farà un discorso alla radio che ispirerà il suo popolo e lo unirà in battaglia. I meriti della pellicola risiedono in un’attenta ricostruzione storico/sociologica del periodo e dell’ambiente nobiliare inglese e in due interpreti che fanno a gara di bravura, grazie anche a un soggetto che tende naturalmente a metterne in risalto le doti.Una commedia umana, sempre in perfetto equilibrio tra toni drammatici e leggerezze, ricca di ironia ma soffusa di malinconia, a tratti molto commovente, ma capace anche di farci ridere. Di risate che nascono dal cervello e si trasmettono al cuore. Colin Firth, riesce a dare a Re Giorgio postura e sguardi ora smarriti e pieni di domande, ora arroganti e snobistici, cerando i contorni autentici di un disagio psichico trasmesso allo spettatore, che attende, trattenendo il respiro, le parole al microfono con le quali parla al suo popolo. Il nucleo del film, che funziona egregiamente come attivatore emotivo, è la storia di un uomo che ha dovuto lavorare duramente e umilmente per superare la balbuzie che lo avrebbe condannato ad una vita di silenzio dietro le quinte. Ciò che colpisce (almeno noi), la figura di Geoffrey Rush, amorevole mentore che accompagnerà il futuro re nel percorso verso la riconquista della parola. Al’uscita del film, nel gennaio di quest’anno, il leader centrista François Bayrou dichiarò, con le lacrime agli occhi:. “Sono molto commosso, è un bellissimo film. Fa capire bene come ci si sente ad avere in testa un fiume di parole e non potere esprimerle”. Ma se il film di Hooper offre un eroe ai balbuzienti, al cinema nonè sempre andata così. Nel film I cowboys (1972) si può assistere all’ inevitabilmente più rapido “metodo John Wayne”: “Piantala di balbettare, ragazzino, o è meglio che te ne torni a casa”, dice il grande John. “Figlio di puttana…”, risponde il bambino in lacrime. “Dillo ancora, più veloce…”, insiste John Wayne, e in un paio di minuti il problema è risolto. Nella realtà, la lotta con se stessi dura spesso molti anni e non sempre ne emerge un vincitore chiaro. Le cause della balbuzie sono molteplici (da problemi neurologici a difficoltà nello sviluppo), ma un anno fa il New England Journal of Medicine ha pubblicato il primo studio che individua alcuni geni responsabili avvalorando la tesi della ereditarietà (più della metà dei balbuzienti ha già altri casi in famiglia). La tradizione novecentesca legava il disturbo a traumi psicologici e a nozioni moderne come le “dinamiche familiari”, ma la balbuzie esiste da quando l’ uomo parla, come dimostra l’ esistenza di un suo geroglifico. La lista dei balbuzienti è infinita: dal maestro di retorica Cicerone all’ imperatore romano Claudio, tenuto a lungo nascosto dalla famiglia per la vergogna, all’ attrice Emily Blunt che nel film Il diavolo veste Prada interpreta la loquace Emily. “Ho cominciato a 10 anni, e a 12 ho smesso di parlare completamente – racconta -. Mi hanno salvato i corsi di recitazione”. E poi l’ attuale vicepresidente americano Joseph Biden e l’ uomo del celebre discorso “sangue, sudore e lacrime”, Winston Churchill: “Talvolta un piccolo e non spiacevole impedimento può essere di qualche aiuto nell’ assicurare l’ attenzione dell’ uditorio»” sosteneva il premier che seppe resistere al nazismo. E ancora Marilyn Monroe, lo scrittore Lewis Carroll e il nostro Alessandro Manzoni, che l’ 11 luglio 1859 rifiutava la presidenza del Reale Istituto Lombardo di Scienze Letterarie con queste parole: “Un’ incapacità organica di parlare in pubblico m’ ha tenuto, in tutta la mia vita, necessariamente lontano da ogni impegno che ne potesse portare un’ occasione qualunque”. Molto lontani dagli imbarazzi del Manzoni, nel 1965 gli Who arrivarono al successo planetario con My Generation. “Why don’ t you all f-f-f-fade away”, “perché non sparite tutti”, cantava balbettando Roger Daltrey, arrogante e insicuro, prima dello storico verso «”pero di morire prima di diventare vecchio”. Un grandioso manifesto generazionale, con balbuzie. Tom Hopper, che grazie Grazie all’aiuto del padre Richard, direttore della United News & Media, è entrato nel mondo della produzione audiovisiva dalla porta principale, ha mostrato il suo indubbio talento dirigendo la miniserie televisiva Elizabeth I, per il quale ha vinto, nel 2004, il suo primo Emmy Award e, poi, nel 2008, curando la l’altra miniserie John Adams, vincitrice di 4 Golden Globe. Circa Elizabeth I, racconta oltre vent’anni di regno di Elisabetta I, ripercorrendo alcune delle vicende salienti di questo periodo storico e soffermandosi in particolare sulla vita di corte, in un complesso intreccio di rapporti personali e politica. La prima puntata è incentrata sul legame fra Elisabetta e il fedele conte di Leicester (Jeremy Irons), un amore vissuto in clandestinità a causa degli obblighi della sovrana nei confronti dei propri sudditi; nel frattempo, la Regina è costretta a fronteggiare nemici esterni (la Spagna cattolica) ed interni (sua cugina Maria Stuarda, che complotta in segreto contro di lei). La seconda puntata descrive invece la passione della Regina per il giovane e piacente Robert Devereux (Hugh Dancy), conte di Essex, ma anche le varie congiure ordite contro di lei. Ancora una volta, al centro della narrazione c’è dunque il tema classico della difficoltà di conciliare la ragion di Stato con le ragioni del cuore: un tema che trova la sua sintesi ideale in un personaggio come quello di Elisabetta, prigioniera del suo ruolo di sovrana e obbligata a sacrificare la propria felicità per il bene della nazione. Lo sceneggiato di Tom Hooper ha la possibilità di avvalersi di un sontuoso apparato produttivo, con un’elegante ricostruzione d’epoca ed un cast di alto livello; in più di un’occasione, comunque, l’opera sconta i limiti della propria destinazione televisiva (primo fra tutti un eccessivo didascalismo). Helen Mirren, che appena un anno dopo avrebbe interpretato un’altra celebre sovrana inglese, Elisabetta II, nel film “The Queen”, è bravissima nell’esprimere i sentimenti repressi e le pulsioni talvolta indomabili della sua protagonista, alla quale sa conferire anche il giusto tocco di ironia; per il suo ruolo nella miniserie, la Mirren si è aggiudicata il Golden Globe e il premio Emmy come miglior attrice televisiva. Tra il 2008 e il 2009 Hooper dirige il suo secondo lungometraggio cinematografico, ovvero Il maledetto United, tratto dall’omonimo romanzo di David Peace, accolto con grande favore sia in patria che al’estero. Il film, in Italia, doveva essere distribuito nel luglio del 2009 ma fu successivamente rimandato a gennaio 2010. Rimandata anche questa uscita, la Sony Pictures decise di distribuire il film direttamente in DVD e Blu-Ray Disc a partire dal 28 aprile 2010. Anche “Il discorso del re”, nonostante critiche e successo, è uscito in poco più di 160 sale cinematografiche , mentre avrebbe avuto incassi maggiori con una migliore distribuzione. Il primo lungometraggio di Tom Hopper è del 2004: “Red Dust”, storia ambientata nel Sud-Africa del post-apartheid, in cui l’ex-ufficiale di polizia Dirk Hendricks si rivolge alla Commissione per la Verità e la Riconciliazione per ottenere l’amnistia, ma incontra l’opposizione di Alex Mpondo, un membro del parlamento sudafricano ed ex-membro della resistenza armata torturato da Hendricks. Straordinaria, ancora, in “il discorso de re”, dell’attrice Helena Bonham Carter, musa ispiratrice e moglie di Tim Burton, che dopo D essersi affermata nel panorama cinematografico inglese come attrice particolarmente dotata per ruoli drammatici, si reca negli Stati Uniti, dove interpreterà due episodi della serie televisiva Miami Vice, per poi tornare in patria come interprete di diversi film, per il cinema e la TV, tutti da protagonista. Fra di essi ricordiamo Amleto (1990), con Mel Gibson ed i due adattamenti da romanzi di Forster Monteriano – Dove gli angeli non osano metter piede (1991) e soprattutto Casa Howard (1992). Negli anni novanta Hinizia a recitare in grossi film hollywoodiani: Frankenstein di Mary Shelley (1994) di Kenneth Branagh, con il quale ha una relazione dal 1994 al 1999, La dea dell’amore (1995) di Woody Allen, La dodicesima notte (1996) di Trevor Nunn e Le ali dell’amore (1997) di Iain Softley, film per cui l’attrice ottiene la nomination all’Oscar. Notevole la sua interpretazione di Marla Singer in Fight Club (1999) di David Fincher, al fianco di Brad Pitt e Edward Norton. Il sodalizio con Burton inizia nel 2001, con Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie di Tim Burton, che la vuole nel doppio ruolo della strega e di Jenny, la ragazza innamorata del protagonista Edward Bloom (Ewan McGregor), in Big Fish – Le storie di una vita incredibile (2003). Sempre con Burton gira poi, La fabbrica di cioccolato (2004) e Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007) e come doppiatrice in La sposa cadavere (2005), sempre accanto a Johnny Depp. Come doppiatrice, sempre nel 2005, ha lavorato anche in Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro di Nick Park e Steve Box. Per la sua interpretazione nel film “il discorso del re”, ha ricevuto il premio BAFTA (riconoscimento annuale della dal British Academy of Film and Television Arts) alla migliore attrice non protagonista e la nomination all’Oscar.
Carlo di Stanislao
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