Aterno-Pescara: convegno sui cinque anni di commissariamento

Lo stato di salute del fiume Aterno-Pescara è stato oggetto di indagine e dibattito questa mattina all’interno di un convegno: “Risanamento ambientale bacino Aterno-Pescara. Cinque anni di interventi, i risultati e le prospettive”, tenutosi presso Palazzo Silone. Il luogo che ha accolto l’iniziativa è stato, a ragion veduta, la sede della Regione Abruzzo considerato il […]

Lo stato di salute del fiume Aterno-Pescara è stato oggetto di indagine e dibattito questa mattina all’interno di un convegno: “Risanamento ambientale bacino Aterno-Pescara. Cinque anni di interventi, i risultati e le prospettive”, tenutosi presso Palazzo Silone.

Il luogo che ha accolto l’iniziativa è stato, a ragion veduta, la sede della Regione Abruzzo considerato il ruolo regionale che tale fiume riveste, poiché abbraccia durante il suo tragitto ben tre province: L’Aquila, Chieti. Pescara fino a sfociare nel Mar Adriatico. Il bacino dell’Aterno-Pescara è infatti ampio 3154 km quadrati, cioè il 30% del territorio abruzzese, e copre la metà della portata media complessiva dei fiumi abruzzesi, 36,4 metri cubi al secondo rispetto ai 76, 8 regionali. Il tragitto del fiume è ampio e complesso. Passando per L’Aquila, dove riceve le acque dei torrenti Raio, Vetoio, Raiale e Vera, l’Aterno prosegue verso l’Alta Valle Peligna dove si alimenta di altri due affluenti, il Sagittario e il Gizio, fino a raggiungere Popoli e Capo Pescara. Da questo punto in poi l’Aterno non è più solo, ma si innesta nelle acque del Pescara che ha una portata di 12 metri cubi al secondo, di poco inferiore ai 13 metri cubi al secondo dell’Aterno dopo l’immissione del Sagittario, entrambi fiumi della Provincia dell’Aquila. Quindi l’Aterno e il Pescara non sono due fiumi diversi, come ha spiegato Leandro D’Alessandro, Ordinario di Geomorfologia applicata presso l’Università di Chieti -Pescara, perché “l’Aterno non è affluente del Pescara ma ne è la premessa geologica”. Ed è per questo che i Romani avevano chiamato l’attuale città di Pescara “Ostia aterni”. Una volta giunto alla Valle del Pescara il fiume si alimenta del Tirino e di altri tre affluenti che sono Lavinio, Cigno e Nora, fino a che raggiunge la foce e affogare infine nel “Mare Nostrum”.

Gli anni di interventi sono quelli compiuti durante il commissariamento del fiume che, dopo lo stato d’emergenza dichiarato nel dicembre del 2005, è passato sotto la guida di Adriano Goio, nominato Commissario per il risanamento del bacino Aterno-Pescara nel marzo del 2006.

Già commissario dell’Asta Fluviale dell’Adige, Goio una volta giunto in Abruzzo ha portato avanti una serie di iniziative, oggi illustrate, alla presenza di personalità politiche e tecniche. Gli interventi sul fiume sono stati finanziati dai fondi dell’Ordinanza 3504/06.

Le attività realizzate sono state illustrate dallo stesso commissario: “165 chilometri di collettori fognari, impianti di depurazione di acque reflue per 115 mila abitanti equivalenti, ristrutturazione e potenziamento dell’acquedotto Rocca di Ferro e della rete idrica del Chietino con aumento dei serbatoi di accumulo, un serbatoio idrico a San Vittorino (L’Aquila) di 10 mila metri cubi per sopperire alle carenze idriche nell’aquilano”.

37 sono i lavori appaltati per un importo complessivo di 58 milioni di euro, 23 le opere realizzate con 34 milioni di euro e 14 quelle in corso di realizzazione per un importo di circa 24 milioni di euro. E ancora 5 interventi sono stati finanziati con 20 milioni di euro e 4 sono in fase di progettazione per la somma complessiva di 242 milioni di euro.

L’Ufficio commissariale gestiste attualmente 46 interventi, dei quali 23 già completati, e 19 in corso di realizzazione e 4 in corso di progettazione, inerenti opere di emergenza idrica, depurazione, difesa idraulica e riqualificazione ambientale. Uno degli interventi in programmazione riguarda la realizzazione delle casse di espansione, delle vasche che dovrebbero, in caso di piena, permettere al fiume di alleggerirsi lungo il percorso. Tali casse sono previste per proteggere Pescara, “da Cepagatti a Manoppello – ha spiegato Goio – e per L’Aquila sull’Aterno e sul Raio, in particolare a Coppito e a Sassa”. Le due casse d’espansione per l’aquilano occupano 100 ettari di terreno agricolo e sono circondati da 10 km di argine, formato da un terrapieno largo 20 m ed alto a secondo della cassa, massimo 5 o 7 m.

Le uniche opere in calcestruzzo armato saranno le opere di presa e restituzione dell’acqua. Precisa l’Ing. Massimo Coccato che ha presentato il progetto per le casse d’espansione di 60 milioni di euro, che “ i 100 ettari di terreni agricoli non verranno espropriati, e verranno indennizzati in caso di utilizzo della cassa d’espansione per i danni provocati per l’eventuale piena.

Verranno invece espropriati in terreni su cui si realizzeranno gli argini che, essendo lunghi 10 km e larghi 20 metri, risultano esseri pari a 20 ettari. Nella tavola rotonda successiva agli interventi Roberto Tinari (Dca), ha contestato l’eccessivo costo dell’opera, pari a 60 milioni di euro, proponendo in alternativa un progetto organica dalla sorgente alla foce, di 3’0 milioni di euro che non prevede casse d’espansione. Mentre in mattinata la soluzione delle casse di espansione era stata condivisa anche dal sindaco Massimo Cialente.

Altra iniziativa futura, “ambiziosa, ma contestata dagli ambientalisti” come l’ha definita Goio, è l’opera di derivazione e distribuzione del lago di Campotosto nel bacino del fiume Aterno-Pescara per un importo di 83 milioni di euro. L’utilizzo di parte delle acque del lago di Campotosto, con un prelievo annuo previsto di 550 litri al secondo, è destinato a far fronte a periodi di prosciugamento del fiume e a ripristinare condizioni idromorfologiche naturali.

Questo fiume d’interesse regionale, paragonabile per importanza solo al Sangro è tuttavia minacciato dagli stessi problemi che poco tempo fa hanno interessato le acque della Liguria.  Inoltre l’integrità ecologica, strutturale e funzionale del fiume è fortemente minacciata da diversi fattori quali “inquinamento, abbassamento della falda, diminuzione degli alberi lungo le fasce ripariali dei fiumi”: questi i nemici della salute idrica secondo Bruno Cicolani, Ordinario di Ecologia presso l’Università dell’Aquila. “L’Italia sta abbastanza indietro rispetto agli obiettivi posti dalla Direttiva Ue 2000/60, che impone il raggiungimento di un precisa ecologica-chimica per ogni stato membro entro il 2015”, ha ammonito Cicolani. Il valore del fiume non è solo ecologico, ma anche economico. “Ogni km di fiume Aterno come servizi vale 90 mila euro l’anno”, ha spiegato Cicolani. I punti critici del territorio aquilano restano anche dopo gli interventi del 2010, per quanto riguarda l’alta Valle dell’Aterno, da Montereale in poi e la Conca dell’Aquila che è la più danneggiata anche in seguito al terremoto del 2009. “Bisogna considerare come ecosistema fiume non solo l’alveo – ha aggiunto Cicolani – ma anche la vegetazione ripariale. Essa presenta sei tipologie di alberi nell’Alta Valle dell’Aterno, mentre per la zona dell’Aquila essi si riducono a tre. Tale vegetazione va quindi incrementata, ad esempio con la creazione di un parco urbano fluviale, un discorso che consente di riqualificare l’ambiente. Il fiume dev’essere un punto di riferimento per la ricostruzione”.

Non si piantano più alberi, “ma si cementifica – avverte Maurizio Leopardi, Associato di Costruzioni idrauliche ed idrologia all’Università dell’Aquila – così il terreno smette di essere impermeabile e l’acqua scorre in superficie e se non ritrova l’alveo scorre lungo le strade”. È questo quello che è avvenuto a Genova, “una tragedia annunciata”, per il Sindaco Massimo Cialente. “Noi che abbiamo subito il terremoto – ha spiegato – abbiamo un motivo in più per diventare i primi testimoni della prevenzione”. Per il primo cittadino aquilano “gran parte delle vittime sono vittime legate al comportamento umano, al come e dove si è costruito”. Per quanto riguarda l’alluvione delle Cinque Terre, il Senatore Luigi Grillo, Presidente della Commissione Lavori Pubblici del Senato, ha assicurato: “vivo da 20 anni nelle Cinque Terre e quello che ho visto non era prevedibile”. “Non c’è speculazione edilizia nelle Cinque Terre – ha aggiunto – ma le colline terrazzate non hanno tenuto e si sono rovesciate a valle”.

Se le alluvioni non sono prevedibili, si sa tuttavia cosa fare per rispettare il territorio che ci circonda. Si potrebbe partire dal piantare un albero per ogni nuovo cittadino italiano che nasce, come del resto prevede la legge regionale 113/92

Lisa D’Ignazio

 

 

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