Oggi finalmente si può riuscire a fronteggiare la difficoltà di gestire, in emergenza, pazienti con disabilità complessa – persone con problemi cronici o permanenti di salute e deficit funzionali multipli, che coinvolgono anche il piano cognitivo-comportamentale -, che rappresentano l’1% di tutte le disabilità in Italia. Chi l’ha teorizzata come emergency card, chi vorrebbe si definisse care card, chi fa ricorso non ad altro che all’italiano e la chiama ‘fascicolo sanitario elettronico’. La chiave di volta è appunto il fascicolo sanitario elettronico (Fse) affiancato dal ‘passaporto per l’emergenza’. L’idea nasce dalle linee guida scaturite dal seminario organizzato da Fondazione Zancan e Paideia nella primavera scorsa sul diritto di accesso ai servizi sanitari da parte delle persone con disabilità complessa. Dall’elaborazione teorica il Centro Speranza di Fratta Todina, in provincia di Perugia è passato alla pratica, cominciando a dotare progressivamente tutti e 67 i disabili presi in carico dalla struttura di Fse e passaporto: sono bambini, adolescenti e adulti, assistiti in regime semiresidenziale e/o ambulatoriale; 20 utenti hanno dai 3 ai 18 anni, il più piccolo è sordocieco, il più anziano ha 50 anni. Alcuni vanno a scuola, ad altri la gravità della situazione non lo consente; gli adulti più gravi fanno una riabilitazione di mantenimento con musicoterapia e l’aiuto di una ‘stanza multisensoriale’, gli altri lavorano in laboratorio.
“E’ un’esigenza che è partita dai genitori e che io ho solo recepito” dice Gianfranco Castellani responsabile medico del Centro Speranza, colui che in prima persona, affiancato da due persone, da tempo sta immettendo dati, parlando con le famiglie, facendo lo scanning di referti medici e compilando schede. Ad oggi i fascicoli sanitari elettronici pronti sono 15 e i passaporti 5.
Il Fse è contenuto in una chiavetta Usb, apribile con velocità da qualsiasi computer. Essa contiene un indice dei documenti con link che aprono le seguenti cartelle: anagrafica, dati amministrativi, documenti sanitari che sono la Svamdi (scheda valutazione multidimensionale disabili), bilanci di salute, profilo sanitario sintetico, scanning delle cartelle cliniche e delle lettere di dimissione, scanning di prescrizioni specialistiche, di referti di indagini diagnostiche e di verbali di pronto soccorso, certificati, farmaci assunti. Il Fse – periodicamente aggiornato da medici di base, da pediatri di libera scelta o dai centri di riabilitazione – contiene inoltre il registro cronologico degli eventi sanitari, con link che aprono i documenti inseriti nelle cartelle descritte.
Il passaporto per l’emergenza è invece una scheda incentrata sulle caratteristiche complessive della persona. E’ come un portafotografie a fogli mobili cartacei, ci spiega il dottor Castellani, che gli utenti si portano dietro; è redatto come se l’utente parlasse in prima persona e consente a tutti coloro (infermieri, tecnici di laboratorio, medici specialisti ambulatoriali, ecc.) che interagiscono con un soggetto con disabilità complessa che ha difficoltà a comunicare di essere rapidamente informati sugli aspetti essenziali per facilitare l’incontro, in particolare su quelli che potrebbero creare criticità (ad esempio: “per conoscerti ti vengo incontro e ti annuso ma guai se mi tocchi i capelli”, “non sempre capisco quello che mi dici, aiutami usando supporti visivi, perché se non capisco posso diventare aggressiva”).
Si tratta di strumenti che possono risultare utili per chiunque, anche non in condizione di disabilità, si trovi in uno stato di emergenza. Una riflessione che potrebbe far auspicare, in prospettiva, l’estensione di Fse e passaporto a tutti i cittadini italiani da parte del Servizio sanitario nazionale. “Sì, la riflessione è anche questa – afferma Castellani -. Per la prima volta qualcosa si fa prima per i disabili rispetto al resto della popolazione”.
“Uno strumento quasi banale nella sua semplicità, a fronte di una funzione importantissima – mette in evidenza Gabriella La Rovere, medico e madre di una ragazza di 19 anni con disabilità – e che consente ai genitori di avere un respiro di sollievo”. Così semplice, eppure questa ‘care card’ arriva soltanto ora, perché? “I genitori dicono che deve farlo lo stato, lo stato non lo fa, e così non va avanti nulla – dice La Rovere -. E’ uno strumento che chiama alla responsabilità: non ci sono più alibi per il personale medico e paramedico, mette con le spalle al muro chi sta in sanità”. E racconta, Gabriella, l’esperienza in un ospedale per fare un elettroencefalogramma alla figlia: “Il tecnico di laboratorio non ha fatto alcuno sforzo per entrare in contatto con lei, lui era molto veloce, nessuna riflessione e attenzione alla relazione pareva averlo attraversato, la ragazza ha preso a strillare e sono stati momenti difficili”.
Per i casi come questi, oggi alla Provincia di Perugia oltre a fascicolo e passaporto si presenta anche la mozione al Consiglio regionale sostenuta da Antonio Tonzani, responsabile dipartimento sociale Pd dell’Umbria, medico e genitore di una figlia disabile. L’obiettivo è quello di ottenere una facilità di accesso al Pronto soccorso, ad esempio con una stanza dedicata e personale formato (“ci deve essere una scelta alla base – ritiene il dottor Castellani – nel dedicare parte del proprio tempo alla formazione su queste patologie”); inoltre, far sì che in ogni reparto l’ospedale abbia un medico e un infermiere formati sul corretto approccio da avere con le persone disabili. (ep)
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