Follia razzista a Firenze

I più recenti studi di genetica dimostrano che le differenze tra le razze sono minime, inferiori a quelle tra gli individui di una stessa razza, e soprattutto che l’intelligenza è uguale in tutte le razze. L’umanità deriva da un unico ceppo che dall’Africa si diffuse nei vari continenti, rafforzando in ogni ambiente i caratteri più […]

I più recenti studi di genetica dimostrano che le differenze tra le razze sono minime, inferiori a quelle tra gli individui di una stessa razza, e soprattutto che l’intelligenza è uguale in tutte le razze. L’umanità deriva da un unico ceppo che dall’Africa si diffuse nei vari continenti, rafforzando in ogni ambiente i caratteri più adatti e dividendosi pertanto in tipi differenti. L’ONU condannò il razzismo con la Dichiarazione sulla razza dell’UNESCO (1950) e con una Convenzione del 1965 che definì discriminazione razziale ogni differenza, esclusione e restrizione dalla parità dei diritti in base a razza, colore della pelle e origini nazionali ed etniche. Nel 2000, il 21 marzo, fu proclamato giornata mondiale contro il razzismo, in memoria dell’eccidio di 69 neri nel 1960 a Sharpeville (Sudafrica). Organizzazioni umanitarie non governative, come SOS Razzismo, nata in Francia ma operante in tutto il mondo, anche in Italia (dal 1989), si battono per sconfiggere il razzismo e ogni forma di discriminazione. Da anni l’Unione Europea invita con direttive gli Stati membri a dotarsi di leggi antidiscriminazione. Ma, nonostante tutti, le manifestazioni di feroce razzismo sino moltiplicano, in Italia e nel mondo. Secondo i testimoni si sarebbe trattata di una vera e proprio esecuzione, quella compiuta da Gianluca Casseri, che stamani è arrivato in macchina in piazza Dalmazia, a Firenze ed ha aperto il fuoco, con una pistola di grosso calibro, su un gruppo di “vù cumprà” senegalesi, uccidendone due e ferendone un terzo. Poi è fuggito verso S. Lorenzo dove, ha ferito altri due ambulanti ed infine ha chiuso questa assurda storia sparandosi con la stessa 357 Magnum, nel garage di un parcheggio, circondato dalla polizia. Aveva 50 anni ed era appartenente agli ambienti dell’estrema destra, gruppi razzisti, superomisti e xenofobi. Subito dopo questi folli accadimenti, decine di senegalesi si sono radunati in piazza Dalmazia e al grido di “vergogna vergogna”, hanno bloccato per pochi minuti il traffico nei pressi della piazza, per poi dirigersi in corteo verso il centro. Tra loro molti amici e parenti delle vittime, diversi venditori ambulanti colleghi dei due uccisi ed i familiari che erano poco prima giunti sul posto. Non sono mancati momenti di tensione quando nel corteo è giunta la notizia della nuova sparatoria in piazza San Lorenzo. Quando poi i partecipanti hanno saputo che il killer si era sparato ed era morto, hanno chiesto di vederne il corpo per essere certi della notizia che veniva loro data. Nei pressi della stazione di Santa Maria Novella il corteo ha gettato a terra qualche motorino, cartelli stradali e cestini dei rifiuti, per raggiungere la prefettura, con un esponente storico della comunità, Pap Diaw, che è stato ricevuto dal prefetto Paolo Padoin. In prefettura sono giunti anche il sindaco, Matteo Renzi, ed il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che hanno espresso la loro solidarietà e quella di tutta la città e la regione nei confronti della comunità senegalese. Una storia di ordinaria follia, che ci descrive un furore razzista e xenofobo che è ormai giunto al parossismo, anche nell’Italia apparentemente più accogliente e civile. Lo scorso 5 dicembre, come fa da alcuni anni in quella data, Rai RadioTre ha dedicato un giorno della sua programmazione ad un diverso sguardo e un diverso punto di vista su quanto accade in Italia e nel mondo, lo sguardo di chi si trova nel nostro Paese, per motivi di studio o di lavoro, perché migrante o profugo, e che per una volta si trasforma in conduttore radiofonico. La giornata si è chiamata “Tutti stranieri” e sarebbe interessante sentire il commento di questi stranieri ai fatti di Firenze di oggi. Più di quattro milioni di persone di origine straniera vivono adesso in Italia, in gran parte lavoratrici e lavoratori che contribuiscono al benessere di questo Paese e che lentamente e faticosamente, sono entrati a far parte della nostra comunità, ma molto, troppo spesso, sono vittime di violenze e discriminazioni. L’aumento, da tutti segnalato, di episodi di intolleranza e violenza razzista a cui giornalmente assistiamo, sono sintomi preoccupanti di un corto circuito che rischia di degenerare e che ci allontana dai riferimenti cardine della nostra civiltà. Ed oltre ad un razzismo becero e scoperto, ve è uno più colto e strisciante, che, come scrive Giuseppe Faso nel libro “Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono”, con il lento lavorio delle parole razziste e la loro messa in comunicazione, non solo nei grandi circuiti dei media, ma soprattutto in quelli del minuto transito quotidiano di massa (i bar, i mezzi pubblici di trasporto ecc.), crea i presupposti delle pratiche razziste, quelle che in questo nostro Paese si esprime ormai in espliciti e reiterati gesti di pura violenza da parte di singoli e gruppi contro cose e persone, gesti preceduti dal lento covare di un silenzioso rancore, che col tempo è esploso in un “liberatorio” vociare di gruppi che hanno coinvolto intere comunità ed infine prodotto “ordinarie follie” individuali. Come ha recentemente detto George Kreis, per 16 anni alla presidente della Commissione Svizzera contro il Razzismo, negli ultimi anni, in tutti i Paesi occidentali, l’atteggiamento verso gli stranieri, verso gli altri, è indubbiamente peggiorato. La contrapposizione tra “io e gli altri”, tra “noi e gli altri” è più marcata, evidentemente perché la denigrazione dell’altro serve a rafforzare, a dare maggior valore alla propria identità. Il razzismo classico affermava la separazione biologica delle razze e la loro gerarchia; quello contemporaneo, che si suole definire differenzialista, si basa su tesi quasi antitetiche: le razze sono uguali e si differenziano non per aspetti biologici ma per la loro cultura, che costituisce il patrimonio di qualsiasi razza e va difesa contro mescolamenti che la snaturino; la difesa delle singole culture si ottiene fondamentalmente con l’isolamento, con il rifiuto di contatto con l’altro che trova la sua massima manifestazione nell’apartheid. Anche il razzismo differenzialista cerca di legittimare alcuni comportamenti sociali. Se il razzismo classico affermava la superiorità della razza bianca (e quindi legittimava relazioni sociali di sfruttamento delle altre razze) con la biologizzazione delle differenze fenotipiche, il razzismo differenzialista legittima il rifiuto dell’immigrazione (invasione) di altri gruppi all’interno della civiltà bianca attraverso la naturalizzazione delle differenze culturali, assumendo in tal modo una veste formalmente difensivista ed egualitaria. Comuni alle due forme di razzismo non sono solo i comportamenti offensivi verso l’altro, ma anche e soprattutto la naturalizzazione delle differenze tra i gruppi attraverso la quale viene mascherato il carattere essenziale di costrutti sociali che tali differenze hanno.

Carlo Di Stanislao

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