Dall’annuario statistico italiano dell’Istat sul 2011 emerge che: “Nel 2010 sono 22.872.000 gli occupati, 153.000 in meno dell’anno precedente. Il risultato complessivo e’ la sintesi di una riduzione marcata della componente italiana, controbilanciata dall’aumento di quella straniera (+183.000 unita’). La quota di lavoratori stranieri sul totale degli occupati raggiunge il 9,1% (8,2% nel 2009)”.
A diminuire “sono esclusivamente gli occupati maschi, in particolare lavoratori dipendenti (-167.000 unita’). La discesa coinvolge soprattutto l’occupazione permanente e a tempo pieno (285.000 in meno), ovvero l’occupazione standard, in precedenza meno coinvolta dagli effetti negativi della crisi. A livello di settore di attivita’ economica, diminuiscono gli addetti dell’industria in senso stretto (-4,0%, pari a 190.000 unita’ in meno) e delle costruzioni (-0,7%, pari a -14.000 unita’). Nel terziario si registrano modesti incrementi (+0,2% pari a +35.000 unita’): si tratta per lo piu’ di posizioni lavorative a bassa qualificazione nei servizi domestici e di cura alle famiglie e alla persona. In controtendenza appare il settore agricolo, dove la domanda di lavoro sale per la prima volta dopo tre anni (+1,9%, pari a 17.000 unita’)”.
In base alle informazioni raccolte dall’indagine sulle forze di lavoro, “la cassa integrazione ha interessato 252.000 occupati, rispetto ai 300.000 di un anno prima. Il tasso di occupazione scende dal 57,5% del 2009 al 56,9% del 2010, valore che si mantiene ampiamente al di sotto della media Ue (64,2%). Quello maschile si attesta al 67,7%, mentre il tasso riferito alle donne si posiziona al 46,1%, pur con rilevanti divari regionali: si passa dal 68,5% del Trentino Alto Adige al 39,9% della Campania”.
Crescono quindi, disoccupati e inattivi. Per il terzo anno consecutivo, dice l’annuario, “aumentano le persone in cerca di occupazione: sono 2.102.000, 158.000 in piu’ rispetto al 2009 (+8,1%). Il tasso di disoccupazione sale all’8,4% dal 7,8% del 209, quello di inattivita’ al 37,8%, due decimi di punto in piu’ rispetto a un anno prima”.
“Un Paese in grandissima difficoltà che ha bisogno di ripartire da un punto centrale: il lavoro”. E’ quanto afferma il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, sui dati diffusi oggi dall’Istat, nel sostenere che il paese “è vittima di un corto circuito impazzito, ricerca del rigore senza crescita e lavoro, che va interrotto: la manovra va cambiata e servono tutele per le persone e crescita per il paese”. Il dirigente sindacale sottolinea inoltre come “l’Istat fa notare che già lo scorso anno il fenomeno della disoccupazione giovanile è stato in parte legato all’innalzamento dell’età pensionabile. Cosa accadrà adesso con il sostanziale blocco previsto dalla manovra? E con una recessione che amplia il blocco della produzione? Che i giovani troveranno ancora meno lavoro e le poche occasioni saranno ancor più precarie e ricattabili, che tanti anziani usciranno dalla cassa integrazione verso il licenziamento e senza avere certezza della pensione. Tutto questo farà di molto arretrare l’occupazione”. Secondo il sindacalista “è evidente il rapporto tra la situazione del lavoro e quella delle famiglie, già impoverite dal calo dei salari e adesso dalla mancata rivalutazione delle pensioni e dall’aumento di tasse. I consumi saranno ancor meno con il parallelo ampliamento della recessione. È questo – prosegue – il corto circuito impazzito che va interrotto e per questo la manovra va cambiata. Servono tutele per le persone e crescita per il paese, serve una riforma organica degli ammortizzatori sociali ma nell’immediato tutele speciali per il prossimo anno e che nessuno si sogni, in questa situazione gravissima, di togliere ulteriormente diritti ai lavoratori a partire da quello contro i licenziamenti facili perché tutto il sindacato sarebbe contrario”, conclude Fammoni.
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