Stava per laurearsi in lingue all’università D’Annunzio e nel pomeriggio del 14 dicembre, come d’abitudine, era uscito dalla casa che divide con altri studenti in una zona centrale della città, per andare a fare footing sul lungomare. Si è appurato che aveva preso la direzione nord, verso Montesilvano, ed è stato ripreso da una telecamera del porto turistico, lungo il tragitto. Da allora nessuna traccia. Roberto Straccia, 24 anni, originario di Moresco, in provincia di Fermo, ragazzo tranquillo e studente modello, è scomparso nel nulla, in una città brulicante ed in pieno giorno, nonostante le ricerche dei carabinieri del reparto operativo del capoluogo, guidati dal colonnello Giovanni Di Niso, tre sopralluoghi dei Ris, l’impiego di unità cinofile e la comprensibile determinazione dei genitori, giunti a Pescara subito dopo la scomparsa, con la sorella Lorena, attivissimi nelle ricerche. Tra le possibili piste le più attendibili sono, per adesso, quelle del suicidio o del sequestro di persona a fini estorsivi. E sebbene il padre del ragazzo smentisca con forza l’attendibilità di entrambe le ipotesi, il magistrato che si occupa del caso ha inoltrato, alla vigilia di Natale, alla procura di Fermo, la richiesta per acquisire un fascicolo su un presunto tentativo di suicidio, posto in essere dal ragazzo, che nel 2004 aveva ingerito una bibita contenente pesticidi. I carabinieri sperano di scoprire elementi che possano far luce sulla vita dello studente e che forse non erano conosciuti dai familiari. Al vaglio degli investigatori anche il contenuto del computer del giovane e i tabulati del cellulare per verificare quali siano stati gli ultimi contatti che Roberto ha avuto prima della scomparsa. Una terza ipotesi, comunque, si fa spazio: quella secondo cui il giovane possa essere vittima di un’amnesia, che lo porterebbe a vagare senza meta, da quasi tre settimane; ipotesi avvalorata dalle dichiarazioni di un amico, il quale ha raccontato che poco tempo prima della scomparsa Roberto aveva battuto violentemente la testa. Un0 ampia ricerca condotta da La Repubblica nel 2008, ci informava che in si cercano non meno di 23.000 persone in Italia, di cui 7.890 maggiorenni, 1.757 ii minorenni, 5.935 stranieri maggiorenni e 7.963 minorenni stranieri. Nel 2010 gli scomparsi, secondo il Viminale, hanno superato le 24.000 unità e, dal 1974, quando è stato istituito l’archivio interforze presso il Ministero degoli Interni, i nomi inseriti nella lista sono stati 98.518. Fra i casi di persone che non è stato più possibile rintracciare vi sono i casi, più o meno eclatanti, delle piccole Angela Celentano e Denise Pipitone e poi, ancora, quelli di Stefano Curri, Ottavia De Luise, Cristofaro Oliva ed Emanuela Orlandi. Come dicevamo, il fenomeno delle persone scomparse, è in forte aumento dal 2008 ad oggi e molte delle persone che non si ritrovano, scompaiono volontariamente, per cambiare vita. Ma la più parte scompare (e muore) per ben altri motivi e in ben diverse circostanze. Nelle statistiche diffuse nella quinta relazione semestrale per le persone scomparse dello scorso anno, risultano anche 789 cadaveri non ancora identificati. Questo nonostante tutti gli ausili tecnologici e biologici che siamo abituati a vedere nei vari serial televisivi. Le analisi del DNA andrebbero confrontate con campioni esistenti, come anche le tecniche di ricostruzione facciale tridimensionali computerizzate o addirittura quelle con gli ologrammi. Ma è probabile che tutto questo non si attui ancora da noi e che tutto sia demandato a solerti specialisti in camice bianco, che timbrano il cartellino ed il weekend hanno da fare con la famiglia? Soprattutto, è costernante dirlo, il confronto fra la serie CSI (o quella nostrana sul Ris), è desolante, se si tiene conto della realtà in cui versano polizia e carabinieri, con auto ferme per mancanza di benzina e nuovi tagli governativi sempre in attesa, dietro l’angolo, ad ogni nuova crisi. Che in Italia, oltre a mezzi manchino uomini alle forze di polizia, è un fatto risaputo, ma che questi poliziotti ci siano e però siano stati, stati parcheggiati altrove, senza rispettare i loro diritti di idoneità in alcuni concorsi è alquanto bizzarro o addirittura assurdo, se in barba alle priorità di questi agenti, che da alcuni anni aspettano di essere inseriti nei ruoli, vengono banditi nuovi concorsi. Una situazione quantomeno assurda che non tiene conto di diritti acquisiti e lo fa su un comparto così importante per la Nazione, con ragazzi che negli anni scorsi sono entrati a far parte della cosiddetta seconda aliquota, che corrono un ulteriore rischio assurdo: perché, pur subendo un incorporamento militare con tutti i doveri che ne conseguono, a fronte di una idoneità che è stata riconosciuta invece per una forza di Polizia, nel caso che ci si produca un danno fisico durante i 4 anni di servizio militare, essi perdono l’idoneità per l’assunzione definitiva. Inoltre, in questa ottica di risparmi dovuti alle carenze economiche che ostacolano innovazione ed adeguamenti organici, dove sta il senso dell’acquisto, un paio di mesi fa, da parte dell’allora ministro Ignazio La Russa, di 19 Maserati blindate per i generali? Con l’avvento del nuovo governo che per comodità chiamerò tecnico, concentrato sulla necessità di creare un nuovo “Modello di Difesa”, più piccolo, efficiente e soprattutto meno costoso, tutti hanno detto loro: il Consiglio Supremo di Difesa, il Governo in carica con il Ministro-Ammiraglio e, naturalmente gli Stati Maggiori. Ma l’unica cosa da dire è che vanno tagliate spese per un esercito senza grande senso e risparmiate risorse per servizi interni di Carabinieri e Polizia. Nessuno nega l’evidente necessità di ridurre le spese della Difesa a causa delle ristrettezze finanziarie, (cosa peraltro solo apparentemente avvenuta e per i soli settori “interni” in questi anni), di continuare nell’opera di efficientazione delle nostre Forze Armate per i compiti presenti e quelli futuri, di pensare concretamente ad una Difesa Europea comune. Ma ciò che invece si dovrebbe fare, con intelligenza e senza la furia “iconoclasta” e “massimalista”, è distribuire meglio le ridotte risorse. Certamente è venuto il momento di dire basta ai privilegi delle “caste” (politiche, militari ed ecclesiastiche) che sottraggono importanti risorse economiche al Paese, che solo nei Comparto difesa e Sicurezza sono valutabili in 472 milioni di euro all’anno. Ma è anche il momento di dire basta alle spese per gli armamenti, che ci costano 7 miliardi l’anno, cioè quasi un terzo della manovra. Tutto questo il Presidente Monti non lo può e non lo deve ignorare, se davvero vuole rinnovare l’Italia a partire dalla sicurezza e dalle garanzie.
Carlo Di Stanislao
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