Quando parliamo del terremoto, spegniamo il frullatore

Quando parliamo del terremoto, spegniamo il frullatore. Sì, proprio il frullatore, perché nel parlare del terremoto che ha colpito l’Abruzzo e soprattutto L’Aquila città, ormai circa 3 anni fa, si rischia di “mettere in un frullatore tante cose” e di tirarci fuori alla fine una poltiglia che non sa di nulla di buono, soprattutto se […]

Quando parliamo del terremoto, spegniamo il frullatore. Sì, proprio il frullatore, perché nel parlare del terremoto che ha colpito l’Abruzzo e soprattutto L’Aquila città, ormai circa 3 anni fa, si rischia di “mettere in un frullatore tante cose” e di tirarci fuori alla fine una poltiglia che non sa di nulla di buono, soprattutto se a parlarne è un semplice cittadino che lo ha subito sulla propria pelle, cioè non un tecnico o un politico e tantomeno un letterato. Quali sono le sensazioni che si rischia di mettere nel frullatore e di mescolarle tutte insieme? Io provo ad elencarle: il dolore, il ricordo, il rimpianto, il senso di colpa, la delusione, la rabbia, lo sconforto, la voglia di fare, la speranza. Sono le tappe di una dolorosa via crucis interiore che, seppur in diversa misura, coinvolge l’intera comunità. Ma sono convinto che anche questa volta il risultato sarà una resurrezione.
Il dolore, certo, perché fa male ricordare le sofferenze di quella notte, le tue o magari dei tuoi cari o delle persone a te vicine che hai toccato con mano, accarezzato, rassicurato o che magari ti sei caricato di peso e portate fuori verso la salvezza. O, purtroppo, per il pensiero di chi non rivedrai più e ti fa male ancor oggi sapere o immaginare cosa abbiano potuto provare in quei momenti. Il dolore, si sa, accompagna qualsiasi tragedia umana.
Il ricordo della quotidianità, ossia dei luoghi dove scorrevano le ore delle tue giornate e delle tue notti, magari anche quando era forte il desiderio di essere altrove. I volti che incontravi e gli sguardi che incrociavi. Magari anche quando non avresti voluto, per non parlare di tutti quegli oggetti che nel loro piccolo ti legavano a qualcosa o qualcuno o ti ricordavano bei momenti. Un insieme di cose, luoghi e persone che forse in parte recupererai ma che non sarà comunque più come prima.
Il  rimpianto, si anche quello, perché come natura umana vuole, è quando non puoi più godere di ciò che ti era familiare e ti riempiva la vita, ne riscopri il valore ed a volte il senso e, nello stesso tempo, percepisci finalmente il vero peso che avevano per te. Già, prima avevi altro a cui pensare e magari non ti soffermavi su chi e cosa ti era vicino perché per te era tutto scontato, ti era dovuto e le trattavi pure con superficialità. Ah se lo potessi rivedere.. quante cose avrei da dirgli che non gli ho detto prima!
Il  senso di colpa, certo anche quello, si va da un senso di colpa generico come cittadino appartenente ad una comunità che non ha fatto quanto necessario e doveroso per salvaguardare il suo patrimonio umano e di beni, andando con il pensiero a quante volte potevi esprimere il tuo parere o interessarti su problematiche della sicurezza, o partecipare e chiedere partecipazione alla forze politiche o agli amministratori. Ma ci può essere anche un senso di colpa personale nel pensare magari di non essere stato capace di proteggere i propri cari o il proprio focolare, perché per esempio a suo tempo sono state fatte scelte diverse, o perché non si è evitato di fare cose che allora ti sembravano utili. Adesso magari ci si rende conto di aver dato precedenza e maggior valore a suppellettili, accessori e comodità a scapito della sicurezza e della qualità quando abbiamo costruito, comprato, ristrutturato, ampliato, e così via..
La  delusione, nei momenti in cui i vortici portati dai sentimenti detti prima si placano e ti soffermi a guardare, con un pochino di calma ciò che ti circonda, può nascere anche un senso di delusione. Delusione per cosa? Magari nel vedere che una fetta più o meno grande della tua comunità più che essere solidale ha pensato solo a se stessa, e magari, pur non trovandosi in stato di bisogno, “ha preso a piene mani” da risorse che invece vanno date a chi veramente è indifeso ed in difficoltà economica. Certo ti ha fatto male vedere cittadini di medio e alto reddito attingere a piene mani a mense, dispense, trattamenti di pensione completa, non pagare imposte ecc. quando non ne avevano bisogno o avevano soluzioni alternative, mentre tu magari provavi pudore a chiedere, perché ti sembrava di togliere a chi stava peggio di te.
La rabbia, è arrivata anche quella sì. Certo che ti arrabbi quando ad anni dal sisma non senti parlare d’altro che di inchieste, processi, liti politiche, giudiziarie, amministrative, eccetera, e scopri che alla fine proprio gli uomini e le istituzioni che tu pensavi stessero lavorando per la collettività e la ricostruzione, hanno bruciato invece risorse immani, e continuano ancora a farlo, senza portare nessun beneficio vero e concreto e in assenza di vera progettualità condivisa, dove tutti sono professori di tutto e del contrario di tutto, mentre la situazione degenera sia economicamente che socialmente.
Lo sconforto come non essere assaliti da un senso di sconforto nell’osservare da un lato l’immane quantità e qualità di problemi che la comunità si trova ancora ad affrontare e, dall’altro, la scarsezza di risorse e l’assenza di guide vere, stelle polari, programmi che abbiano il crisma della concretezza in grado di darti la possibilità di guardare con fiducia al domani. Per giunta anche in un quadro economico/politico/sociale nazionale ed internazionale che non fa certo ben sperare.
La voglia di fare,  per fortuna abbiamo tutti dentro di noi, nel nostro DNA, quel seme che ha contraddistinto nei secoli le nostre popolazioni che si chiama laboriosità e voglia di fare, ed allora senti che la ragione ti impone di dominare e metabolizzare tutti gli stati d’animo precedenti e di liberare tutte le tue energie, togliendo quello strato di polvere che magari le ha sopite o offuscate in questi anni, allo stesso modo di come toglieresti la polvere rientrando in una casa disabitata da tre anni e riporteresti alla luce tutto, lucidando anche l’argenteria e le cornici delle foto. Senti che se ritorna la voglia di fare tutto è possibile.
La speranza, c’è una speranza nei nostri cuori. Magari abbiamo pudore a dirla per paura di essere tacciati come degli ingenui, ma è come un venticello lieve che ci sfiora l’anima e ci dice: vedrai che ci sono molte anime buone, molte persone di buona volontà che si daranno da fare insieme a te e il futuro si riprenderà tutti i colori dell’arcobaleno. Giunto all’ultima stazione di questa dolorosa ma necessaria via crucis di sentimenti, capisci che il frullatore oltre che spegnerlo lo devi proprio gettare, per evitare che il suo rumore ti impedisca di ascoltare i suoni della tua anima.

Scipione L’Aquilano

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