Il 30% degli adulti autistici non si sottopone ad alcun tipo di terapia: è questo uno dei dati emersi dall’indagine “La dimensione nascosta delle disabilità”, realizzata dal Censis, con il supporto di Angsa, per la fondazione Serono e presentata questa mattina a Roma.
Diagnosi. Nell’80% dei casi i primi sintomi sono stati osservati dalla mamma, per lo più durante il secondo anno di vita del figlio (41,2%). La maggior parte del campione (il 45,9%) ha dovuto attendere tra 1 e 3 anni per avere la diagnosi, mentre il 13,5% ha atteso anche più di
3 anni. Il dato varia notevolmente in relazione all’età del soggetto: tra i più adulti, oltre il 20% del campione ha dovuto attendere più di tre anni per ottenere la diagnosi. Mediamente sono 2,7 i centri e gli specialisti cui le famiglie si sono rivolte per la diagnosi, fino ad arrivare alla media di 5 centri o specialisti consultati nei casi in cui la diagnosi sia arrivata dopo i 10 anni di età. Il 40,4% delle famiglie imputa il ritardo della diagnosi all’inadeguata preparazione del pediatra, il 30,8% ai pareri contrastanti dei medici.
Terapia. Il 30% del campione adulto (oltre i 20 anni) e il 27,8% degli adolescenti non ricevono alcun tipo di terapia. Al contrario, i bambini dai 3 ai 7 anni si sottopongono soprattutto a logopedia (63,3%), psicomotricità (61,8%) e interventi cognitivo-comportamentali (58,8%); questi ultimi interventi prevalgono tra i bambini dai 7 ai 13 anni (57,9%), che svolgono anche sedute di logopedia (41&ì%) e psicomotricità (35,8%). Con l’avanzare dell’età, logopedia e psicomotricità cedono il passo agli interventi cognitivo-comportamentali (40,5% tra i 14 e i 20 anni e 36,7% oltre i 20 anni), che generalmente hanno ritmi più intensivi e richiedono in media, 5,2 ore settimanali. Va notato, come si legge nel rapporto, che “di queste 5,2 ore, ben 3,2 sono state pagate privatamente dalle famiglie (pari al 62,0% di quanto ricevuto), contro le 2,0 erogate dal soggetto pubblico: dato
particolarmente significativo alla luce dei costi assolutamente rilevanti che la terapia cognitivo-comportamentale comporta. Psicomotricità, psicoterapia e fisioterapia, mediamente ricevute per circa un’ora e mezza alla settimana, risultano invece per la maggior parte erogate dal SSN o comunque dal soggetto pubblico”.
Farmaci. Meno di un terzo del campione (30,6%) ricorre a terapia farmacologica, che di fatto non esiste specificatamente indicata per questo disturbo. “Il trattamento farmacologico si legge nel rapporto – rappresenta una delle zone d’ombra dell’autismo, laddove a sintomi e comportamenti estremamente gravosi sotto il profilo assistenziale le uniche risposte disponibili dal punto di vista farmaceutico sono rappresentate da farmaci non specifici per l’autismo, i cui effetti sulle persone autistiche sono spesso diversi da quelli attesi, e che in alcuni casi (come per gli antidepressivi SSRI, indicati dal 3% del campione, e le benzodiazepine, indicate dal 3,3%) sono più o meno
esplicitamente controindicati”.
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