L’uomo senza ambiente e dentro infiniti spazi

“Perdersi. L’uomo senza ambiente” è il titolo di un interessante libro dell’architetto-antropologo Franco La Cecla. In esso l’autore mostra il progressivo spegnersi nell’uomo contemporaneo dell’idea di ambiente e della sua capacità di farne un elemento centrale della propria esistenza. In compenso però all’uomo di oggi è consentita l’opportunità di vivere in infiniti spazi, anche se […]

“Perdersi. L’uomo senza ambiente” è il titolo di un interessante libro dell’architetto-antropologo Franco La Cecla. In esso l’autore mostra il progressivo spegnersi nell’uomo contemporaneo dell’idea di ambiente e della sua capacità di farne un elemento centrale della propria esistenza. In compenso però all’uomo di oggi è consentita l’opportunità di vivere in infiniti spazi, anche se questi non corrispondono sempre ai suoi desideri, non nascono dalle sue esigenze più profonde. Trattasi di luoghi (o di nonluoghi) in cui spesso il soggetto viene forzatamente sospinto da accadimenti apparentemente ascrivibili ai fenomeni naturali. E’ il caso dei cittadini aquilani che, colti di sorpresa dal terremoto e anestetizzati dall’assuefazione ai diffusi modelli urbanistici, oggi subiscono gli effetti paralizzanti di una situazione emblematica nazionale, caratterizzata da un contesto, materiale e immateriale, di “paesaggi instabili”. Negli anni settanta del secolo scorso abbiamo familiarizzato con il tempo della speculazione fondiaria ed edilizia che, sulla falsariga dei Piani regolatori e dell’urbanistica contrattata, ci ha fatto dono di spazi urbani informi e socialmente inospitali. Abbiamo accolto dogmaticamente questi spazi asettici, espressione dell’intellighentia nazionale, soprattutto perché potevamo fare affidamento sul centro storico e sulla sua capacità di favorire gli incontri e gli scambi sociali e culturali, espressione di quell’identità cittadina e di quell’ultrasecolare tradizione culturale, che in gran parte si manifestava tra il teatro e l’auditorio, tra i piloni dei portici e le panchine della villa comunale. In ricordo di Platone, possiamo definire questo come il tempo vissuto nello spazio della grotta, in cui abbiamo equivocato, scambiato come unica realtà stabile tutto quanto era presente all’interno delle mura. Una realtà che è venuta meno quando, sopraggiunto il tempo dell’esilio – preannunciato dal boato del sisma – ci siamo sentiti scaraventati in uno spazio estraneo, indefinito, direi siderale, lontano dalle nostre pratiche, indifferente alle nostre consuetudini. Relegati entro capsule vaganti, formiche impazzite tra una rotatoria e l’altra, abbiamo intrapreso il lungo vagabondaggio negli infiniti spazi del territorio comunale e regionale. Ebrei senza patria, senza mura protettive e porte di accesso, siamo stati assaliti da ansie nascoste, rivelatrici di antiche ombre venute finalmente alla luce. Con determinazione abbiamo continuato a partecipare ai riti in difesa e a sostegno della nostra socialità urbana stressata: ora raccolti nello spazio del tendone di piazza del mercato, ora navigando tra gli universi virtuali di facebook, ora ospitati negli spazi allestiti in occasione di eventi; infine dandoci appuntamento tra i fantasmagorici spazi dei centri commerciali. Recentemente con le abbondanti nevicate è sopraggiunto il tempo della clausura, del ritiro forzato, che ci vede sequestrati nelle anguste capsule delle nostre stanzette. Allo sbigottimento proveniente da uno spazio estraneo e indefinito, è sopraggiunta l’inquietudine generata da uno spazio contratto dall’intrusione della neve e a cui seguiranno, probabilmente, conseguenze idrogeologiche connesse al disgelo. Il cittadino aquilano, oggi è spettatore di una variegata casistica di spazi instabili! Esperiti con orgoglio o rammarico, nell’approvazione o nella disapprovazione, questi spazi non sono espressione dei suoi desideri, dei suoi progetti, ma di una condizione subita. E il centro storico? Come ha vissuto le sue stagioni dopo il sisma? In un primo tempo di enfasi è stato oggetto di attrazione, di celebrazione mediatica, di spettacolo; poi su di lui è calato il sipario e si è fatto buio pesto. E’ comprensibile! Ad una società distratta e itinerante come la nostra, un accadimento inconsueto suscita sempre l’interesse di personaggi famosi, di un pubblico richiamato a curiosare fra i palcoscenici in cui si sono consumati eventi drammatici, tragici: un terremoto, un delitto passionale, l’affondamento di una casa galleggiante, fino a ieri luogo di svago e di delizie. Altro che ”uomo senza ambiente”! Solo che l’ambiente da cui l’uomo oggi si sente più attratto, che prende in considerazione, è quello in cui avvengono eventi eccezionali, quello che fa spettacolo! Tuttavia “se – come qualcuno recentemente ha lucidamente rilevato – de L’Aquila si parla solo per l’eccezionalità di certi eventi e non di paradigma della situazione generale, non si capisce come possa cambiare molto il corso delle cose che, purtroppo, succedono ovunque. La questione urbanistica aquilana non è tipica di questo territorio, ma deriva dalla diffusa cultura (o subcultura) della rendita che, purtroppo, pare essere diffusa in tutto il paese. Tanto della rendita immobiliare e fondiaria, quanto di quella finanziaria. Un “paese” ostaggio della rendita non potrà mai essere attrattore d’innovazione e di nuove idee”. Perdurando questo quadro generale, qualunque spazio ricostruito o rigenerato sarà sempre il luogo della frustrazione dell’uomo e della sua esigenza di animale sociale, pensante, capace di progettare e gestire il proprio habitat vitale.

Giancarlo De Amicis

Una risposta a “L’uomo senza ambiente e dentro infiniti spazi”

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