Sentenza storica quella emessa dal Tribunale di Torino che ha riconosciuto colpevoli, non di negligenza o ignoranza, ma di non aver fatto nulla per fermare una strage annunciata e che conoscevano, i vertici dell’Eternit , comminando una pena di 16 anni ed un risarcimento da 100 milioni.
Dopo due anni di processo e sessantasei udienze, il presidente Casalbore scrive in sentenza che i due padroni della fabbrica di amianto, Jean Louis Marie Ghislain De Marchienne De Cartier, belga novantunenne e Stephan Ernst Schmidheiny, svizzero di 64 anni, sono colpevoli di disastro doloso e omissione di cautele e dovranno risarcire una montagna di denaro ai parenti delle vittime.
Secondo i giudici che hanno firmato la prima sentenza che riconosce un disastro ambientale, i due proprietari sono consapevoli del fatto che la lavorazione industriale dei quattro stabilimenti italiani – Casale, Cavagnolo, Rubiera in Emilia e Bagnoli – si poteva trasformare in una bomba ecologica dai potenziali effetti disastrosi non solo durante i periodi di attività delle fabbriche, ma anche nei decenni successivi, specie per Casale, mentre invece gli episodi relativi a Rubiera e Bagnoli (altre 470 vittime) sono stati prescritti.
Una montagna di morti, milleottocentotrenta nell’arco di quarant’anni, senza contare quelli che continuano a morire, a ritmo di una cinquantina l’anno.
La causa sta nelle fibre di asbesto, che proviocano malattie respiratorie e cancro pleurico (il terribile mesotelioma) e polmonare, a distanza di molto tempo dall’inizio dell’esposizione, dopo un periodo di latenza che dura 20 anni o più. E questo spiega perché gli effetti delle esposizioni avvenute nel passato si manifestino ancora oggi.
Nel Regno Unito circa 3000 persone muoiono ogni anno, con il 25% che risulta aver lavorato in passato nell’edilizia o nel campo della manutenzione di edifici.
In Svezia le morti dovute agli effetti ritardati dell’esposizione all’amianto superano il numero totale dei decessi causati da incidenti mortali sul lavoro.
Attualmente in Italia lavorano l’amianto esclusivamente gli addetti agli interventi di bonifica, i quali sono esposti a concentrazioni anche molto elevate dal cui effetto nocivo si salvaguardano con sistemi di protezione individuali particolarmente restrittivi.
Il problema più attuale è invece quanto possano influire sulla salute pubblica le esposizioni a livelli estremamente bassi che si verificano per la presenza dell’amianto in edifici, mezzi di trasporto, e in generale nell’ambiente di vita. Infatti, mentre per gli effetti non cancerogeni dell’amianto come nell’asbestosi, è possibile stabilire una soglia di esposizione, al di sotto della quale non vi è rischio di contrarre la malattia, allo stadio attuale delle nostre conoscenze non è possibile stabilire un limite altrettanto sicuro per il rischio di tumori.
Questo non significa però che il rischio cancerogeno sia lo stesso per qualsiasi livello di esposizione.
L’Eternit è un marchio di fibrocemento a base amianto, non più in commercio dal 1994, nonché il nome della ditta che lo produceva.
E’ stato brevettato dall’austriaco Ludwig Hatschek nel 1901 ed è stato ribattezzato con il nome Eternit (dal latino aeternitas, eternità) per l’elevata resistenza.
Nel 1902 il commerciante Alois Steinmann ne acquistò la licenza per la produzione che si iniziò nel 1903, a Niederurnen, con la Schweizerische Eternitwerke AG.
Già nei primi anni 60 era noto in tutto il mondo che la polvere di amianto, generata dall’usura dei tetti, provocasse una grave forma di cancro, il mesotelioma pleurico, oltre che asbestosi, malattia polmonare cronica dovuta all’inalazione di fibre di amianto. Nonostante questo si continuò a produrre oggetti in eternit fino al 1986. E solo dal 1992 è vietata in Italia l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione.
Silvana Mossano, casalese di nascita, in “Malapolvere”, libro che è diventato anche spettacolo teatrale con la bravissima Laura Curino, racconta l’omicidio di una città e di un territorio, riscattati, almeno in parte, dalla sentenza di ieri, che però, come ha sottolineato NIchi Vendola, non deve far dimenticare che, nonostante una legge che ne vieta uso e produzione, nel nostro Paese se ne stimino più di trenta tonnellate ancora da bonificare, una parte ravvisata anche a l’Aquila, fra le macerie del terremoto.
A partire dal 1994 il fibrocemento ha continuato ad essere prodotto, senza però utilizzare l’amianto come materiale di rinforzo.
Al posto dell’amianto vengono usate fibre organiche, naturali e sintetiche. Il materiale è stato ribattezzato in Italia come “fibrocemento ecologico”: mantiene le caratteristiche di resistenza originali, ma non è cancerogeno né nella produzione, né nell’utilizzo, né nello smaltimento.
Credo, come Bonelli dei Verdi, che la sentenza di ieri non solo è molto importante di per sé, ma deve indure i politici a riflettere sulla stringente necessità di avviare un processo di conversione ecologica di cicli industriali inquinanti.
Il pm Raffaele Guariniello, al termine della lettura della sentenza Eternit, durata tre ore, era visibilmente soddisfatto e pronto a partire con una seconda trance, relativa alle morti dal 2008 ad oggi.
Inoltre, sempre dopo la sentenza di ieri, è l’incidente probatorio sull’Iva di Taranto, al centro dell’interesse nazionale, ora.
Infatti, fra pochi giorni, il 17 febbraio, nella città pugliese si aprirà il confronto fra la magistratura, i periti e le parti e si avvierà la discussione della maxiperizia, che fa il punto sull’inquinamento da diossina e sull’Ilva, individuando in quest’ultima una fonte significativa e determinante, anche per quanto riguarda altre sostanze cancerogene emesse.
Da ieri è anche ripresa i la lotta degli ex lavoratori dell’Ilva, con una decina di loro che ha montato una tenda sul cavalcavia che porta all’ingresso della direzione della fabbrica, chiedendo, come accadde nel dicembre del 2010, la riassunzione all’interno dello stabilimento siderurgico dei dipendenti con almeno 24 mesi di lavoro e premesse per un binario preferenziale dentro il quale far scorrere le assunzioni dei lavoratori interinali con meno di 24 mesi.
Allora l’accordo si trovò, fra Fabio Riva, vice presidente del Gruppo e il governatore della Regione Puglia Nichci Vendola. Ma ora le cose sono enormemente più complesse.
L’Ilva è una società per azioni del Gruppo Riva, che si occupa prevalentemente della produzione e trasformazione dell’acciaio. Nata nel 1905, poi chiamata Italsider, ripesa la sua denominazione nel 1988 quando Italsider e Finsider furono messi in liquidazione e scomparvero. La “nuova” Ilva fu smembrata alla vigilia del processo di privatizzazione; già ceduto l’impianto di Cornigliano e chiuso quello di Bagnoli, l’acciaieria di Piombino fu venduta al gruppo bresciano Lucchini, mentre l’attività più significativa, il grande polo siderurgico di Taranto, passò nel 1995 al Gruppo Riva.
Il Gruppo è al centro di un vasto dibattito per il suo impatto ambientale sia a Taranto sia a Genova e le sue emissioni sono state oggetto di diversi processi penali per inquinamento che si sono conclusi in alcuni casi e gradi di giudizio con la condanna di Emilio Riva e di altri dirigenti.
Dalle recenti misurazioni sembra dimostrato che il 92% della diossina emessa dalle industrie italiane proviene dall’Ilva di Taranto; mentre dal Registro dei Tumori salentino, emerge un aumento del 30% dei tumori a Taranto rispetto alla media regionale.
Ma il problema dell’Ilva no è solo un problema ecologico e territoriale, ma economico, poiché nello stabilimento di Taranto sono occupate circa 13 mila persone più altre parecchie migliaia come indotto.
Carlo Di Stanislao
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