Parco del Castello nell’ottica del progettista e dell’amministratore riflessivi

Gli esseri umani, visti nella veste di società civile, non sono soltanto produttori di beni e di profitti, o semplicemente consumatori. Sono anche creature che vogliono stare con gli altri, che agognano forme svariate di coesistenza e cooperazione, che vogliono influenzare ciò che accade intorno a loro (nella loro città) ed essere apprezzate per ciò […]

Gli esseri umani, visti nella veste di società civile, non sono soltanto produttori di beni e di profitti, o semplicemente consumatori. Sono anche creature che vogliono stare con gli altri, che agognano forme svariate di coesistenza e cooperazione, che vogliono influenzare ciò che accade intorno a loro (nella loro città) ed essere apprezzate per ciò che danno al loro ambiente. Secondo Vaclav Havel (primo presidente della repubblica Ceca postcomunista) questa potrebbe essere addirittura la loro qualità più profondamente autentica. “La società civile infatti è uno dei mezzi fondamentali che mettono la natura umana in grado di dispiegare tutte le sue potenzialità. I nemici della società civile lo sanno ed è questa la molla che li spinge ad avversarla”. Ma dopo il 6 aprile del 2009, è ancora possibile per la società civile aquilana parlare di dispiegamento di tali attributi? Dall’osservatorio di facebook apprendiamo che molti cittadini di l’Aquila oggi si chiedono cosa stia accadendo lungo il viale d’accesso al Castello cinquecentesco. Il 6 febbraio scorso sono stati consegnati i lavori per la realizzazione di un auditorium provvisorio all’interno del Parco del Castello, opera dell’architetto Renzo Piano. La Provincia autonoma di Trento – che ha fatto dono del progetto e della sua realizzazione – annuncia che fra sei mesi la struttura sarà completata e donata alla società civile aquilana. Non si sa se tale struttura conserverà il suo carattere temporaneo o de sarà definitiva. In ogni caso trattasi di un’opera che, seppure di rilevante interesse per l’Aquila, si inserisce in uno dei contesti ambientali più prestigiosi della città, dall’alto valore simbolico, senza che sia stato predisposto un masterplan che ne verificasse l’impatto con il castello ed il contesto del parco. Ci si chiede: “Quanto tempo resterà in piedi l’auditorium? Quanto tempo ci vorrà ancora perché possano essere riparate le sedi storiche della cultura e quante altre sedi temporanee dovranno essere realizzate ancora senza che la società civile, fruitrice di tali strutture, possa partecipare alle scelte? Questione di trasparenza amministrativa o altro? E mentre la città si interroga, cerca di capire, la politica fa orecchie da mercanti. Intenta ad elaborare strategie per le prossime elezioni, la macchina amministrativa vede i cittadini solo nella loro veste di elettori-consumatori, sottovalutando quella, non meno importante di persone che vogliono influenzare ciò che accade nella loro città ed essere apprezzate per ciò che danno al loro ambiente. Sempre dall’osservatorio di facebook si apprende: “Sembra che la localizzazione l’abbia scelta direttamente l’archistar Renzo Piano. Sarà pure il migliore del mondo ma non è certo cittadino dell’Aquila. Visto che le nostre autorità non riescono a dire no alle scelte che vengono calate dall’alto, ci vorrebbe almeno un referendum o qualcosa del genere! ”. Il quadro che in questi giorni si rappresenta a l’Aquila, ad un balzo dalle elezioni è dunque il seguente: da una parte un’amministrazione disattenta all’ascolto, dall’altra una società civile non disposta a sorbire piatti già pronti. Ma la disattenzione riguarda solo l’amministrazione? E il progettista, ne è forse escluso? “Riflessività – scrive Giandomenico Amendola – è per il progettista pensare se stesso non più come creatore forte e solitario, ma come attore in un poligono di forze in cui entrano con un ruolo ancora indefinito, ma non per questo meno decisivo, i destinatari della sua azione. L’ideologia dell’onnipotenza progettuale entra in crisi e cede il passo alla strategia dell’ascolto e a quella del coinvolgimento preventivo degli abitanti. Un atteggiamento più modesto ma certamente più efficace per evitare errori”. Il progettista deve cominciare a rendersi conto perciò che non basta progettare; è anche necessario vedere come funziona il progetto una volta che, entrato nel mondo reale, è vissuto dalla gente. Parafrasando la famosa poesia di Brecht contro la guerra, si può dire che l’architettura ha un problema, ha bisogno dell’abitante che – proseguendo con Brecht – ha un difetto: può pensare. La gente, i suoi comportamenti e la sua cultura non possono più essere assunti come scontati. La immodestia che gli esiti del progetto realizzato collimino sempre e meccanicamente ai propositi dell’architetto si manifesta sempre più spesso immotivata. In un’opera architettonica le qualità richieste – non essendo solo prestazionali, ma anche e soprattutto, simboliche, identitarie, come nel caso del castello cinquecentesco dell’Aquila e del suo Parco – necessitano dell’ascolto della società civile. L’assenza di riflessività dell’architetto e del governo della città, oggi, più che mai si configurano come un errore inammissibile, soprattutto se vagliata alla luce della acquisizione del consenso, in un periodo prossimo alle consultazioni popolari.

Giancarlo De Amicis

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