L’11 marzo 2011 una forte scossa di terremoto di magnitudo 9 colpì il Giappone provocando uno tsunami che causò 15.800 morti nelle prefetture Iwate, Miyagi e Fukushima e danneggiò la centrale nucleare Daiichi innescando uno dei più gravi incidenti nucleari del 21° secolo. A un anno dal disastro i dispersi sono ancora 3,300, migliaia di famiglie che non perdono la speranza di ritrovare i loro cari.
Greenpeace continua il monitoraggio dei livelli di radiazione, “Abbiamo riscontrato che la radioattività si sta concentrando in numerosi “hot spot” della città e questo genera seri rischi per la salute e per la sicurezza delle persone”, ha detto Jan Van de Putte, esperto di radiazioni di Greenpeace International, “purtroppo queste zone sono spesso in aree densamente popolate e, mentre il lavoro di decontaminazione viene condotto a macchia di leopardo, gli abitanti ricevono pochi e inadeguati aiuti per spostarsi in zone meno a rischio”.
Secondo Van de Putte, poiché i livelli di radioattività non sono diminuiti in modo significativo, “dimostra che c’è un problema persistente e che le autorità lo stanno affrontando in modo fallimentare”.
A un anno dal sisma, nel Giappone si sono tenute numerose cerimonie per ricordare quel drammatico giorno che costò la vita a 15.854 persone. Numerose manifestazioni contro l’atomo si sono tenute in molte località e città del Giappone, a partire da Koriyama e Fukushima, entrambe nella prefettura a piu’ rischio contaminazione. Il governo sostiene che la centrale di Fukushima è stabile e che le radiazioni siano scese in modo significativo
Lascia un commento