“Tutta la nostra scienza, in confronto con la realtà, è primitiva e infantile, e tuttavia è la cosa più preziosa che abbiamo”(Albert Einstein). «Save Space Shuttle Program». Potrebbe essere la morale della spettacolare favola cinematografica Avatar di James Cameron, se si ponesse finalmente mano, sul piano politico e giuridico, alla liberalizzazione totale delle imprese spaziali private sulla Terra. Un tema assai caro agli scienziati ma ancora ignoto ai banchieri, ai politici, ai leader delle principali multinazionali dell’energia e delle materie prime. Certo è che, alla luce della nuova “era” per la Nasa, inaugurata e sottoscritta dal Presidente degli Stati Uniti, Barack Hussein Obama, dopo il voto del Congresso, non lasceremo più l’orbita terrestre per chissà quanti altri decenni. E parliamo delle missioni umane nello spazio esterno. Gli analisi scientifici più autorevoli e gli ex astronauti superstiti dei gloriosi programmi Mercury, Gemini, Apollo e Shuttle, lo hanno chiaramente espresso e sottoscritto. La cancellazione del Programma Constellation ideato nel 2004 dall’ex inquilino della Casa Bianca G.W. Bush (finalizzato alla riedizione del Programma Apollo di conquista, stavolta permanente, della Luna) avrebbe potuto rivelarsi un’autentica “benedizione” con annessa cornucopia di progetti spaziali per le imprese private del pianeta. Italia, compresa. Ma l’input politico americano non c’è stato. Certamente la Nasa non rinuncia allo spazio con le sue sonde automatiche entro precisi limiti di bilancio. Ma la vera manna per i turisti e le imprese che tra alcune settimane non dovranno più accontentarsi dei documentari e dei filmati della Stazione Spaziale Internazionale, discenderà letteralmente da progetti privati. Come la capsula Dragon della società SpaceX, sulla rampa di lancio di Cape Canaveral per il suo volo inaugurale (http://spaceflightnow.com/; www.space.com) del 30 aprile 2012 (ore italiane 18:22). Costruire nuovi shuttle ed autentiche astronavi interstellari con motori rivoluzionari, non è più fantascienza. Perché la verità scientifica e tecnologica del volo interstellare, ignota ai più, si nasconde nei dettagli segretamente tenuti nascosti al grande pubblico. Il mercato delle astronavi commerciali sostituirà prima o poi quello delle automobili. Gli analisti ne sono certi. Il ruolo dei media è fondamentale. Cento delle 1.300 tecnologie documentate e sviluppate dalla Nasa, derivano dal programma Shuttle, tra cui: cuore artificiale, isolanti termici, diagnostica medica istantanea, gas detector, analisi del sangue in 30 secondi, sensori, camera infrarossa, “land mine removal device”, protesica.C’è davvero bisogno di ritornare sulla Luna per costruire un’astronave in grado di viaggiare fino ai vicini sistemi solari ricchi di preziose super-Terre, creando così centinaia di milioni di posti di lavoro in tutto il mondo? Qual è la vera strategia della Casa Bianca? Svuotare l’obsoleto Programma Constellation per alimentare il più grande sogno dell’umanità? Spingere la Nasa a concentrarsi su progetti legati alle scienze della Terra e del Sistema Solare (vedi produzione di plutonio-238 per le batterie nucleari delle sonde interplanetarie destinate all’esplorazione dei nostri estremi confini) per invogliare le multinazionali a compiere il più grande balzo dell’umanità, come sembrano suggerire gli stratosferici shuttle e l’Interstellar Venture Star del kolossal Avatar? Pare di sì, visto che simili velivoli potrebbero già esistere sulla carta. Il Programma Constellation di Bush già prevedeva entro il 2011 la chiusura di un’epoca storica per l’accesso pubblico di un velivolo all’orbita terrestre. Lo Space Shuttle della Nasa era ufficialmente l’unica navetta degli Stati Uniti d’America, fino a pochi mesi fa in attività verso la Stazione Spaziale Internazionale: dotata di ali, sapeva atterrare come un aliante con la sua proverbiale adattabilità e riutilizzabilità. Tutto questo ora è stato consegnato alla storia ed ai musei, lasciando un significativo vuoto per diversi anni. La flotta degli shuttle è stata messa in congedo dopo 31 anni di onorato servizio. Che cosa accadrà? Nessuno lo sa con precisione. Oggi gli astronauti volano sulla Iss grazie alle capsule russe. Ma né il report della Commissione Augustine (www.nasa.gov/pdf/396093main_HSF_Cmte_FinalReport.pdf) sul futuro del programma spaziale americano né il programma del Presidente Obama, hanno ben chiaro il futuro della presenza umana nello spazio. Certamente leggendo sotto le righe, esistono documenti che parlano chiaramente a chi ha occhi e orecchi capaci di intendere, ascoltare e osservare al di là delle divisioni politiche tra Democratici e Repubblicani. Già il report in questione poneva limiti stringenti operativi al Presidente Obama. Devono essere i privati a inventare nuovi space shuttle e più affidabili astronavi. I soldi pubblici, non solo negli Usa, scarseggiano. La Nasa creata durante la Guerra Fredda per mandare l’uomo sulla Luna in funzione anti-sovietica, è in crisi finanziaria: non può più garantire la conquista umana dello spazio esterno e, in definitiva, dei sistemi solari più vicini. Comunque non più di quanto si fosse favoleggiato fino a qualche anno fa sull’onda di Star Trek e Space Rangers. Per cui la vecchia epoca della Nasa è finita già da un pezzo, ben prima del 1998, anno dell’inizio dei lavori per la realizzazione della Stazione Spaziale Internazionale. Le nuove capsule a perdere Orion (disponibili tra alcuni anni) dovevano essere il necessario passaggio obbligato verso una nuova generazione di vettori e navette spaziali. Ma il Programma Constellation è stato cancellato. Per cui le imprese private di tutto il mondo avrebbero già ora carta bianca per colmare questo vuoto e così fare la differenza nel volo orbitale. Il problema degli obsoleti shuttle della Nasa era l’insicurezza della protezione anti-termica: la nuova navetta (magari a decollo orizzontale) dovrebbe offrire una soluzione sicura a questo grave inconveniente, con uno scudo magnetico di particelle di nuova concezione. Se anche il 10% dei dubbi espressi dall’astronauta Buzz Aldrin fossero fondati, non credo che il futuro dell’impresa spaziale umana dipenderà molto dal modo in cui Obama e gli altri presidenti affronteranno la “nuova” visione impartita qualche anno fa da Bush. Il futuro e il presente del volo umano nel Sistema Solare ed oltre, dipende esclusivamente dai privati: consorzi, laboratori, università, botteghe, multinazionali e singoli Leonardo che dovrebbero vedere riconosciuto e garantito il diritto all’esplorazione dello spazio esterno e alle risorse infinite che ci sono là fuori. Se ci si limiterà alla Stazione spaziale orbitale Iss, agli esperimenti burocratici pubblici senza soluzione di continuità ed a voli orbitanti di capsule a perdere, avrebbero ragione coloro, come Aldrin, che continuano a sostenere la necessità e l’urgenza di fare marcia indietro per potenziare il programma Shuttle della Nasa, a patto di risolvere subito il problema della protezione anti-termica. Il fatto è che deve essere la Politica ad indicare la via, cioè a puntare decisamente oltre l’orbita terrestre e lunare, verso i più ambiziosi ed arditi obiettivi dello spazio profondo, oltre Marte e Nettuno. Le ricadute tecnologiche e scientifiche per risolvere le gravi emergenze planetarie, sarebbero incalcolabili. Eviteremo, in primis, un nuovo conflitto mondiale tra stati e nazioni, poiché in nome della pace mondiale necessaria per realizzare questo nuovo sogno, saremo coesi e non più divisi. I faraoni costruirono le piramidi per tenere unito il loro impero. Il tempo ne ha sempre avuto paura. Gli shuttle e Isv, sul modello di quelli proposti dall’esploratore e regista James Cameron, potrebbero essere le nostre ali nello spazio, nella misura in cui la Politica dei Migliori riuscirà a proporre una Space Vision planetaria per salvare la Terra. In Italia le politiche spaziali “autonome” dei privati rispetto ai Paesi dell’Unione Europea, sono oggi pura fantapolitica! Legami e lacci rendono praticamente impossibile alle nostre imprese di lavorare come dovrebbero, liberamente. E sappiamo il perché. La decisione da assumere subito sarebbe quella di offrire carta bianca ai privati per affrontare subito il vero nodo della questione: lo sviluppo di una propulsione innovativa che consenta ai nuovi shuttle di sganciarsi letteralmente dai vincoli politici e militari cui sono soggetti da oltre 30 anni. Che siano i privati ad accollarsi il rischio e ad assumersi i profitti dell’esplorazione umana dello spazio esterno: è questo il sogno di tutti i cittadini liberi che credono nella libertà dell’impresa. Il rischio di innovare, principalmente, comporta proprio questo. La Nasa, per non passare definitivamente alla storia ed ai musei, ha già indetto una gara internazionale per offrire un numero di missioni garantite alle imprese private che si qualificano con la realizzazione di navette di nuova generazione. Il primo premio vale 50 milioni di dollari. Aziende israeliane e italiane, possono fare la differenza nel mondo con progetti di internazionalizzazione. Verso Israele nel prossimo futuro sono previsti importanti investimenti sia nella ricerca sia nella produzione. Per creare un rapporto sinergico tra aziende italiane, israeliane e istituti di ricerca e sviluppo, ed aprire la strada a progetti di collaborazione tra i soggetti interessati, gli analisti indicano la necessità di finanziare aziende caratterizzate da un forte potenziale di internazionalizzazione e da una spiccata capacità di sviluppo di progetti innovativi integrati (hardware, software) riguardanti la gestione dell’Information Technology e l’implementazione di sistemi che ottimizzino lo sfruttamento delle fonti energetiche alternative e rinnovabili, come la fotonica e la fusione nucleare a bassa energia. La collaborazione tra le aziende italiane e israeliane del settore hi-tech sta diventando un naturale complemento nel passaggio dalla fase di ricerca e brevetto a quella di realizzazione e commercializzazione dei prodotti finiti. L’Italia è vista come un valido partner nella fase di industrializzazione dei prodotti grazie all’estensione del suo sistema industriale e contestualmente è cresciuta la consapevolezza del rilievo assunto dall’high-tech israeliano a livello mondiale. Settore che beneficia da molti anni della cooperazione di aziende straniere ad ogni livello. Un rapporto in cui Israele fornisce la tecnologia o il prodotto finito e le aziende estere provvedono alla gestione delle vendite e alle strategie di marketing e posizionamento del prodotto sul mercato. L’industria è in continua ascesa e il potenziale di crescita nell’ultimo periodo è aumentato nonostante la crisi economica mondiale, che ha influito in modo marginale nel campo dell’hi-tech. Un fattore importante nel tasso eccezionale di crescita di questo settore, è costituito dalla percentuale di ingegneri, la più alta del mondo. Si parla di 135 ingegneri ogni 10 mila persone, in confronto agli 85 ogni 10mila negli Stati Uniti. Israele è sulla buona strada per vantare l’hi-tech più avanzato in termini di conoscenza, ricerca e sviluppo. Un’industria che potrà guidare sia lo Stato d’Israele sia i Paesi che collaborano con esso, oltre la crisi, verso sviluppi e prospettive economiche più favorevoli. Gli Usa, gli Stati Uniti d’Europa, l’Esa e la Nasa potrebbero essere d’accordo, per lo sviluppo commerciale dell’iniziativa. Tutti sanno che lo shuttle venne fatto male perché doveva accontentare sia i militari sia i civili. Le ali (i militari e l’aviazione volevano poterlo lanciare dalle loro basi in orbita polare, ma lo hanno mai fatto?) sono un potente messaggio simbolico e pratico: l’uomo può volare nello spazio! Ricordate il visionario film “L’aereo più pazzo del mondo…ancora più pazzo”? Si pensava di potere utilizzare lo shuttle come traghetto commerciale fino alla Luna. Alcuni ci credevano a tal punto da immaginarlo in navigazione turistica fin su Marte, la vera sfida tecnologica del XXI Secolo. Il progetto del 1981 doveva essere solo il primo stadio verso una generazione di shuttle (come accaduto per i computer della Apple, la più grande azienda al mondo) che avrebbero dovuto essere sostituiti da nuove navette più avanzate. Ci provarono i Russi, con la fotocopia “Buran”, ma non servì a nulla. Ormai la competizione era finita. Non solo non se ne è fatto più nulla, ma data la scarsità di fondi per le missioni pubbliche, i costi dei singoli voli shuttle erano lievitati a cifre esorbitanti. Praticamente andavano smontati ogni volta e ricostruiti. Come se per far decollare ogni volta un aereo da Fiumicino, con il suo carico di passeggeri, si dovesse ogni volta ricostruirlo daccapo! Ovvio che il costo del biglietto sarebbe stato astronomico per tutti. Perché non se n’è fatto nulla della nuova generazione di shuttle? Colpa della politica e dell’economia mondiali. I politici se ne sono disinteressati perché non portava più voti e spostare i siti di produzione e manutenzione avrebbe fatto perdere consensi. I privati non si sarebbero disinteressati al progetto, visti i profitti, e non sarebbero stati legati alle pressioni elettorali come i politici, ma occorreva creare il giusto humus commerciale e culturale. Questo in America. Perché nel vecchio continente dobbiamo prima fondare gli Stati Uniti d’Europa, sconfiggendo le mafie, l’arrogante politica del gossip, dell’inciucio, della s-meritocrazia, della raccomandazione e del “cazzeggio” territoriali, prima di aprire le porte agli Affari spaziali. Quindi, l’unico modo di avere voli spaziali a basso costo, è di farli fare ai privati. Così come si è fatto con il volo atmosferico, i viaggi per nave e in teleferica. Altrimenti si finisce come le navi dei cinesi che, non più interessati, le bruciarono. Impariamo dai portoghesi che, interessati ai commerci, continuarono a potenziare una flotta e un impero. Ci interessa davvero creare milioni di posti di lavoro per vincere la più spaventosa crisi economica mondiale che si ricordi a memoria d’Uomo, senza una nuova guerra mondiale creata a puntino dai poteri oscuri? Profetiche sono le parole di Buzz Aldrin pubblicate sul giornale Huffingtonpost. “Immaginate questo scenario: siete un turista proveniente da una vacanza speciale. O forse siete un ricercatore capo che ritorna a casa da un incarico in un laboratorio nazionale. Ma invece di un dolce atterraggio in un aeroporto, vi immergete nelle acque fredde dell’Oceano Atlantico, vi dondolate come un tappo di sughero in mezzo alle onde, su e giù. Invece di una piacevole passeggiata all’aeroporto, bisogna aspettare di essere ripescati dalla Marina degli Stati Uniti”. Suona seducente? “Questo sarà il solo modo che avranno gli americani di tornare sulla Stazione Spaziale Internazionale, perché le capsule spaziali — molto simili alla piccola Gemini 12 e all’Apollo 11 dove io e i miei colleghi abbiamo volato oltre quarant’anni fa — sono state ritenute la giusta sostituzione per le imbarcazioni dopo la flotta degli Space Shuttle in pensione”. Capsule spaziali? “Ok, invece di sostituire le navette Shuttle con qualcosa di valido — cosa che potrebbe garantire la leadership spaziale americana — stiamo andando dietro a Cina, India e Russia in una gara per costruire una navicella spaziale limitata e sgraziata che l’America aveva mandato in pensione una generazione fa. E indovinate? Ci vorranno altri anni prima che la capsula Orion della Nasa sia pronta per trasportare astronauti. E costerà ai contribuenti più di cinquanta miliardi di dollari. Washington, non decolliamo…Ci dimentichiamo che oggi il sistema Shuttle è il più avanzato di ogni altro esistente. Gli europei hanno Hermes. I russi Buran. Il Giappone sta progettando il piano spaziale Speranza. La Germania aveva un design davvero radicale che prende il nome dal pioniere dello spazio Eugen Sanger. Ma purtroppo ciò che tutti hanno scoperto è che un veicolo dotato di ali per il rientro è un progetto complesso, il cui sviluppo richiede un sacco di denaro e pazienza. Così solo l’America avrebbe avuto delle ‘ali’ nello spazio. Le navette Shuttle sono servite per fare molte cose incredibili, tra le quali il salvataggio della stazione spaziale russa Mir, perché l’orbiter poteva portare più acqua, cibo e forniture che una dozzina di navi di fornitura russa Progress. Hanno distribuito satelliti, ecc. ‘Fast forward’ fino ad oggi. Due incidenti Shuttle, combinati con un budget ristretto, hanno costretto la Nasa al pre-pensionamento della flotta. Comprensibile, credo. Ma con una mossa che davvero non ha senso, essi saranno sostituiti da…capsule spaziali. E per risparmiare ancora più soldi, queste ‘palle di cannone’, atterreranno ancora una volta in mare, non sulla terra ferma. Per recuperare le capsule Orion verrà richiesto l’impiego di navi nelle zone di atterraggio”. Con quale costo? “Gran parte delle Orion non saranno riutilizzabili, come lo scudo termico. Sembra che abbiamo deciso di buttare via la nostra esperienza Shuttle e addio “ritorno al futuro”. I nostri partner dello spazio e i concorrenti stanno anche progettando capsule, perché, per loro, le capsule sono un passo avanti. Nessun’altra nazione ha mai avuto la capacità logistica per realizzare un veicolo con ali per il trasporto di carichi, tranne noi. Con l’atterraggio su una pista, ritornando dallo spazio, si hanno molte opportunità di trovare un sito di atterraggio — un aeroporto o un aeroporto militare, per esempio. Quelle capsule, dal momento che non possono atterrare da nessuna parte, devono essere sempre perfettamente allineate al loro luogo di atterraggio previsto. Maltempo? Oh, devo rimanere in cielo un altro giorno. Esperimenti? Possono aspettare! Ma io ho un’idea migliore. Perché non allungare i restanti voli Shuttle per cinque anni o giù di lì. Aprire un concorso per un veicolo commerciale, la logistica per la stazione che include un veicolo in grado di atterrare su una pista, sfruttando un patrimonio accumulato in trent’anni di esperienza sugli shuttle. Eventuali progressi raggiunti nei laboratori a bordo della Stazione Spaziale Internazionale non possono attendere per giorni. Se la Nasa non può farlo, lasciate che gli imprenditori privati lo facciano. Costruire e far volare un’astronave degna di questo nome e degna del patrimonio storico dell’esperienza americana. Tutte queste idee sono parte di quello che ho chiamato la mia Space Vision. Questo è il mio piano globale per il futuro dell’America nello spazio. Dobbiamo pensare a veicoli spaziali che siano degni eredi delle nostre navette Shuttle”. Aldrin può avere ragione. Ma osiamo immaginare di più, alla luce del potenziale culturale dei social network in grado di indirizzare le politiche di stati, governi e imprese. Il nostro umile suggerimento, il classico messaggio in bottiglia lanciato nel vasto oceano della Rete, per chi sarà in grado di raccoglierlo, è questo: consorziarsi per unificare risorse, capacità, imprese e botteghe di tutto il mondo fermamente decise a costruire la prima astronave interstellare. Da Italiani possiamo subito dare una mano alla Nasa: rileviamo dai musei e dai cassetti gli space shuttle e modifichiamoli, integriamoli in un sistema ancora più complesso, facciamoli diventare vere astronavi in grado di viaggiare nel Sistema Solare ed oltre. Abbiamo la tecnologia e i cervelli per farlo. E la Sicilia e la Puglia come ottimi siti di lancio ed atterraggio. Un’opportunità irripetibile per creare subito milioni di posti di lavoro, accanto al nuovo ponte sullo Stretto di Messina ed alla messa in sicurezza del territorio. La sfida culturale nel Nuovo Mondo è stata raccolta dal fisico nucleareStanton Friedman(“BSc e MSc degrees in physics from the University of Chicago”, 1955-56) da decennialla ricerca della verità sugli ET, coinvolto per 14 anni in progetti ad elevato grado di segretezza come aerei nucleari a configurazione esterna (classificati e/o cancellati in attesa di una chiara visione politica per l’esplorazione interstellare), razzi spaziali a fissione nucleare, piccole centrali nucleari portatili. In qualità di fisico della General Electric, General Motors, Westinghouse, TRW System, Aerojet General Nucleonics e McDonnell-Douglas. Affiliato dell’American Nuclear Society, American Physical Society e l’American Institute of Aeronautics and Astronautics, Friedman, apparso due volte alle Nazioni Unite, ha tenuto oltre 700 lezioni in università, college e gruppi professionali di oltre 50 Paesi del mondo. Nel novembre 1968 Friedman lavora al programma di razzo vettore nucleare Nerva presso il Westinghouse Astronuclear Laboratory di Pittsburgh (Pennsylvania) dove viene sperimentato con successo il motore nucleare NRX-A6 di 1.100 megawatts (http://www.youtube.com/watch?v=N15KmQthbKE&feature=share). “Nel 1958 la General Electric Aircraft Nuclear Propulsion con un budget di 100 milioni di dollari – rivela Stanton Friedman – stava cercando di sviluppare il progetto di un aereo a propulsione nucleare. Lavoravano al programma 3.500 persone, delle quali 1.100 erano ingegneri e scienziati. In pratica i jet del velivolo dovevano operare in regime di reazione nucleare controllata. Sfortunatamente non riuscirono a completare il programma prima della definitiva chiusura del progetto nel 1961”. Bisognava, infatti, padroneggiare l’incredibile flusso di particelle prodotto dalle reazioni nucleari dell’uranio, adattare i motori all’avionica di un velivolo opportunamente schermato dalle radiazioni prodotte e farlo volare. Alla fine gli scienziati abbandonarono la reazione nucleare dell’ultradenso uranio abbracciando la causa dell’elemento più leggero e diffuso nell’Universo, l’idrogeno, peso atomico uno. Occorreva però anche l’ossigeno liquido di peso atomico otto. La miscela è esplosiva ma così combinata in tutti i razzi vettori e shuttle che hanno finora volato, si è rivelata la scelta più giusta nei voli orbitali. Friedman ha vissuto l’intera fase progettuale di quegli avveniristici propulsori nucleari resi celebri dalla saga di Flash Gordon e dai nomi in codice più curiosi: Kiwi, Phoebus e NRX. “Diversi sistemi furono testati al Los Alamos National Laboratory nel New Mexico, al Westinghouse Astronuclear Laboratory di Large in Pennsylvania e all’Aerojet General Corporation di Sacramento in California. Tuttavia i sistemi furono concepiti per operare nello spazio e comunque negli stadi superiori dei razzi, non come velivoli di lancio dalla superficie terrestre. La densità di energia in questi propulsori è davvero incredibile”. Potrebbero far più che raddoppiare le capacità di carico da spedire su Marte. “Il reattore nucleare NRX A-6 al quale ho lavorato – rivela Friedman – generava una potenza di 1.100 megawatts con un diametro e una altezza di sei piedi. Il reattore Phoebus 2B era un po’ più grande e generava 4.400 megawatts”. Questi propulsori furono effettivamente testati negli anni Sessanta del XX Secolo, come dimostrano i filmati dell’epoca. “Furono sperimentati al Nuclear Test Site, 75 miglia a ovest di Las Vegas nel Nevada, non molto distante dalla famosa Area 51. Nonostante il successo dei reattori a fissione, i programmi furono cancellati perché essenzialmente ritenuti non convenienti dalla Nasa”. E che dire dei sistemi a propulsione termonucleare, ossia a fusione? Qui lo scetticismo regna sovrano secondo Friedman. Sarebbero i più indicati e realistici per i viaggi nello spazio profondo. Ma “non sono stati ancora sviluppati per produrre energia qui sulla Terra. Un certo numero di ordigni molto potenti è stato testato sotto forma di bombe H, tuttavia nel vuoto cosmico il comportamento dei plasmi ad alta energia è ancora poco chiaro”. Li osserviamo sulle stelle, sul Sole, ma una cosa è studiare la camera di reazione più naturale che ci sia e un’altra è ingabbiare questa energia per dominarla e liberarla in modo controllato. Sulla Terra attualmente è l’Europa a dettare legge con il Progetto Iter ma occorre molta più energia (di quanto se ne produca) per accendere un frammento di Sole in pochi istanti. Il bilancio è ancora negativo.“L’Aerojet General Nucleonics di San Ramon in California – fa notare Friedman – condusse uno studio agli inizi degli anni Sessanta sui sistemi di propulsione a fusione nucleare per l’Aeronautica degli Stati Uniti. Il direttore, dr. John Luce, era a capo del progetto all’Oak Ridge National Laboratory”. Questi sistemi hanno un vantaggio considerevole sui motori a fissione. Per funzionare i reattori a fusione necessitano di elementi più leggeri e non radioattivi come l’idrogeno e l’elio, i primi due elementi della famosa tavola periodica, i più abbondanti in Natura. L’uranio, al contrario, è raro, è più denso. “Naturalmente non sarebbe economico sviluppare un sistema di propulsione a fusione a pieno titolo per il volo nello spazio profondo”. Tutti i programmi spaziali e militari finora concepiti dagli Usa non finanzierebbero l’opera, il cui costo sarebbe esorbitante nell’attuale regime economico. Meglio sarebbe, secondo Friedman, internazionalizzare il progetto del primo volo umano interstellare coinvolgendo tutte le risorse umane, scientifiche e tecnologiche disponibili sulla Terra. Migliore di qualsiasi economia di armi e di guerra, il sistema a propulsione termonucleare giustificherebbe l’impiego di tutte le forze utili del mondo per un progetto in grado di unificare il pianeta e di rivoluzionare l’economia, l’industria, l’esplorazione e la scienza. La fantastica corsa degli “sgusci” e degli incrociatori vista in Star Wars, non è poi così lontana! Precisamente il sistema solare doppio ζ1-ζ2 (Zeta1-Zeta2) Reticuli, distante 39.4 anni-luce dalla Terra, sarebbe raggiungibile secondo Stanton Friedman e la Relatività di Einstein “in 20 mesi al 99.9% della velocità della luce, in appena 6 mesi al 99.99% e non in 78 anni, viaggiando all’interno dell’astronave alla comoda accelerazione di un solo G che è poi sostenibile da chiunque”. Un dettaglio fondamentale ignorato da molti. Che si aggiunge alla nuova visione dell’Universo in cui, da terrestri, giochiamo un ruolo davvero marginale. La nuova interpretazione del Principio antropico forte, l’atto di umiltà intellettuale coniato dall’astrofisico Stephen Hawking nel suo libro Il grande disegno dove esplora la Teoria M dei 10 alla 500esima potenza di universi possibili e immaginabili, sembra confermata come la naturale evoluzione del pensiero. Quando usciamo dal guscio protettivo della Terra che succede? Poiché una delle obiezioni più comuni e francamente irrazionali all’esistenza di altre civiltà molto più avanzate della nostra ed alla possibilità reale del viaggio interstellare, è sempre stata quella di immaginare le leggi della fisica come totalmente acquisite, complete e determinate, è da sciocchi scongiurare qualsiasi ulteriore balzo dell’Umanità verso più alte vette di autocoscienza. La Natura ama sorprenderci. La Natura è flessibile. Si adatta alle circostanze. La vita stessa, fin dalle sue fondamentali strutture di Rna e Dna, si aggrappa a qualsiasi matrice in grado di supportarla, proteggerla e svilupparla. Lo vediamo costantemente nei virus e nei batteri che potrebbero letteralmente piovere dai cieli di miliardi di altri mondi come sulle lune di Saturno! Se il diavolo si nasconde nei dettagli, come recita un antico brocardo, la scienza non può ignorare quelli che la riguardano. L’impossibile allora diventa possibile. Abbiamo superato la velocità del suono senza troppi problemi. Abbiamo rinunciato all’impiego dell’arma termonucleare perché sapevamo che avrebbe bucato l’atmosfera terrestre risucchiando nello spazio tutta la nostra aria vitale. Abbiamo costruito dispositivi portatili piatti, come l’iPad della Apple, che fino a qualche anno fa, prima dell’intuizione del grande Steve Jobs, erano ritenuti semplicemente impossibili, irreali e confinati nel regno di Star Trek. È bastato, però, immaginarli come reali, per realizzarli davvero. Perché, allora, non farlo con le astronavi interstellari piccole e grandi? Il problema non è di natura tecnologica. L’astronomo dr. John Campbell nel 1941 escludeva nel mondo più categorico il viaggio dell’uomo sulla Luna perché l’energia richiesta al lancio, in base alle sue equazioni, era “impossibile” da erogare per far staccare dal suolo “un missile di milioni di tonnellate”! Eppure la Nasa ci riuscì nel 1969 grazie al potente vettore multistadio Saturno 5 di 3mila tonnellate che, alimentato opportunamente, perdeva peso accelerando nella sua corsa verso lo spazio. Campbell si sbagliava. Il suo errore, pari all’incredibile fattore 300 milioni, ebbe come conseguenza il primato tedesco nella missilistica, nonostante gli studi di Robert Goddard. Dunque, da corrette ipotesi di partenza tutto è possibile. Oggi i razzi chimici a perdere sono superati sia da un punto di vista scientifico sia tecnologico. Eppure continuiamo ad usarli perché vanno bene (sono economici) nei voli orbitali. I razzi nucleari furono abbandonati perché altamente tossici nella loro primitiva configurazione: espellevano particelle radioattive. Andavano incredibilmente più veloci ma non sapevamo che farcene. Andare sulla Luna in tre giorni per vincere la sfida con i sovietici, era del tutto sufficiente! Immaginate ora di avere bisogno di più energia per raggiungere velocemente il pianeta Nettuno ed estrarre il metano dalla sua atmosfera. Usereste ancora i razzi chimici a perdere? Una multinazionale no di certo. La tecnologia multistadio non avrebbe più senso. Il metano andrebbe stoccato in enormi cisterne a bordo dell’astronave di proporzioni gigantesche. Alimentata da reattori nucleari, magari a fusione, ionici, fotonici e chissà cos’altro. L’astronomo Campbell, per ragioni ignote, commise l’errore di pensare all’ammontare di carburante necessario per andare sulla Luna, senza valutare attentamente e correttamente le leggi della meccanica celeste. Per raggiungere la Luna si può accelerare fino a punto ben preciso tra i due corpi celesti per poi lasciarsi attrarre dalla gravità lunare con l’immissione in orbita. L’accelerazione di un solo G pari a 9.8 metri al secondo ogni secondo (21 miglia orarie ogni ora) era considerata “impossibile” nello spazio. Eppure sappiamo benissimo che non è assolutamente vero. Miliardi di super-Terre là fuori, un centinaio delle quali gli scienziati dell’Eso calcolano prossime al nostro Sole, potrebbero essere raggiunte facilmente in pochissimi mesi se solo qualcuno decidesse davvero di farlo. Eppure continuiamo ad alimentare imprese spaziali automatiche e burocratiche verso Marte, un pianeta magneticamente morto! Con sonde che percorrono, gravitazionalmente assistite, distanze di diverse centinaia di milioni di chilometri per raggiungere un obiettivo come il Pianeta Rosso non lontano più di una sessantina di milioni di chilometri dalla Terra durante l’Opposizione più favorevole. Gli astronauti delle missioni Apollo furono sottoposti ad accelerazioni di 5G durante il volo sulla Luna. Gli astronauti dell’Apollo 13, durante il fortunoso rientro d’emergenza, anche a forze maggiori. Il razzo di fuga del modulo di comando era testato per accelerazioni di 13G. Chiaramente l’Uomo può resistere a queste forze solo per pochi secondi. Ma la folle tesi di Campbell, secondo cui il razzo avrebbe dovuto fornire tutta l’energia necessaria per raggiungere la Luna e tornare sulla Terra, se l’avesse avuta vinta ci avrebbe tenuti legati per chissà quanti altri secoli. Stanton Friedman ci spiega come andarono poi le cose. Sappiamo che si risparmia un sacco di energia lanciando razzi da regioni vicine all’equatore e nel “senso di marcia” della Terra, cioè verso Est. Ma Campbell incredibilmente non ne tenne conto commettendo uno degli errori più grossolani. Bene, ciò vale anche per il viaggio interstellare. Molte equazioni andranno riscritte daccapo. Innanzitutto abbandoniamo per sempre l’idea della sola assistenza gravitazionale di Giove e del Sole per viaggiare all’interno del Sistema Solare ed oltre, quella per intendersi sfruttata dalle sonde automatiche Pioneer e Voyager, gli oggetti più veloci in circolazione grazie al “cosmic freeloading”. I viaggi spaziali, ovviamente, erano “impossibili” anche per il prof. Alexandre Bickerton, un astronomo neozelandese che nel 1926 dichiarò esplicitamente inconcepibile la messa in orbita di un satellite artificiale attorno alla Terra. Sempre per un problema di energia, sulla falsariga del ben noto astronomo americano, il dr. Simon Newcombe, che nel 1903 sostenne “l’impossibilità fisica e naturale di combinare sostanze, forze e materiali noti, per costruire un velivolo che consenta all’uomo di volare attraverso l’aria per lunghe distanze”. Il primo volo dei fratelli Wright, due mesi più tardi, cassarono le ardite affermazioni del dr. Newcombe e sancirono la definitiva sconfitta dell’incredulità e dell’ignoranza. A testimonianza del fatto che tutto ciò che la Natura consente, è prima o poi possibile su basi scientifiche e tecnologiche. Il viaggio verso le altre stelle, ripropone i dubbi e le considerazioni del secolo scorso. L’esplorazione umana degli altri mondi è la sola molla in grado di far scattare l’industria spaziale globale. Bisogna, infatti, operare come Umanità e non più come Nazioni rivali: la corsa al volo interstellare interessa, in primis, le multinazionali dell’energia, delle materie prime e delle risorse strategiche in regime di pace. Stanton Friedman è chiaro:“bisogna decidere dove andare”. In un raggio di 55 anni luce, tra le oltre duemila stelle, il 5 percento delle quali simili al nostro Sole, esistono migliaia di super-Terre. Molte saranno probabilmente copie esatte della Terra. Quale scegliere? Dipende. Il paleontologo opterà per il regno dei dinosauri. L’antropologo per le altre razze umane più o meno evolute. Il planetologo per un mondo disabitato tutto da esplorare. L’industriale per un mondo ricco di minerali da estrarre. Il religioso per un mondo da civilizzare. Bisognerà in primis osservare gli esopianeti direttamente con potenti telescopi (come il JWST e i probabili Tess e Finess della Nasa), poi mettersi d’accordo e tracciare una rotta (http://www.youtube.com/watch?v=diz4Q3ALi5k). I governi e le agenzie spaziali pubbliche non possono accollarsi direttamente le spese per un investimento secolare, ma possono offrire concessioni alle imprese private spaziali. Alla velocità della luce, potremo raggiungere Giove in 42 minuti, in poco più di cinque ore potremo conquistare Plutone e in poche settimane o giorni potremo piantare la nuova bandiera della Terra su qualche cometa o planetoide di Alpha Centauri (dal punto di vista dei viaggiatori il tempo scorre più lentamente a velocità prossime alla luce: sulla Terra nel frattempo saranno trascorsi 4.3 anni). Molti ignorano come tutto questo potrebbe essere già possibile con le nostre attuali tecnologie. Come e in quanto tempo potremo raggiungere la velocità della luce all’accelerazione di un solo G, quella che tutti sperimentano sulla Terra? La risposta del fisico Stanton Friedman è lapidaria: in un solo anno ma con il motore giusto. Per l’esattezza, interpretando correttamente la Relatività di Einstein, “al 99.99% della velocità della luce, dovremmo essere in grado di coprire la distanza di 37 anni luce di appena sei mesi!”. Fantascienza? Forse. Gli scettici del volo interstellare sono liberi di inorridire. Ma per ragioni che sfuggono all’umana comprensione, i dubbi non hanno fermato le conquiste più ardite. Vorrei inoltre far notare che viaggiare nella nostra Galassia e nei sistemi stellari “vicini” come la Nube di Magellano o la galassia di Andromeda, è anche questione di fede. E lo è al tal punto da indurci a credere all’impossibile per superare il nostro primitivo stadio di sviluppo. Oppure sarà la fine, cioè finiremo per autodistruggerci, annientando ogni forma di vita sulla Terra. Le tecnologie che scaturiscono dalla piena e consapevole padronanza della Relatività di Einstein e della Gravità quantistica, non lasciano molte alternative. Saranno inevitabili da scoprire e inventare. E sappiamo che passando dal livello energetico atomico dei razzi chimici (tanto caro agli scettici) a quello nucleare fino a quello subnucleare e mesonico dei quark, le energie in gioco schizzano a valori incredibili: da un fattore 10mila a diversi miliardi! Dominare queste forze è la regola-chiave per conquistare le altre stelle. Il sistema di Zeta Reticuli, ad esempio, è più antico del Sistema Solare. Dall’emisfero australe della Terra, la distanza che ci separa da quella coppia di stelle molto simili al nostro luminare ma un miliardo di anno più anziane, sarebbe percorribile in poche settimane applicando Einstein. Esistono probabilmente lungo questa rotta altre stelle e pianeti da esplorare. Una missione umana, quindi, in un solo viaggio avrebbe tanti record da incorniciare. Dunque, smettiamola di celebrare la sonda Voyager che, alla sua venerabile età, spinta dalle sole forze gravitazionali ben oltre gli 80mila Km/h e con le batterie nucleari pressoché scariche, dovrebbe raggiungere tra 70mila anni un non meglio precisato sistema solare alieno! Perché sono questi gli argomenti degli scettici del volo interstellare. Meglio sarebbe lanciare un messaggio in bottiglia nell’oceano o nello spazio, per scoprire dove va a finire. Per il volo interstellare non servono i razzi chimici a perdere. L’antimateria (anti-idrogeno) è quella che fa al caso nostro: la totale conversione della materia (idrogeno) in energia è la chiave di volta del volo interstellare. Ma non sappiamo ancora produrla in grosse quantità. La sappiamo immagazzinare al Cern di Ginevra in piccole nuvole di antiatomi ma non sappiamo combinarla esattamente con la materia per ottenere la giusta reazione di annichilazione controllata. Non sarebbe realistica l’idea di utilizzarla nella propulsione a razzo ordinaria: bisognerà inventare un sistema per creare tunnel spaziotemporali. Ci sono poi la fissione e la fusione nucleari. Una propulsione molto meno efficiente dell’annichilazione ma più realistica e controllabile nel breve periodo. I gas di scarico “nucleari” avrebbero una velocità di espansione incredibilmente maggiore (fattore 10 milioni) dei gas “chimici”(fattore 10mila), fornendo una propulsione costante e utile per la colonizzazione umana del Sistema Solare. “Technological progress – fa notare Stanton Friedman – comes from doing things differently in an unpredictable way. Such progress has proven itself to be both speedy and unceasing. The future is not an extrapolation of the past”. Buone nuove giungono dagli scienziati del Politecnico di Losanna e di altri partner europei, che hanno inventato il primo prototipo di un nuovo motore ultra-compatto, in grado di offrire ai piccoli satelliti la possibilità di viaggiare oltre l’orbita terrestre a consumi ridottissimi. MicroThrust, è questo il nome del micro-motore, intende ridurre in maniera significativa il costo delle esplorazioni spaziali grazie all’utilizzo della propulsione ionica. Per coprire una distanza pari a quella Terra-Luna consumando appena un decimo di litro di carburante (http://www.eurekalert.org/multimedia/pub/42163.php?from=208532) il motore è stato progettato per essere montato sui satelliti di piccole dimensioni, 10x10x10 centimetri cubi, dai costi molto contenuti, attorno al mezzo milione di dollari, rispetto alle centinaia di milioni richiesti per i satelliti convenzionali. La propulsione ionica, oltre a essere altamente efficiente, è anche estremamente compatta: il peso del prototipo è di 200 grammi, carburante ed elettronica di controllo inclusi. L’elemento che rende unico questo tipo di motore sta nel fatto che, per funzionare, non ha bisogno di bruciare combustibile. Il liquido “ionico” di cui si avvale, “il composto chimico EMI-BF4”(fonte Inaf), contiene molecole elettricamente cariche: gli ioni. Come quelli del comune sale da cucina, con la differenza che questo composto è liquido anche a temperatura ambiente. Mediante un campo elettrico, gli ioni vengono estratti dal liquido ed espulsi, così da genere la spinta. È esattamente questo il principio alla base del motore ionico: il carburante non si brucia, si espelle. Il primo impiego del prototipo appena realizzato sarà a bordo di CleanSpace One, un nano-satellite per la pulizia dei detriti spaziali. “Al momento i nano-satelliti sono bloccati nelle loro orbite. Il nostro obiettivo è quello di liberarli” – afferma Herbert Shea, coordinatore del progetto europeo MicroThrust e direttore del Microsystems for Space Technologies Laboratory dell’EPFL, la Scuola politecnica federale di Losanna. “Abbiamo calcolato che, per raggiungere l’orbita lunare, un mini-satellite del peso di 1 kg, con il nostro motore, impiegherebbe circa sei mesi, con un consumo di soli 100 millilitri di carburante” – rivela Muriel Richard, scienziato presso il Centro spaziale svizzero dell’EPFL. Una prestazione che, in termini di accelerazione, può lasciare perplessi anche perché, con queste prestazioni, non garantirebbe nel modo più assoluto il volo umano interstellare: in sei mesi di navigazione, il mini-satellite dovrebbe passare dai 24mila km/h iniziali ai 42mila km/h. Vale a dire, da 0 a 100 km/h in 77 ore. Nello spazio, tuttavia, non c’è l’attrito a frenare la corsa e un’accelerazione leggera ma costante può rivelarsi la scelta vincente. Ed è questo il principio fondamentale per raggiungere la velocità della luce a basse accelerazioni. La Teoria speciale della relatività di Einstein ce lo assicura. “Il più grande ostruzionismo allo sviluppo di tecnologie totalmente innovative e straordinarie – rivela Stanton Friedman – è l’attitudine dei negazionisti a focalizzare l’attenzione del pubblico sulla non operatività immediata di questi sistemi che, invece, possono offrire la soluzione a vecchi problemi”. Gli “errori” nella scienza sono del tutto normali quando percorrono le rotte ordinarie nella sfida della conoscenza: è il lavoro sacrosanto degli scienziati. Mettere sempre tutto in discussione “step by step”. Non sono come gli errori di natura politica che il più delle volte vengono perdonati. Famosa fu l’affermazione dell’astronomo britannico, dr. Richard van der Riet Wooley, che nel 1956 definì il volo spaziale “utter bilge”. Ci sono numerosi esempi nella storia dell’Umanità di progressi scientifici e tecnologici letteralmente cancellati, ignorati e finanche perseguitati, nella viva carne di persone che hanno dato tutto in nome della verità e della conoscenza, dall’oscurantismo più assoluto veicolato nella società da false affermazioni dichiarate pubblicamente da sedicenti “dotti” che non erano a conoscenza dei dettagli tecnici di un esperimento, di un programma o di una tecnologia. Succede così che il Leonardo (quando nasce, perché i miliardi di aborti in corso d’opera sulla Terra, gridano giustizia al cospetto di Dio) di turno faccia una brutta fine condannando l’Umanità per sempre. “Sono molti i dr. Campbell, Bickerton e Newcombe – fa notare Friedman – che coprono il mondo con la loro ignoranza, proclamando l’impossibilità del volo interstellare e della soluzione di tanti altri problemi, piuttosto che ammettere la propria incompetenza in una certa materia”. La lezione vale anche per i mezzi di comunicazione di massa che sembrano seguire la corrente della storia, dando il fiato alle solite trombe della disinformazione scientifica e tecnologica, magari per accontentare il politicante arrogante, presuntuoso e ignorante di turno. Tutti possono sbagliare. Ma chi ha problemi ad ammettere la propria incompetenza, non è tagliato per la scienza, l’ingegneria, l’innovazione, il design e la ricerca: il volo interstellare nello spazio profondo non è più un tabù. Il viaggio umano tra le stelle non può essere confuso con il volo aleatorio della sonda Voyager! La stampa ignora i progetti in corso d’opera, i “black budget”, i “black project”, programmi che non saranno resi pubblici sulle riviste scientifiche internazionali se non a “fatto” compiuto. “La fusione nucleare è il motore delle stelle nell’Universo del quale facciamo parte – sottolinea Friedman – per cui non è irragionevole supporre che qualche civiltà leggermente più evoluta della nostra ne stia già facendo uso lì fuori”. Forse occorre aguzzare la vista e l’ingegno. “Potrebbero benissimo esistere tra i vari sistemi solari depositi di carburante, centri di comando e controllo, stazioni spaziali adibite a biblioteche e centri termali, che consentano l’esistenza e lo sviluppo di civiltà avanzate e, magari, il necessario relax ai viaggiatori della Galassia. Potrebbero esistere rotte interstellari preferenziali come per le nostre autostrade”. Chi lo sa? “I fatti, i documenti e le evidenze sul campo dimostrano indubitabilmente che siamo prossimi alla verità: gli alieni non solo sono reali ma sono già tra noi perché visitano la Terra da chissà quanto tempo. E il fatto che la scienza ufficiale si ostini ad affermare il contrario, è parte del loro gioco. I nostri eccezionali progressi tecnologici sono la prova che stiamo per entrare nel loro Club esclusivo”. Se sono pacifici, siano i benvenuti insieme agli scienziati, agli esploratori, agli industriali e agli inventori che, a rischio delle proprie carriere accademiche e professionali, osano arditamente spingersi là dove nessuno è mai giunto prima. La cornucopia di esomondi scoperti è la prova regina del nostro futuro nell’Universo.
Nicola Facciolini
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