È una donna a lasciarsi raccontare. La sua è una storia di figlia, con un padre tanto anziano da passare per lungo tempo come suo nonno, che ha continuato a ripetere “il torto del soldato è la sconfitta” e che è vissuto, dopo la caduta del Terzo Reich, braccato dai suoi potenziali giustizieri, dentro il guscio di una apparente normalità, ricostruita a Vienna.
Alla figlia ha sempre assicurato buone vacanze, d’inverno nel Tirolo, d’estate a Ischia. E a Ischia lei ha imparato a nuotare da un ragazzo sordomuto: per tutta la vita la mano che la teneva sospesa sull’acqua è stato l’unico segno di leggerezza di cui ha fatto esperienza.
Per poter continuare ad essere figlia ha messo un macigno sulla sua femminilità, sulla sua sessualità, sul suo corpo.
Il senso della sconfitta si acuisce quando il padre scopre i libri della Kabbalà e lo studio di quel misterioso scambio delle parti fra numeri e lettere diventa la sua nuova martellante ossessione. E ancora più martellante appare e continua a riapparire il 190, il numero della vendetta.
Questo lo scheletro de “Il torto del soldato”, ultimo romanzo di Erri De Luca, napoletano di 62 anni, che oggi vive in Romagna, autodidatta e poliglotta, narratore incantevole ed incantato, che dice di amare, sopra a tutti, “La montagna incantata” e “Don Chisciotte della Mancia”.
Il suo esordio con “Non ora, non qui”, nel 1989, cui seguono, sempre per Feltrinelli, “Una nuvola come tappeto” (1991), “Aceto, Arcobaleno” (1992), “In alto a sinistra” (1994), “Alzaia” (1997), “Tu, mio” (1998), “Tre cavalli” (1999), “Montedidio” (2003), “Il contrario di uno” (2003). Nel 2004 pubblica “Mestieri all’aria aperta”, “Lettera a Francesca”, “Precipitazioni”, “Conversazioni con Emanuele Trevi” . Lo scorso anno, ancora per Feltrinelli I pesci non chiudono gli occhi sull’incanto dell’infanzia e la scoperta dei libri : strumenti che consentono di spaziare in storie e informazioni capaci di aprire mille grandi finestre sul mondo.
In questo ultimo libro, si avverte quel progresso della fede di cui De Luca parla da qualche tempo, una fede che invade e pervade la ragione, ma resta comunque una sorta di vento di rivelazione o di atto di amore, che non proviene tanto da dentro, ma che proviene da fuori.
A gennaio, con la nipote Aurora, Erri De Luca, al Quirinetta di Napoli, aveva, in una serie di incontri, anticipato il tema cruciale di questo ultimo romanzo. Aveva detto: “Sulle storie di guerra l’uomo (sconfitto, imprigionato o disertore) deve tenere la bocca più chiusa, mentre sono le donne ad aver incassato l’urto maggiore, tant’è che i bombardamenti infliggono più perdite ai civili che ai soldati”. Ed infine commentato che, il romanzo, vuole essere (e v’è riuscito, con taglio sublime e poetico) una storia non tutta italiana che dalla seconda guerra mondiale si trascina fino ai giorni nostri ed insegna qualcosa su vendetta e perdono.
Ieri sera, a Otto e Mezzo, ha detto alla Gruber che il vero torto del soldato è stato quello di non pensare, di ubbidire ottusamente, dimenticando che è proprio della’uomo operare delle scelte. Il pentimento si manifesta con un rammarico sincero, sviluppato dalla convinzione di peccato, di giustizia e di giudizio e la riconciliazione avviene dopo il sincero travaglio del pentimento: la percezione del disordine morale di cui siamo vittima anche e soprattutto ubbidendo.
Leggendo queste pagine si comprende quanto doloroso ed alto e drammatico sia il femminile, un femminile che pensa e si assume responsabilità, come nel bellissimo (anch’esso recente) “Il Limbo”, di Melania Mazzucco, edito da Einaudi, con una caparbia donna soldato che, di ritorno dall’Afghanistan, s’interroga sul senso dell’essere italiani.
Carlo Di Stanislao
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